Anna Lombroso per il Simplicissimus
Ieri in un incantevole contesto persuasivo di riflessioni edificanti e di suscitare sentimenti di amore universale, è stata inferta una potente picconata, da una vibrante alta carica, alla laicità e alla necessità che una conversione morale del Paese investa i cittadini per ricondurli al rispetto della democrazia, della solidarietà e delle leggi degli uomini a prescindere da quelle che il loro Dio impone nel chiuso di ogni personale religiosità e confessione religiosa. Se sceglie il peraltro encomiabile cortile dei Gentili e non le aule del Parlamento o la Conferenza Stato Regioni e la Corte Costituzionale, condannata a schierarsi i contenziosi ma inabile a fronteggiare le offese alla Carta.
E proprio ieri, qui, Licia Satirico lamentava l’assenza e quindi raccomandava il formarsi di “uno schieramento politico che si definisca laico”. Temo che continuerà ad essere delusa: trasversale alle formazioni partitiche è sempre consolidata l’indole al compromesso con le frange confessionali che si finge siano rappresentative di un senso comune, ma che occorrono come il pane a dare legittimazione morale a comportamenti che dall’inopportunità sconfinano nella licenza, utili per nascondere dietro alla pubblica adesione a disposizioni confessionali, vizi privati, scelte riprovevoli anche per quanto riguarda le camicie e comportamenti intemperanti quando non illeciti.
E stiamo freschi se il più alto custode di valori costituzionali che dovrebbero garantire il rispetto della pluralità delle convinzioni e delle inclinazioni sceglie sempre e comunque come interlocutore privilegiato la gerarchia ecclesiastica vaticana, per interrogarsi sull’urgenza di riportare alla luce nella società valori morali in piena eclissi, come se la fiaccola spettasse comunque alla chiesa, confermando esplicitamente la piena vigenza dell’obsoleto “perché non possiamo non dirci cristiani” così come dell’appartenenza comune condivisa e unanime degli europei a delle radici che vorremmo attinenti solo alla botanica e che comunque pare non abbiano evitato il fallimento di una politica sociale e solidaristica, oltre che politica ed economica, dell’Europa. E d’altra parte si tratta solo dell’ennesima conferma se, come ricordavo qualche giorno fa, proprio Napolitano, a sostegno di una invadente pretesa di Giovanni Paolo II ebbe a dire: “il crocifisso non rappresenta una confessione religiosa, identifica piuttosto una tradizione nazionale come la nostra che è cristiana”. Insistendo che la sua era una posizione “laica”: “va esposto come simbolo della nazione, accanto al ritratto del presidente della Repubblica, simbolo dello Stato”.
Ieri due poteri forti si difendevano attaccando come succede sempre quando la forza e l’autorità è minacciata. Peccato che sbaglino bersaglio, puntando le armi contro la libertà e la responsabilità, contenuti irrinunciabili della democrazia, anziché contro la “teocrazia del mercato” cui hanno contribuito a consegnarci, con quello che suscita negli individui, corruzione, primato del profitto, egoismo, sopraffazione dei deboli. E punendo quelli che di ubbidiscono per convinzione, per inclinazione esistenziale, sessuale, affettiva, per sopravvivenza e aspirazione a un futuro che sia una radiosa aspettativa e non un pericolo. Vecchi stereotipi sono stati rinverditi e irrigiditi e a essi altri se ne sono aggiunti, nuovi nelle apparenza, perché “indotti” dalle innovazioni profonde determinate da scienza e tecnologia, ma che in concreto hanno riproposto con arroganza e invasività ancora superiori una logica di subordinazione a valori definiti fuori e contro ogni procedura democratica. Crescono così le occasioni e le propensioni di quei poteri a impadronirsi di quella che Walter Benjamin ha chiamato la “nuda vita”, con la pretesa di entrare nell’intimità delle persone, di condizionare le loro scelte anche le più segrete.
E se proprio Benjamin invita a non procedere nel futuro come l’Angelo della Storia che cammina avanti con la testa girata all’indietro, è difficile non rimpiangere tempi che abbiamo creduto oscurantisti. Come quando il primo governo di centro-sinistra presieduto da Aldo Moro venne costretto a dimettersi dopo essere stato battuto, in una votazione sul finanziamento di 149 milioni alla scuola privata, che il ministro del Bilancio, il socialista Antonio Giolitti aveva respinto per l’evidente contrasto con l’articolo 33 della Costituzione dove si stabilisce che “enti e privati hanno diritto di istituire scuole e istituti di educazione”, purchè “senza oneri per lo Stato.
Altri governi, si dirà, altre opposizioni, si dirà, altra laicità: sembra che parliamo di specie estinte in natura. Ma “follow the money”, segui i soldi e non sbagli. Il fine, comunque e da sempre, di certe alleanze opache anche se strette con gran pompa mediatica, è quello di tutelare privilegi inviolabili, garantire la supremazia dell’interesse privato sul bene comune, appagare l’istinto all’accumulazione di chi è già ricco, esonerare cittadini di serie A dagli obblighi dell’appartenenza all’Italia e della cittadinanza nazionale.
È che oggi più che mai la laicità deve rappresentare un approccio complessivo e irrinunciabile. Non deve limitarsi solo a contrastare la pretesa di imporre come etica pubblica una morale di parte e confessionale – e sarebbe già molto. Deve battersi contro una ideologia disumana ossequiente alle leggi del profitto e dello sfruttamento, che sta svuotando delle sovranità Stati e popoli, condannandoli alla fame e alla schiavitù. E dovrebbe liberarsi di ogni tentazione integralista, quella suscitata dalle aberrazioni di legittime convinzioni e di valori alti. E parlo di quel luddismo che ispira alcune estremizzazioni che da anti-capitalistiche rischiano di diventare misoneiste. Il progresso ha portato distorsioni e sopraffazione, sta esaltando un sistema di disuguaglianze, ma la lotta deve essere contro l’uso di classe che se ne fa e non contro alcuni innegabili benefici. Tanto che oggi i più solerti e innovativi sostenitori della decrescita sono proprio i tecnocrati intenti a darcene una versione infelice che ci sospinge alla servitù senza beni, senza diritti oltre che senza pane.
Essere laici significa svincolarsi dai pregiudizi, anche quelli apparentemente positivi che rischiano di sconfinare in festosi fondamentalismi: quelli di genere ad esempio, che riconoscono superiorità e qualità “categoriali” a maschi o femmine, gli uni e gli altri abilitati per codice genetico a mestieri o missioni, così che si ripongono aspettative fideistiche nel decisionismo virile, cazzuto e paterno di leader prepotenti, incaricati dalla provvidenza, o nella sensibile vocazione materna all’accoglienza, alla cura, alla solidarietà di funeste ministre, rapaci monetariste, ambiziose amministratrici. Ma soprattutto da quelli negativi, quello che impone un continuo richiamo al realismo, alla mistica paradossalmente pragmatica della necessità, che non nasconde la condanna che ci viene imposta a rinunciare a autodeterminazione, libertà e diritti, primo tra tutti quello di immaginare e costruirci un futuro.