Ci sono alcuni che si danno pena di difendere la donna islamica dal velo, accusando i mussulmani di comprimere i diritti femminili e di negare loro la libertà. Molti tra questi militano però nelle schiere di coloro che difendono (o dicono di difendere) la così detta “famiglia naturale” che, in molti casi, corrisponde a quella “tradizionale”.
Qualcuno sa come le donne sarde del passato, in ossequio alla tradizione (che in Sardegna si chiama connottu), fossero obbligate a portare il velo; non potessero studiare, figurarsi fumare in pubblico o per strada, senza essere tacciate di scoscumatezza o indegnità morale.
Le donne della famiglia tradizionale dovevano stare chiuse in casa per un mese dopo avere partorito, perché l’avere dato vita a un bambino le rendeva, agli occhi della comunità, sporche e impure, da tenere segregate.
Quella società e quella famiglia tradizionale che molti difendono (senza conoscerle) erano un distillato di valori patriarcali, dove nel migliore dei casi alla donna era lasciato il compito di governare gli spazi aperti dall’assenza del maschio. Non c’era alcun matriarcato, in quel mondo; nulla da rimpiangere in un sistema che faceva della sottomissione femminile un supremo valore morale e un principio costituzionale.
Prima di attaccare i mussulmani in quanto tali, sarebbe forse preferibile provare a capire cosa resta in Occidente di quel tradizionale istinto alla sottomissione della donna che ha così fortemente segnato la nostra storia di sardi, italiani, europei e occidentali. Un istinto alla compressione dei diritti delle donne che riemerge spesso, e forte, nella società contemporanea occidentale della quale siamo protagonisti.