13 FEBBRAIO – Quale apporto specifico può dare la donna nel mondo oggi? Cosa può fare per occupare nel mondo una “quota” più ampia? Chiediamo ad alcune donne impegnate in politica come vivono l’impegno politico nei loro diversi ambiti e nelle loro vite.
Alessia Rotta si è impegnata di recente in politica. Ha lavorato per 10 anni a Telearena e sta facendo un dottorato di ricerca in economia aziendale presso l’Università di
Verona. La crisi di oggi, secondo Rotta, è una crisi soprattutto prepolitica, di fiducia fra di noi, senza affrontare la quale non si riuscirà ad approfondire altri discorsi. In Parlamento si sentono molti discorsi sul “cambiare rotta”, ma ciò non ha senso se non si dà un diverso orientamento su questo atteggiamento di fondo. La politica è un impegno di servizio soprattutto, iniziato nel paese natio di Sommacampagna con la partecipazione ad un’associazione locale, chiamata
Lucignolo, che trattava di temi ambientali. Come giornalista, dopo gli spettacoli e la cultura, è stata impegnata in politica. «Si tende a pensare che ci siano troppi politici e troppi livelli decisionali che frenano tutto, con una deriva un po’ qualunquista. Una sfida nuova per tutti i politici è quella di non essere protagonisti ma di essere uno strumento di azione delle diverse istanze che provengono dalla realtà». Le venne allora rivolta la proposta, dalle donne del suo stesso partito il PD, di capeggiare le istanze che venivano da coloro che erano insoddisfatte della posizione dei democratici su alcuni temi. Vinte le primarie, una volta eletta in Parlamento, ha vissuto un anno di questa difficile stagione della politica italiana. «La crisi coinvolge tutte le Istituzioni, in particolare nella loro legittimazione. C’è un pericoloso collegamento fra l’appiccare il fuoco alle Istituzioni, come fa il Movimento 5 Stelle, e la virulenza di alcune manifestazioni nel Paese che vengono dette dei forconi. C’è crisi anche di tutti i partiti, c’è un grande scontro fra nuovo e vecchio al loro interno. Bisogna pure dare risposte alla crisi nella realtà, con alcune gravi storture nell’azione della rappresentanza politica. Quando si intende trattare seriamente riforme come quella elettorale, finora evitata da tutti, oppure altre riforme ci si è sempre divisi su quali fossero le priorità. Talvolta però, se si vuole sviare l’attenzione si passa all’insulto, come mostrano certi atteggiamenti ormai frequenti».
Maria Luisa Tezza ha iniziato il suo percorso politico nel 1994, da avvocato amministrativista aveva partecipato ad assemblee su temi di interesse generale come l’impianto di Cà del Bue. Un impegno in prima linea l’aveva tentata già in gioventù quando frequentava l’ambito parrocchiale al proprio paese di Zevio. Nel 1994 nasceva la nuova realtà di Forza Italia, che aveva un modo di porsi molto differente dalla classe politica precedente, di stampo Dc e travolta da Tangentopoli. In passato bisognava fare la gavetta per decenni prima di arrivare ai livelli alti, mentre in quel momento le arrivò la proposta di candidarsi a Zevio. La politica, oltre a vari dispiaceri, secondo Tezza arricchisce nell’incontro personale con la cittadinanza. Ha svolto due mandati da sindaco, sempre fra liste intestine a Forza Italia. Il suo impegno fu incentrato soprattutto sui temi sociali, importantissimi in un Paese in pieno invecchiamento. In Provincia è arrivata ad essere assessore provinciale ai servizi sociali. Un’esperienza particolare è stata quella nel 2007 in cui si era candidata nella lista Ferrara contro l’aborto. «Oggi si tende a dire che i temi etici vanno tenuti da parte, fuori anche dalla politica, ma in realtà non sono affatto sfere distinte». In seguito alla fusione fra FI e AN nel PdL; è rimasta assessore comunale a Zevio. «In certi ambiti –precisa- spesso c’è un livello di corruzione tale per cui vieni estraniato perché non vieni capito. Oggi si vede povertà di contenuti, si vedono giovani capaci che vogliono scappare dall’Italia, si vedono anziani lasciati nell’angolo, donne che si autoesiliano pensando di non potersi imporre. Non ha più senso neanche distinguere fra sinistra e destra, ma bisogna lavorare su progetti e persone».
Luisa Santolini si appassiona ancora ai temi che l’hanno impegnata per tutta la vita. Invece di decidere di andare in politica si è formata nell’associazione dei genitori nelle scuole, nella pastorale famigliare. Faceva dunque politica tirando la giacca a tutti e ritenendo che fosse suo dovere combattere l’ignoranza nei confronti dei temi non negoziabili: famiglia, vita, scuola. «Agisci come se tutto dipendesse da te e confida come se tutto dipendesse da Dio»: questa la massima gesuita cui si ispirava nell’assumere diverse cariche. Nella sua esperienza istituzionale nell’Udc molti aspetti l’hanno colpita. Per prima cosa, appena entrata in politica, le porte del mondo ecclesiale le si sono chiuse dietro, venendo cassata da tutti gli ambienti. In secondo luogo, venendo dal mondo del terzo settore, i colleghi di partito non volevano saperne di una che era piombata da fuori senza fare tutta la carriera politica all’interno del partito. Era rimasta così in una terra di nessuno, facendo molta fatica a conquistare ogni piccola cosa: aspetti che non erano stati messi in conto prima di scendere in campo. «Un terzo elemento è che si tende a credere che i cattolici debbano occuparsi dei temi cui tengono e che debbano restare fuori dalla politica, mentre se vi invischiate in queste cose si dovrebbe evitare di fare riferimento alla fede. Oltre alla diaspora politica, però, c’è stata anche la diaspora culturale, per richiamare papa Giovanni Paolo II, perché i cattolici in Parlamento sui temi culturali votavano in modo diverso, essendo soggetti a una fortissima pressione del partito su di loro. Pertanto si rischia di essere presto estraniati, con una forma di mobbing pesante per cui dopo il secondo no devi dire sì, indipendentemente dal mondo da cui si viene». Dura anche la relazione tra le donne: «Fra le donne in politica non c’è alcuna solidarietà, ma potendo si combattono più che volentieri. Del resto le donne tendono a non votare le donne storicamente, anche se è una tendenza in parziale evoluzione, con una maggiore combattività delle donne di oggi in politica».
Con riguardo alla presenza delle donne in politica ieri, oggi e domani, secondo Alessia Rotta ormai è diminuita la pressione dei partiti sui cattolici, il che offre molte opportunità a chi voglia coglierle. «Difficilmente si fa squadra fra donne, oggi il Parlamento ha un 40% di donne elette ma questo non basta. Molte iniziative parlamentari a favore delle donne rimangono lettera morta. I partiti oggi sono tutti misti di politici e società civile, ma nonostante vi siano molte donne elette non è questione di numeri, ma anche di qualità di azione politica. La rappresentanza parlamentare conta relativamente a fronte dei livelli più alti di decisione politica». Se poi le donne si prendono anche i vizi comuni in politica, quali l’individualismo o il narcisismo, ecco che questa presenza non rende un buon servizio. Non è questione neanche di porre delle bandiere, di strappare delle posizioni con atteggiamenti femministi. Un segno di civiltà è quello di porre come condizione anche la dignità della donna. Le differenze vanno dapprima viste e rispettate, dopodiché bisogna cercare una mediazione. Occuparsi delle donne non vuol dire ghettizzarle, ma significa occuparsi del benessere dell’intera società.
Per Maria Luisa Tezza i confronti fra donne sono più pacati e produttivi, anche se sono più spesso gli uomini ad ottenere i risultati. «Nella politica oggi non si vedono molte donne concrete nei risultati, ma spesso sono guardate più dall’esterno che dall’interno. Le donne peraltro tendono a ragionare come gli uomini, invece di portare con sé l’atteggiamento materno che è l’aspetto che le caratterizza. L’arma per incidere e farsi notare sia dalle donne che dagli uomini forse è proprio questa, ma molte donne fanno fatica a conciliare impegno politico e maternità». La donna può portare un lessico diverso, più
pragmatismo e correttezza, più coerenza con i propri ideali. Politiche sociali e giovanili vogliono dire anche fare un bilancio, strutturare diversamente il territorio, progettare opere pubbliche in modo diverso, realizzare un tessuto sociale vissuto da tutti più intensamente. La gratificazione viene quando i propri risultati permangono nel tempo. Guardando al futuro, si deve chiedere alla politica di prendere coscienza dell’esistente perché, quando si cerca di negare l’evidenza, la politica non rispecchia la realtà e non serve a nulla. Ci sono però giovani che hanno voglia di lottare e quindi è possibile un cambiamento. E’ necessario che la politica precedente vada a casa, rivoluzionando i partiti dall’interno, un’opera che però non è spontanea ma viene con fatica.
Per Luisa Santolini, con le nuove generazioni sta cambiando la situazione delle donne nel suo complesso. Negli anni Settanta la battaglia delle donne è andata persa perché hanno preteso di arrivare a livelli più alti contro l’uomo, che ha portato all’eclissi degli uomini e dei padri e ad una forte divaricazione fra i sessi. «L’uguaglianza in sé è un valore, non una pretesa –ricorda Santolini-. L’errore storico è stato quello di uniformarsi agli uomini senza portare un contributo femminile, pretendendo di essere uguali senza però diventarlo per davvero. Oggi si comincia a capire che bisogna lavorare assieme,
uomini e donne cambiano assieme. Oggi le donne hanno maggiore consapevolezza delle sfide in campo, ma il rischio è che l’autodeterminazione della donna estenda un atteggiamento individualista a tutte le categorie sociali. Se ognuno è norma di se stesso, il diritto non deve più sancire una verità che prescinde dai singoli casi ma deve inseguire ogni minoranza e, almeno in parte, si piega il diritto a una visione relativistica delle regole. Il bene-vita non prevale più sul bene-autodeterminazione ed è secondo lei colpa delle donne, che però possono portare a un cambiamento di questa situazione».
Il problema è chiedersi, in prospettiva, che società vogliamo. Le leggi hanno un valore pedagogico enorme anche se non sempre sono vere, buone e giuste, quindi vanno scritte con estrema saggezza e non sulla base di un’onda emotiva. Chi ci rimette alla fine in questo far west sono innanzitutto le persone più fragili, secondo la cosiddetta
cultura dello scarto, come l’ha chiamata
papa Francesco. Sono sfide non da poco e quindi bisogna chiedere a chi si impegnerà di trattare di contenuti e non solo di alleanze. Chi si occupa di politiche familiari vede che non c’è consenso sociale su questi temi, non è colpa solo di chi è ai livelli superiori. Come sui temi della beneficienza e dell’ambiente, bisogna creare consenso sociale per far percepire le politiche familiari come un tema importante su cui impegnarsi, mentre tanti tendono a scuotere la testa e a disapprovare la politica senza fare nient’altro.
Enrico Vanzo
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