Sono madre di due bambini di otto e dodici anni. Come molte altre donne ritengo che la maternità sia stata l’esperienza più felice, complicata, arricchente e faticosa della mia vita. Un’esperienza che vivo con la consapevolezza che i figli, pur restando la mia priorità, non costituiscono l’unico asse su cui ruota la mia esistenza.
Sembra una considerazione obsoleta, oggi i temi caldi riguardano i modi per valorizzare il talento femminile, aumentare la leadership delle donne e trovare vie di conciliazione tra realizzazione personale e famiglia.
L’idea più diffusa è che il modello di moglie-casalinga, dedita esclusivamente alle faccende domestiche, al marito e ai figli sia stato definitivamente rinchiuso negli archivi di un’Italia che non esiste più. Eppure, le statistiche dicono che nel 2012 quattro milioni e mezzo di donne italiane lavoravano esclusivamente in casa. Un numero enorme se comparato con quello dei 70 mila “casalinghi” maschi, molti dei quali divenuti tali per via della crisi.
Recentemente mi sono imbattuta in storie di giovani donne che hanno più o meno volontariamente rinunciato al proprio futuro professionale per seguire un marito in carriera in giro per il mondo, dedicarsi ai figli a tempo pieno, mancanza di ambizioni, paura di fallire. E allora, mi sono domandata, che cosa sarà di queste donne, oggi super impegnate tra compiti, feste infantili, camicie da stirare e manicaretti da cucinare, quando i figli saranno cresciuti?
Io che ho un figlio quasi tredicenne che già avverte la rivoluzione degli ormoni, comincio a provare la paura del distacco, sento la sua voglia di esplorare il mondo e soffro ricordando quando era solo un cucciolo nelle mie braccia. Il lavoro è un potente salvagente emotivo in questi casi. Sono certa che in futuro sarà un aiuto imprescindibile.
Mi è capitato di incontrare madri con figli più grandi dei miei, adolescenti o adulti che hanno già lasciato il tetto materno e nei loro occhi ho intuito il disagio, quando non la disperazione, prima ancora che nelle loro parole.
Madri che anni fa hanno lasciato il lavoro per dedicarsi esclusivamente ai figli e non l’hanno più ripreso, madri che hanno rinunciato a ogni tipo di vita sociale e di interesse, madri che hanno investito ogni goccia di energia nei loro bambini senza pensare che prima o poi tutti i bambini crescono. E spesso diventano allergici a quelle dimostrazioni di affetto che fino a poco prima ricevevano a braccia spalancate.Le storie
Angela ha 50 anni e da ragazza lavorava come impiegata. Appena sposata è rimasta incinta, suo marito era un manager ben retribuito e lei ha creduto che lasciare il lavoro per dedicarsi esclusivamente al figlio sarebbe stata l’opzione migliore. Dopo qualche anno è nato un altro maschio. Tra pannolini, compiti e faccende di casa Angela non aveva mai un minuto, ma si sentiva soddisfatta di sé. Dava amore ed era ricambiata.
Poi i figli sono cresciuti ed entrambi si sono sposati. Per Angela è cominciato un martirio. Il marito esce alle otto del mattino per andare in ufficio e torna poco prima di cena. La casa è diventata improvvisamente vuota e silenziosa. La camera dei ragazzi è un mausoleo di oggetti giovanili, lei ci entra, guarda i poster alle pareti, le sembra di sentire la musica che ogni pomeriggio suonava tra quelle mura, ma i Cd non ci sono più. Nemmeno i libri e i vestiti negli armadi. Su un comodino c’è una foto sbiadita dei suoi bambini a una festa di carnevale. Cose di tanti anni fa. Angela piange. Dovrebbe andare a fare la spesa, ma non ha voglia di uscire, non ha voglia nemmeno di andare al bar dove di solito prende il caffè con la sua migliore amica, una donna che di figli non ne ha mai avuti e fatica a capire la sua angoscia.
Così, giorno dopo giorno, Angela si rinchiude nel suo mondo fatto di ricordi, sfoga il suo dolore nel cibo, ingrassa, comincia ad avere strane fobie. Si lava le mani cento volte al giorno, se ti incontra trova sempre una scusa una per non baciarti, se la sfiori si sfrega il braccio come a togliere chissà quale macchia. Il marito di Angela dovrà rivolgersi a uno psichiatra per aiutare sua moglie. Questa è una storia accaduta alcuni anni fa e oggi la protagonista sta meglio e spera di diventare presto nonna. Ma la sofferenza la porta ancora in volto.
Stefania è un’amica quarantenne con due figli adolescenti. Dalla nascita del primogenito ha deciso di rinunciare al suo lavoro di attrice. Troppo stress, troppi viaggi, orari scombinati, troppa superficialità. Lei vuole altro per sé e per i suoi figli. Il marito può mantenerla, così dedica tutta se stessa alla famiglia. Per anni tutto fila liscio, ma raggiunta l’adolescenza i figli non ne vogliono più sapere delle attenzioni della madre. I ragazzi dimostrano totale insofferenza, la casa diventa il famoso albergo temuto da ogni genitore, il rispetto è una parola sconosciuta e le discussioni sono all’ordine del giorno. Stefania scoppia e quasi supplicando i figli di comprenderla, dice: «Ho dedicato a voi tutta la mia vita, non potete farmi questo!». La risposta la lascia di ghiaccio: «Chi te l’ha fatto fare? Mica te l’abbiamo chiesto noi. Lasciaci in pace!».Dove sono i due bambini che le saltavano al collo all’uscita da scuola? Quelli per cui non è più andata a un casting, non ha fatto più foto, non è più salita su un palcoscenico, non ha più avuto un conto in banca personale? Riconoscenza, spesso, non fa rima con adolescenza.
Come finirà questa storia non lo posso sapere, probabilmente terminata la fase di rivoluzione ormonale i due giovani ribelli si riavvicineranno ai genitori, come spesso accade, ma la delusione e il dolore lasceranno il segno.
Tempo libero, da privilegio a condanna
Queste sono solo due delle storie che conosco da vicino e su cui non ho potuto evitare di riflettere quando pochi giorni fa, Camilla, un’amica architetto, madre di due bambini che frequentano la scuola elementare, mi ha detto che non riprenderà mai a lavorare. Suo marito viaggia spesso e lei non se la sente di essere una madre “assente”. E ha aggiunto: “Sto bene, così, la mattina ho il tempo per la casa e per me stessa e il pomeriggio è tutto per i bimbi”.
Ognuno ha diritto di fare della propria esistenza ciò che meglio crede, ma non posso evitare di pensare a quanto profondamente le scelte di oggi possano influire sulla qualità di vita futura. Il tempo libero è un privilegio quando è scarso, ma può diventare una condanna. Ancora oggi molte donne ritengono che occuparsi di se stesse e dei propri interessi le trasformi automaticamente in cattive madri. Ma tra il dedicarsi esclusivamente ai figli e pensare soltanto al proprio ego ci sono un milione di vie di mezzo.
Posso comprendere che chi ne ha le possibilità economiche non voglia privarsi della gioia di accompagnare i figli nella crescita e preferisca rinunciare a professioni che implicano lunghe assenze, ma chi ha il privilegio di non dover lavorare per mantenersi, forse farebbe bene a occupare il tempo disponibile (prima o poi i bambini vanno a scuola) individuando attività culturali o sociali che, oltre ad essere ricreative, creino interazioni solide, capaci di svilupparsi negli anni futuri. Perché quando i bambini smetteranno di essere tali, saranno proprio quelle attività l’ancora di salvezza.
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