È che se ho del tempo libero vado avanti con il libro che sto leggendo, e già mi sento in colpa a penalizzare la saggistica ma il desiderio di un buon romanzo alla fine prevale. Mi piacerebbe e sono certo che mi consentirebbe di imparare qualcosa anziché condividere empaticamente gioie e dolori dei protagonisti di questa o quella storia, ma ogni volta, quando sono a poche pagine dalla conclusione e posso sbizzarrirmi nella scelta un degno sostituto, ho il dovere morale di andare sul sicuro, e “narrativa” è la prima tra le chiavi di ricerca per la selezione del titolo successivo.
Questo per dire che è passato tanto tempo dall’ultima volta in cui ho acquistato una rivista in edicola. Sono anni, ne sono certo. E pensare che per buona parte della mia vita la lettura dei magazine musicali ha costituito la principale fonte di informazione e aggiornamento. Ho investito da ragazzo paghe e paghette in cose tipo Rockerilla, Ciao 2001, Mucchio Selvaggio e Rockstar, nella soffitta della casa dei miei genitori ci sono ancora annate intere di pubblicazioni. Inutile sottolineare che, nel mio caso ma so di non essere l’unico, Internet ha soppiantato anche la consultazione dei periodici di settore. Oddio, la mia passione per la musica per fortuna è diversa dall’idolatria tipica dell’adolescenza, posso dire che si è evoluta e certa letteratura sul pop oggi mi interessa poco o niente (è chiaro che sto mentendo). Ma da quando c’è la rete sappiamo tutti come sono andate le cose.
Stesso discorso per settimanali e mensili di attualità. D’altronde, se non si vuole ricorrere a una emeroteca pubblica fornita e comoda, è anche difficile scegliere tra i prodotti da acquistare in edicola. L’Espresso, Internazionale, Diario per dirne alcuni, il budget è quello che è e poi si ritorna al peccato originale, ovvero il tempo a disposizione da dedicarvi. Non ce la farei a leggere tutto. Occorre fare un discorso a parte per l’editoria tipicamente femminile che comunque mi pare aver ancora un suo perché, almeno da quello che vedo durante i miei percorsi quotidiani in treno. Qualche “pendolaressa” con Vanity Fair o Donna Moderna la incrocio sempre, per non parlare dei periodici dedicati al gossip che sono gli unici a contendere alla cartaccia free press la leadership tra le carrozze.
Questa mattina invece mi è capitato di condividere gli angusti e temporanei spazi di viaggio con un tizio che sfogliava una copia di Max, una pubblicazione che a dirla tutta non pensavo nemmeno fosse ancora in commercio. Una rivista che non stona mentre si è in attesa del proprio turno per lo shampoo nella bottega di un coiffeur e che con altre perle soft-core come GQ svetta su pile di editoria per veri intenditori a coprire altre riviste sotto, dalle copertine e dal contenuto inconfondibile. E sono rimasto colpito dalla concentrazione con cui l’uomo leggeva l’articolo dedicato alla playmate del mese, che non si chiama playmate ma piuttosto maxmate o boh, magari non la chiamano nemmeno tanto l’importante non è certo il naming della rubrica. Dicevo della concentrazione. Riga per riga, assorto in non so cosa il redattore potesse dire a corollario di foto talmente esplicite. Nulla di scabroso, anzi un soggetto oltremodo corroborante da quello che riuscivo a vedere, cercando di non passare per uno che importuna gli altri. Un bel modo di iniziare la giornata.
A quel punto ho pensato che, una volta terminata la parte redazionale, il servizio includesse anche il paginone centrale fatto di tre ante con la foto completa della ragazza di copertina in deshabillé. Questo lo ho solo immaginato, non dovete pensare che io legga cose del genere, nemmeno dal parrucchiere. Ma, quando il tizio ha voltato la pagina, ha sollevato la copia di Max verso di sé orientandola verticalmente con l’obiettivo di avere la vista completa a colpo d’occhio del corpo scoperto che ivi era ritratto (e aggiungo probabilmente, non dovete pensare che io conosca per certo la percentuale di parti del corpo scoperte delle foto di cantanti e attrici e fotomodelle “intervistate” su Max) precludendone così la condivisione con gli astanti che stavano mostrando una palese curiosità, verso i quali per onestà intellettuale mi astengo da ogni tipo di giudizio. Ma il modo con cui il lettore ha alzato le sopracciglia è stato più che esplicito. Tanto che ha bruscamente deciso di interrompere la lettura, ha ricomposto l’ordine delle pagine e ha riposto la pubblicazione in borsa. Evidentemente per oggi ne aveva avuto abbastanza. Lui.