IL PENSATOIO
DONNE: oltre le gambe c’é di più?
Simona: L’elemento scatenante è stata una puntata di Presa Diretta di Riccardo Iacona, con il titolo “Utilizzatori finali”, dedicata al problema della prostituzione; ma, in realtà, il desiderio di raccogliere le idee e scambiarci le nostre opinioni su cosa pensiamo del nostro essere donne, ha avuto una “gestazione” lunga qualche mese.
Tutte le volte che Romina ed io ci siamo incontrate per un caffè, ci siamo sempre ritrovate a parlare di quanto ci preoccupassero certe tendenze attuali; si parlava di libri ma anche di atteggiamenti in generale, e ci domandavamo sempre cosa nascondessero certe scelte.
Il fatto denunciato da Iacona in questa puntata è il profondo degrado, morale e sociale, che è dietro alla scelta di prostituirsi, in questo caso di due ragazzine di 14 e 15 anni, ma anche dietro a tutti quegli uomini che di loro hanno abusato.
Perché una giovanissima adolescente è arrivata a vendersi? Perché aveva fame? È stata costretta? No, perché voleva dei soldi “facili” per comprare ogni cosa desiderasse. Questa è la tristissima verità emersa dagli interrogatori. Una “quasi” bambina ha fatto e si è fatta fare di tutto per comprarsi un nuovo telefonino, un altro paio di scarpe e… pensate voi a qualcosa d’altro.
Ora, le riflessioni che possiamo fare sono tante ma, direi, tre sono immediate: perché queste giovanissime danno così poco valore al proprio corpo? Perché uomini, anche giovani, sentono il bisogno di andare con una prostituta quando ormai avere rapporti sessuali non è più un problema per nessuno? Le nostre famiglie cosa stanno insegnando a questi ragazzi?
Romina: Carissima Simona, come ben sai, quello che tu hai appena introdotto è un tema che sento fortissimamente, e, difatti, partendo dalla rubrica di Iacona siamo giunte, per l’ennesima volta, a porci tante, tantissime domande su quello che è il nostro mondo; e quando sottolineo nostro, intendo l’universo femminile e tutto ciò che vi ruota attorno.
Ascoltando le tue parole non ho potuto non interrogarmi su quanto, oramai, sia confusa e disorientata la nostra consapevolezza di donne. Nella società in cui viviamo, la cultura dell’apparenza, della visibilità e del materialismo ci sta spingendo verso atteggiamenti e scelte sempre più incerte ed esasperate.
Sempre più si assiste ad un vorace e inesorabile smantellamento dell’elemento femminile e di tutti quei valori di cui, da sempre noi donne, siamo state custodi e portatrici: grazia, garbo, compassione, emotività, senso del pudore e sensibilità.
Come un cancro maligno, questo fenomeno si sta espandendo, giorno dopo giorno, attraverso tutti i principali canali d’informazione.
Televisione, radio, social network e adesso, ahimè, persino l’editoria, si stanno facendo portavoce di una serie di concetti e contenuti di dubbia moralità. Stiamo assistendo ad un vero e proprio sovvertimento dei valori e una precisa e metodica manipolazione dei concetti con conseguenze a volte raggelanti: prima fra tutte la strumentalizzazione e la mercificazione del corpo della donna.Ma una cosa che difficilmente riesco ad accettare è che siamo noi per prime a tradire il rispetto per noi stesse. Ecco che tutto ad un tratto sembra che essere maltrattate, sminuite, ignorate, usate, coercizzate, sia diventata l’aspirazione ultima della donna moderna, e in un lampo ci troviamo a fare sogni d’amore mentre leggiamo storie in cui i sentimenti sono da condannare, il coinvolgimento amoroso quasi demonizzato, mentre il sesso nelle sua forma più violenta, praticato occasionalmente o usato, addirittura, come forma di comunicazione al posto del dialogo, è assolutamente auspicale e desiderabile.In questa tipologia di libri, la violenza diventa un elemento familiare e quotidiano, mentre il rispetto per l’altro un concetto da esplorare sotto nuove angolature.
Possibile che non siamo più in grado di riconoscere la violenza anche quando così esplicita? E ancora: se pur trattasi di mera fantasia, è così facile accettarla senza pagarne poi un prezzo?
Mariella: Mi sembra d’obbligo iniziare il mio intervento ringraziandovi per l’invito ad unirmi al vostro, già, affiatato duo per parlare di una realtà che mi colpisce in maniera molto particolare, in quanto donna e madre. E quindi mi immagino anch’io, seppur virtualmente, davanti ad una tazza di caffè mentre vi ascolto e condivido con voi i miei pensieri e le mie riflessioni. E mentre cerco di raccogliere le idee, penso che il caffè, per ironia, sia la bevanda più adatta a simboleggiare questo tema: nero… bollente al punto da scottare… intenso… ed amaro; come nero, scottante, intenso ed amaro è l’argomento che mi proponete. Un tema in cui realtà e fantasia, cronaca e letteratura, si fondono in maniera perfetta diventando le due facce di una stessa medaglia.
Donne che si svendono, donne che non si danno valore, donne che non si amano a sufficienza, che non hanno in sé la coscienza di essere preziose e, come tali, degne di rispetto e amore. Ecco cosa vedo quando mi trovo ad ascoltare certe vicende in cui giovanissime, che ancora devono formare la loro dimensione di donna e di persona, cedono per denaro una parte di loro.
E uso l’espressione una parte perché proprio lì sta la discriminante. È in questa una parte che sta il primo vizio: in questo corpo, erroneamente, considerato come qualcosa di distinto da tutto il nostro mondo interiore ed emotivo.
Questo corpo vituperato, declassato, distinto e denigrato. Qualcosa che, in quanto realtà di serie B, non merita di essere custodito, preservato, difeso. Ed ecco che allora il corpo diventa cosa e le cose possono essere usate, sfruttate, vendute.
E tutto questo perché noi donne non abbiamo acquisito e maturato la verità fondamentale e la consapevolezza, che l’educazione e la cultura sociale avrebbero dovuto trasmettere ad ognuna di noi, che ogni persona è un’unità indissolubile fatta di carne, di sangue e contemporaneamente di sentimenti ed emozioni.
Nessun assemblaggio di pezzi, niente compartimenti stagni. Corpo e anima, o se preferite cuore, sono tutt’uno: indivisibili e con uguale valore. Il corpo siamo noi e noi siamo il nostro corpo. E quando lo doniamo dobbiamo farlo con la consapevolezza di far entrare in tutto il nostro mondo, non solo fisico ma anche emotivo, colui (o coloro) a cui stiamo permettendo di toccarci tanto intimamente.
E se la realtà ci racconta storie amare in cui le donne sono disorientate, incapaci di discernere il bene dal male, e di uomini, adulti, anch’essi
privi di coscienza etica (perché il problema, purtroppo, è nel tessuto sociale, è trasversale ai sessi), le storie di fantasia che stanno invadendo il mercato editoriale ci offrono un ventaglio di situazioni talmente sconcertanti che non possono che farci porre continui interrogativi.In che direzione stiamo andando? Cosa porta tante lettrici ad osannare dinamiche che sono malate, deviate, morbose? A sciogliersi di fronte a scenari di inquietante e costante denigrazione della donna? Perché si diventa cieche e non si riesce a comprendere che dietro quello che viene presentato, in maniera criminale, come amore c’è in realtà la volontà di distruzione di quella che è la realtà femminile?
Simona: Noi adulti abbiamo una grandissima responsabilità in tutto quello che sta avvenendo. Le nostre scelte scellerate in campo sociale, educativo e familiare hanno, in pochi anni, polverizzato tutti quelli che per secoli erano valori acquisiti. La mia generazione ha lottato per ottenere rispetto e parità che non c’era né nel mondo del lavoro né in famiglia; ma dal voler distruggere tutto quello che ci teneva legate ad arrivare a questo deserto emotivo, che è presente in tanta gioventù odierna, c’è un vero abisso!
Perché queste ragazzine, adolescenti e donne in generale considerano il proprio corpo, come giustamente fa notare Mariella, dissociato dalle proprie emozioni? Ma veramente pensiamo che tutto quello che permettiamo ci sia fatto poi non lascerà traccia? Quante lacrime invisibili dovrà piangere il nostro cuore prima di accettare che certi comportamenti uccidono una parte preziosa ed unica di noi stesse?E gli uomini, in tutto questo, che parte hanno? Sbagliamo a pensare che gli “utilizzatori finali”, come li ha battezzati la trasmissione di Iacona, siano uomini soli, vecchi, con problemi di relazione… no, la verità è raggelante. Tanti sono giovani, anche giovanissimi, che non vogliono inutili complicazioni. In un’epoca dove non è sicuramente un problema avere rapporti sessuali per una coppia, si cerca la donna-oggetto sempre sorridente, quella che non domanda, anzi, quella che puoi comandare senza preoccupazioni, una cosa da usare e poi mettere da parte.
Secondo me siamo diventate incapaci di renderci conto di cosa stia effettivamente succedendo.
Gli esempi davanti ai nostri occhi, come certa letteratura, faceva notare Romina, ci fa sembrare tanti atteggiamenti come normali ed accettabili. La reiterazione di queste situazioni ha fatto progressivamente abbassare il nostro livello di guardia, ha silenziato il campanello d’allarme interiore che ognuna di noi avrebbe dovuto ascoltare e, scalino dopo scalino, abbiamo sceso una china che ha portato ad uno stato di degrado morale ormai generalizzato.
Queste che stiamo scrivendo, vi assicuro, sono parole forti che fanno male anche a noi.
Abbiamo deciso di metterci in gioco proprio perché abbiamo sentito fortissimo l’impulso di cercare di risvegliare quello spirito femminile che è la nostra forza; abbiamo sentito un nostro dovere condividere con chi ci circonda queste riflessioni, proprio per generare un “sobbalzo” emotivo che risvegli le coscienze addormentate di tanti.
Romina: È verissimo. Fa male, davvero male, vedere tanto entusiasmo di fronte a questi filoni letterari, che tutto definirei fuorché erotici, come viene blandamente classificato.
Fa male vedere l’incapacità di indignarsi. Conservare la capacità di indignarsi è importante, anche se si tratta di semplice trasposizione letteraria, ma è il messaggio la cosa che conta.
La rappresentazione che queste autrici ci danno dell’amore è fraudolenta, fasulla. L’erotismo è altro. L’amore è altro.
In certi libri, invece, troviamo situazioni sempre più al limite, ormai si è scatenata una vera e propria gara a chi sdogana l’argomento più scabroso.
Dal narcisista egocentrico all’impotente sentimentale, dallo stalker paranoico al mafioso sanguinario, ognuno intriso della sua buona dose di ottusa aggressività, ma anche — e qui sta la truffa inaccettabile — di struggente romanticismo e generosa passionalità.
Uomini che vengono ammansiti e domati come cavalli imbizzarriti. Di contro le eroine sono sempre pronte a capire, comprendere, sopportare e giustificare il proprio aguzzino e il fardello che, quasi costantemente, egli si porta dietro (violenze, incesti, trascuratezza infantile), ma mai se stesse in un’eterna e grottesca rielaborazione della sindrome di Stoccolma.
Sarà questo il nocciolo della questione? Sarà ancora l’indole da crocerossina il nostro tallone di Achille?
È pur vero che le lettrici di questo genere, suppongo, nella vita quotidiana non si sognerebbero lontanamente di scegliere per sé come compagni i loro eroi di cellulosa; con tutta la buona volontà mi riesce quasi impossibile anche solo ipotizzarlo.
Perché nella vita di tutti i giorni non è così che funziona.
Le persone dal profilo violento e aggressivo che sulla carta ci eccitano, ci divertono, nella vita reale sono carburante per i nostri peggiori incubi. Quelli sono gli uomini che ci aspettano sotto casa per piegarci, per punirci di averli respinti o di aver contraddetto la loro parola, il loro volere, e di averli lasciati. Quelli sono gli uomini che armano le proprie mani per annullare le nostra volontà, le nostra vite.
È con grande sforzo che sto tentando di comprendere questa tendenza a trasformare in appetibili fenomeni che quotidianamente sfociano nelle peggiori tragedie…
Siamo forse impazzite? Siamo forse stupide? Non credo…
Penso che un uso scellerato della scrittura e la totale mancanza di scrupoli da parte delle case editrici, stiano incoraggiando qualcosa che, in qualche modo, trova terreno fertile in quella grave carenza di autostima della donna di oggi.
Mariella: Concordo assolutamente con le considerazioni che state facendo, e leggendovi comprendo che le sfaccettature del problema sono davvero molteplici e probabilmente sarà impossibile esaurirle ed esaminarle tutte nello spazio di questo articolo.
Simona evidenzia perfettamente le lacune educative, culturali e sociali che si pongono alla base del fenomeno. C’è un’inadeguatezza nella capacità di formare gli individui, sia uomini che donne, che è inquietante e che nasce da un sovvertimento nella scala dei valori che dovrebbero fare da punto di riferimento per tutti coloro che hanno la responsabilità e il ruolo di plasmare la PERSONA.
Il confine tra bene e male è diventato labile, c’è un’incapacità nel discernere, e quindi nel forgiare, una coscienza etica forte, solida, certa. Il denaro, l’apparenza, hanno preso il sopravvento e a quel denaro e a quell’apparenza sacrifichiamo tutto: dignità, affetti, morale.
Romina evidenzia un altro aspetto del problema: ci sono donne che pensano di essere determinanti per salvare i loro uomini… uomini spezzati, corrotti, malati. Donne che pensano di poter fare la differenza, che credono che il loro amore possa essere la panacea di tutti i mali.
Ma una sorta di fil rouge lega tutto ciò di cui abbiamo parlato ed è un termine che, dall’inizio della nostra conversazione, mi rimbomba nella mente. Un termine che ci è familiare e che la cronaca continuamente ci ricorda, raccontandoci eventi tragici che coinvolgono e colpiscono violentemente il mondo femminile: Femminicidio.
Non posso fare a meno di pensare che questo termine, nell’uso comune, venga utilizzato in maniera parziale riferendolo semplicemente a un aspetto del problema. Pensiamo, erroneamente, che questo fenomeno sia legato solo all’eliminazione fisica della donna.
Invece, a mio parere, il femminicidio è qualcosa di più subdolo e sottile. È un’azione costante di soppressione della stessa identità femminile, è strategica necessità di sottrarre alle donne la capacità di autodeterminarsi, è premeditata voglia di isolarle, di renderle immobili, prigioniere, di tenerle sotto controllo.
Ed ecco che le pratiche del BDSM acquistano un valore che va al di là della mera trasgressione sessuale.
Alla base di queste relazioni si pone un sostrato in cui la donna (a cui si attribuisce sempre, o quasi, il ruolo di sub) cede ciò che ci rende veramente liberi e individui completi: la possibilità di scegliere.
Cos’è una persona che non può scegliere? Ve lo dico io: è nulla!
E del fatto che questi rapporti vengano ammantati dall’aulico velo dell’amore ne vogliamo parlare? È amore ciò che si impone? È amore il possesso? È amore la violenza fisica e psicologica? È amore l’abuso? Tuttavia le vittime reali o letterarie di tali aguzzini non si rendono conto di tutto questo. Sono donne che hanno perso, o forse non hanno mai avuto, la capacità di empatizzare con sé stesse, di entrare in sintonia con la loro essenza, di comprendere che meritano rispetto e amore mentre, invece, empatizzano coi loro carnefici, fraintendono le attenzioni che ricevono, interpretandole come interesse e romanticheria.
Sono donne pronte a provare compassione, a comprendere e giustificare il loro boia e, addirittura, a vedere come auspicabile l’abuso subito. Incapaci, nella loro cecità, di vedere l’ingiustizia e l’orrore della violenza mascherata da amore. C’è una percezione deviata degli eventi, l’incapacità di decodificare l’atteggiamento di aggressione sotto ogni livello ai danni delle donne.
E mentre scrivo si forma, nella mia mente, un’altra consapevolezza.Noi donne abbiamo lottato per conquistare una parità sociale e culturale rispetto a un mondo che è sempre stato dominio maschile. E lo abbiamo fatto mortificando la nostra femminilità, assumendo atteggiamenti contrari alla nostra natura e ambendo a ciò che ci è stato precluso.
Forza, aggressività, possibilità di gestire il proprio corpo senza incappare in moralistiche condanne, possibilità di giungere a traguardi lavorativi monopolizzati dagli uomini. E questa strada, tracciata e percorsa in seguito al movimento di emancipazione e liberazione della donna, ha preso una china che in qualche modo ci si è rivoltata contro.
Uguali agli uomini, è vero, ne abbiamo avuto riconoscimento. Ma uguali in che maniera? Non certo in una pari dignità, che rispettasse il nostro vero essere, ma uguali in un processo in cui siamo state snaturate. Un processo in cui siamo state assassinate, amputate, seppur con l’intento di arricchirci uscendo dagli schemi rigidi della donna che era solo madre e moglie.
L’intento era quello di valorizzare le nostre capacità, di rivendicare la possibilità di essere altro rispetto a quello che eravamo state per secoli. E allora, per reclamare questa possibilità, di fronte a un mondo maschile sordo, abbiamo dovuto acquisire una nuova identità, abbiamo dovuto mascolinizzarci, provocando un dissesto sociale in cui tutti gli equilibri sono stati sconvolti.
Le donne si sono impossessate di atteggiamenti e di ruoli che un tempo erano prerogativa maschile, stravolgendo migliaia (se non milioni) di anni di consuetudine. Siamo state noi per prime a compiere questo eccidio, perché non abbiamo visto altra alternativa. Era il nostro essere donne che ci impediva di essere considerate persone con diritti e dignità pari a quelli maschili.
Forse avremmo dovuto convincerci che la diversità è un valore, una risorsa; non è qualcosa da sopprimere con violenza e determinazione.
E allora mi chiedo e vi chiedo: la cura è stata peggiore del male? Possiamo ancora invertire la tendenza? C’è ancora spazio per fermare questa follia?
Gli argomenti trattati sono stati veramente tanti. Moltissimi gli spunti per una riflessione personale e da condividere.
Ora è il vostro turno, carissime lettrici e lettori. Noi di Sognando Leggendo abbiamo dato il via, ma, come sempre, speriamo che questa occasione di scambiarci opinioni e punti di vista sia colta da tutti voi.