Appena una settimana fa la Freedom House, organizzazione no-profit che si prende la briga di misurare il livello di libertà degli Stati nel mondo, ci ha declassato per il secondo anno di fila tra i paesi semi liberi in fatto di stampa, ossia, in quanto a libertà di espressione siamo addirittura dietro la Turchia.
E’ molto facile che stiate pensando chissene frega. Invece, avere un’informazione alla briglia lascia molto spazio al proliferare di una realtà altra, un secondo livello criminale tanto silenzioso quanto letale, per la società civile. Specie in una condizione di crisi economica, fenomeni di usura, corruzione, prostituzione, divengono all’ordine del giorno.
Se a scoperchiare la pentola non sono più i canali preposti, accade quella che certmente è una stortura, ma è anche l’unico appiglio per tutti noi: a raccontare e quindi denunciare il sistema criminoso dilagante, ci pensano comici – celebri i fenomeni Beppe Grillo e Sabina Guzzanti - e romanzieri, come Massimo Carlotto che ha dato vita ad un genere letteraio nuovo: il noir d’inchiesta.
Lo scrittore spiega, nella prefazione di Donne a perdere, ultimo romanzo da lui curato: “i lettori-fruitori si sono impossessati del genere e spesso lo usano anche come strumento di informazione, dissenso e denuncia, imponendo agli scrittori una sorta di codice di autoregolamentazione sull’autenticità delle notizie disseminate nella narrazione”.
“Come nel caso di Perdas de Fogu può capitare che l’indagine sia così lunga e complessa che uno scrittore non sia in grado di affrontarla da solo e allora ne chiama a raccolta altri coinvolgendoli nell’avventura”.
Ed è proprio dai suoi compagni di avventura che viene firmato questo secondo noir-d’inchiesta: “Donne a perdere” è, infatti, il frutto di quel primo percorso di formazione e scrittura collettiva avviato con “Perdas de Fogu”; raccoglie in unico volume tre romanzi di autori diversi – Michele Ledda, Ciro Auriemma e Renato Troffa, Piergiorgio Pulixi - lanciando sul mercato dell’editoria italiana finalmente una novità.
Come si intuisce dal titolo le tre storie raccontano di donne ridotte in schiavitù, più o meno consapevolmente, ma in ogni caso sempre usate come merce di scambio in una società in cui primeggia inesorabile il potere del denaro.