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DOOM – Corrupt Fucking System (Black Cloud)

Creato il 08 gennaio 2014 da Cicciorusso

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Per dirne una, il disco precedente Corrupt Fucking System era World Of Shit, uscito soltanto nel 2001. Prima c’era stato l’eloquente Fuck Peaceville e prima ancora saremmo costretti a tornare indietro di almeno vent’anni. Giusto per dire che in casi come questo perdersi uno split o un Ep rischia veramente di buttarti nel caos. E infatti neanche sapevo quanti dischi avesse sulle spalle il loro nuovo cantante Denis o da dove saltasse fuori il misconosciuto poeta Andy T, ospite in Prey For Our Souls,  per quanto siano bastate Discogs e la biblica Cvlt Nation perchè mi rendessi conto che un minimo di militanza crustona per Crass Records poteva garantire un buon risultato. Il nuovo disco della band resta, tutto sommato, l’esito di una reunion studiata per suonare un po’ in giro, davanti a gente che magari fa pure fatica a riconoscere chi gli si palesa davanti, visti i cambi di line up. E invece no, presenziare a Maryland Deathfest e Chaos in Tejas deve aver portato i suoi buoni frutti in termini di coesione e promesse discografiche. Non ho verificato ma sul loro bandcamp ci tengono a farci sapere che questo è il loro ottavo full length. Maddove.
Il nuovo lavoro dei Doom ha il suono di duecento capre incazzate che abbattono uno steccato. Disarticolato, deflagrante, eccitato, caotico. Furioso è dir poco, insomma, vista quell’imprevedibilità di fondo che riporta a quando certa musica si suonava più che altro disimparando uno strumento. Come ci hanno insegnato i Darkthrone, per dire. Ecco perché rilanciarsi in avanti con una band dalla line-up rinnovata chissà quanto può avere ancora un senso, come a ricordarsi che certe sonorità hanno bisogno pur sempre di una sottile ma inequivocabile urgenza originale, un qualcosa di antico, a pensarci. Magari questo alle band moderne non manca ma se una combriccola di ex dropout ancora riesce a far del male, è segno che la vecchia scuola ha ancora qualcosina da dire. Perché duecento capre incazzate sono sempre duecento capre incazzate. E’ un discorso che si può fare anche nel metal anche se con delle eccezioni evidenti che attengono, credo, al fatto che da noi l’ampio spettro dell’innovazione è vissuto da band e fan come un senso di colpa collettivo. Non saprei spiegarla meglio ma, se magari riesco ad evitare uno dei miei voli pindarici, vi chiederei di riflettere su quanto poco freghi ai punk che dischi come questo abbiano sempre lo stesso suono o no. E basta così.

Il disco esce per la Black Cloud, etichetta casalinga di proprietà della band e segno dell’immutata fede nell’autoproduzione. Si è detto che questo, per quanto interlocutorio, sarebbe stato semplicemente un altro grande album dei Doom. Vediamo il bicchiere mezzo pieno: è vero.

Date pure un’ascoltata voi stessi.

Ciao. (Nunzio Lamonaca)



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