“La nostra cooperazione economica con il Venezuela continuerà, chiunque sia il futuro leader – fanno sapere oggi fonti vicine alla Rosoboronexport, la holding statale russa che si occupa della vendita di armi all’estero – perchè gli accordi firmati hanno il solo scopo di aumentare la sicurezza nazionale”. Un messaggio criptico, che sembra quasi avvisare Caracas che Mosca non tollererà improvvisi voltafaccia, viste le cifre a nove zeri in gioco. Secondo le previsioni degli analisti russi, il Venezuela nel 2015 dovrebbe diventare il secondo acquirente globale di armamenti made in Russia: i russi sottolineano come la cooperazione in campo militare tra i due paesi prevede la costruzione di fabbriche e impianti di produzione, che rientrano in un più ampio programma di sviluppo del paese, “che è interesse primario di qualsiasi governo”.
Dal 2005 in poi Chavez aveva firmato con la Russia una serie di accordi economici che prevedono l’acquisto di armamenti, inclusi caccia aerei Sukhoj, elicotteri d’assalto, e mitra Kalashnikov, di cui il Venezuela aveva ottenuto anche la licenza di produzione in patria: il tutto per l’astronomica cifra di 4 miliardi di dollari (3 miliardi di euro).
Ma anche per quello che riguarda le fonti energetiche il rapporto tra Mosca e Caracas può definirsi particolare. Nel settembre 2009 la compagnia statale Petroleos de Venezuela (PdVSA) ed i giganti energetici russi Rosneft, Gazprom, Lukoil, TNK-BP and Surgutneftegaz (riunti nel Consorzio Petrolifero Russo) firmarono un accordo per sviluppare congiuntamente il giacimento venezuelano Junin 6, situato nella regione petrolifera di Orinoco: Junin 6 ha una capacità estrattiva pari a circa 53 miliardi di barili di petrolio, in un territorio che, secondo la US Geological Survey, dispone di una riserva di 513 miliardi di barili di greggio pesante, quasi il doppio delle riserve conosciute presenti in Arabia Saudita.