I fischi durante il minuto di silenzio della partita Inter-Roma e i cori molesti di Bologna-Verona sono un punto bassissimo della sensibilità del nostro paese; un minuto certamente dovuto in memoria dei migranti morti a largo della Sicilia e rovinato da pochi ma sempre troppi imbecilli. Si può desumere così che la tolleranza e la profondità abitano le mura del calcio, lo avevamo intuito e, ancora una volta, l’irriverenza e l’ignoranza hanno irriso la tragedia umana.
Il minuto di silenzio durante Catania Genoa, finita 1-1 (ilsecoloxix.it)
Quello che però ci vorrebbe è una risposta concreta dalla politica, occupando così lo spazio offerto alla futile polemica o al menefreghismo di alcuni rappresentanti delle istituzioni. Il gesto del sindaco leghista di Gemonio, Fabio Felli, che nella giornata luttuosa di venerdì ha tolto dalla mezz’asta il tricolore è senza senso e rimane difficilmente commentabile. Il quadro politico sul tema immigrazione, poi, ha bisogno un deciso cambio di prospettiva.
L’immigrazione in Italia dura da trent’anni, troppo per far finta che non ci sia; è caratterizzata dalla grande dilatazione temporale e da una zona geografica che dovrebbe essere costantemente monitorata non solo dall’informazione, ma soprattutto da chi deve gestire (al meglio) il problema. Due fattori che determinerebbero un occhio di riguardo e un innalzamento del problema ai primi posti nella politica di Bruxelles e di Roma. Un’Italia che, con personalità come Laura Boldrini ed Emma Bonino dalle carriere politiche in prima linea per i diritti umani di migranti e rifugiati, dovrebbe acquisire maggior peso e voce in capitolo, forza d’iniziativa e vigore europeo, promuovendo magari un tavolo comune per un macro problema di interesse generale. Proposte, slanci e iniziative per tendere le mani dell’Europa agli sventurati che, comandati da un elementare spirito di sopravvivenza, sfidano la morte e molto spesso la trovano.
Il moncherino italiano, a oggi, si muove con lenta impotenza alternata alla forza ferrea della Bossi-Fini. Chi fugge dal centro-Africa si trova intrappolato in un meccanismo giuridico che lo getta dritto in pasto agli avidi scafisti; sulle coste libiche il migrante non è considerato rifugiato politico, non essendo su suolo comunitario e, per accedere a tale status, la sua unica scelta è oltrepassare quel mortale tratto di mare. Il diritto europeo vincola le richieste di asilo solo per chi è già dentro i confini di uno stato membro. I picchi di flussi coincidono ciclicamente con guerre e disastri umanitari nei paesi africani e mediorientali (Siria e Sudan tra i primi). In tale quadro, mettere mano a una legislazione unica sui rifugiati, sarebbe un primo passo in avanti.
Le soluzioni poi non mancherebbero, come il modo di poter già accogliere le richieste dei rifugiati direttamente nelle ambasciate europee delle coste nordafricane, in modo da iniziare la procedura burocratica per accogliere in prima battuta i diritti su carta del richiedente. Questa soluzione è stata fatta propria dalla Germania non molte settimane fa, che ha così aperto le porte a cinque mila siriani che probabilmente non prenderanno la via del mare per raggiungere l’Europa attraverso le nostre coste. L’Italia guarda e non impara, fischia e litiga, disprezza e accoglie, dividendo in facili categorie buoni e cattivi, condannando alla clandestinità o rimandando per decenni il diritto di cittadinanza. L’Italia gira la testa prima di tutto a se stessa, a leggi chiare e omogenee, non accettando gli esempi non si sforza di risolvere i problemi, sbeffeggiando il lutto o limitandosi alla compassione.
Michel Andreetti