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Dopo la morte… las vegas!

Creato il 16 novembre 2013 da Marvigar4

dopolamortelasvegas

DOPO LA MORTE… LAS VEGAS!

Pièce in tre atti di Marco Vignolo Gargini

PERSONAGGI

Doktor M.

Tilde

Wernher

La Madre

PRIMO ATTO

La scena rappresenta un luogo non ben definito, anonimo. Fondale scuro. Al centro due sedie a sdraio, dove sono seduti Doktor M. e Tilde. In mezzo alle sedie un tavolino da giardino con sopra due bicchieri da cocktail. Doktor M. è vestito completamente di bianco, dalla giacca alle scarpe; il candore del suo abbigliamento contrasta con il nero dei suoi capelli tirati indietro con la brillantina e i baffetti. Tilde ha un abito da sera lungo, blu oltremare, ed è scalza.

Doktor M.: Un balcone meraviglioso, uno sguardo infinito sulla natura fiera e selvaggia lungo il Paraná. Il mio regno. Se mi abbandonavo per un istante a contemplare i misteriosi nugoli di verde, gli intrecci caotici della creazione, mi sentivo ancora più padrone della mia vita.

Tilde: Che ne è stato del suo villone?

Doktor M.: Pratica, dunque donna. Mia dolce Tilde, forse tutto sarà stato inghiottito dalla vegetazione. Va bene così. I segreti restano custoditi dai segreti. Nessuno potrà scoprire… Ma, la prego, assaggi il daiquiri che ho fatto appositamente preparare dal mio cameriere personale.

Tilde: Grazie, ma non vorrei fosse troppo forte per me.

Doktor M.: Non deve mica tracannarlo come un bicchiere di vino qualsiasi! Lo sorseggi, lo mastichi come un cibo prelibato, e magari le verranno alla mente i nostri giorni gloriosi.

Tilde: Me lo auguro. Questo presente che non termina mai mi mette l’angoscia. Ricordare è l’unico modo per sopravvivere quaggiù.

Doktor M.: La mia bella dimora bianca sul Paraná…

Tilde: (sorseggiando il cocktail) Più la guardo e più mi chiedo come hanno potuto dipingerla come un mostro. Così raffinato, così sensibile. Lei è pieno di premure, osserva le piccole cose con l’attenzione tenera di un filantropo, poi ama la natura in un modo… convincente. Io la vedo a scrutare nel microscopio, in adorazione, quasi ci fosse Dio sotto la lente a ricevere i suoi sguardi. No. Lei non è un mostro. Io i mostri li ho conosciuti, avevano le fattezze dell’umiltà e nascondevano l’odio, si dedicavano agli altri, ma guai se gli altri riuscivano a diventare se stessi. Non rinunciavano al male, mai, lo riproducevano pur di riaverlo e fingere di combatterlo. Vorrei conoscere i suoi persecutori.

Doktor M.: Mia cara, che curiosità poco incantevole per una creatura come lei! Si sforzi di immaginarli questi piccoli ottusi burocrati della giustizia umana. Braccare uno scienziato che stava per regalare scoperte immortali alla sua specie. Per loro un sognatore è un criminale da annientare. Ma non annoiamoci ancora. Le voglio raccontare un episodio di quando operavo in uno dei miei esperimenti… Era un’attività affascinante.

(Breve pausa in cui sembra seguire un pensiero improvviso che lo ha distolto) No. Qui è tutto perfetto, non puoi desiderare mai niente perché non c’è niente da desiderare. Mi manca qualcosa che mi contrasti, mi contraddica. Avrei venduto la mia vita per trovarmi così… Ma ora… Cosa è successo? Lei è al corrente…

Tilde: Allora? Non vuole parlarmi dei suoi esperimenti?

Doktor M.: (Si alza di scatto, agitato, punta il dito contro la donna. Durante il suo sfogo passeggia nervosamente qua e là e ogni tanto si piazza davanti alla donna, che resta impassibile, gesticolando in modo frenetico.) Non cambi discorso! Le ho rivolto una domanda, una precisa domanda. Lei è al corrente di quello che mi hanno fatto? Io ricordo un parapiglia nella mia camera da letto, con quattro energumeni che hanno sfondato la porta e… non ho fatto in tempo a prendere la rivoltella dal cassetto del comodino… mi sono balzati addosso immobilizzandomi, uno di loro gridava in ebraico, sì, in ebraico, perché alla fine c’erano riusciti a scovarmi, in combutta con qualche traditore mio compatriota venduto al nemico. (Parla ai suoi antichi assalitori) Lasciatemi, bastardi! Non mi potete toccare, i patti sono di non toccarmi. Io conosco i nomi di quelli che hanno collaborato con me contro di voi e poi sono entrati nei vostri servizi segreti, nel vostro parlamento. Io vi faccio saltare per aria! (Di nuovo rivolto alla donna) Li ho schedati subito ad Auschwitz, e lo sa il motivo? Io non sono mai stato un idiota come quei fottuti spaventapasseri in camicia bruna. Non mi fidavo. E lei pensa che in Argentina ci sia arrivato in cambio di niente? Hanno comprato il mio silenzio.

Tilde: Veramente a me risulta che la lista dei collaborazionisti lei l’abbia ricevuta e non creata.

Doktor M.: Sciocchezze! Sono le menzogne con cui hanno tentato di incastrarmi… (improvvisamente calmo) Vedo che alla fine, mia cara, sta gettando la maschera. Ha retto la parte, complimenti. Dunque, lei sa.

Tilde: Oh, non mi attribuisca un ruolo che non ho.

Doktor M.: Ha finto sin dal primo momento. (Imita il tono usato in precedenza da Tilde) Mi chiedo come hanno potuto dipingerla come un mostro. Lei è pieno di premure. Confessi. Da che parte sta? Lei è tedesca come me…

Tilde: Io conoscevo molto bene Wilma.

Doktor M.: (Torna a sedersi, esausto. Beve il suo cocktail tutto d’un fiato.) Wilma. Meine Liebe. E che ne sa lei di Wilma?

Tilde: Era mia sorella.

Doktor M.: (Atterrito) Ma…

Tilde: Doveva proteggermi. Proteggermi da quelli come lei.

Doktor M.: Io, giuro, non le avrei mai torto un capello. Un momento. Sta mentendo ancora! Non vedo alcuna somiglianza con Wilma. Dubito fortemente che lei sia sua sorella. Anzi, ne sono certo. Proteggerla da me! Wilma si fidava di me, mi amava…

Tilde: Come il boia ama la sua vittima.

Doktor M.: Provocatrice! Ma l’avverto: con me non la spunta. (Vorrebbe bere ancora ma si accorge di avere il bicchiere vuoto). Kellner! Dannato fannullone, non è mai qui quando serve.

Wernher: (Accorre un cameriere vestito alla francese, con il grembiule nero lungo fin quasi alle caviglie e il classico vassoio ovale) Il signore desidera?

Doktor M.: Non vedi che il bicchiere è vuoto? Riempilo e portamelo, schnell!

Wernher: Ancora daiquiri?

Doktor M.: Nein. Succo di pompelmo.

Wernher: E la signora?

Doktor M.: Idiota, non vedi che la signora non ha ancora finito di bere? Per lei niente. Vai e portami da bere.

Wernher: Ai suoi ordini. (Esce dando un occhiata di consenso a Tilde)

Tilde: È stato molto sgarbato con me. Una bibita l’avrei gradita. Questo suo cocktail mi disgusta. (Si alza e rovescia platealmente il bicchiere dietro la sua sedia)

Doktor M.: Continui così. Tenti pure di irritarmi. Non andrà molto lontano con questa sua tattica pietosa.

Tilde: Chi le dice che io voglia andare da qualche parte? O che io desideri ottenere qualcosa da lei? Difetta di sangue freddo, Doktor. Prima ha avuto una reazione scomposta, per nulla teutonica. E poi, credere che io sia al corrente della sua fine, dei responsabili della sua fine. Ho solo accettato il suo invito a passare un po’ di tempo sulla plage con lei. Tutto qui. Non ho rivalse, io. (Si siede)

Doktor M.: Dice sul serio?

Tilde: Perché dovrei dissimulare? Forse lei, Doktor, ha dimenticato che ormai per noi non esistono più conti in sospeso. Dispiace vederla insistere con questa logica da mortali. Siamo arrivati, no?

Doktor M.: A quanto pare. Ma per me è quasi impossibile rinunciare all’attività. Mi sento vivo, deploro la noia. Se l’arrivo è la rassegnazione… non è il mio luogo.

Tilde: Sono in molti, quasi tutti, a ritenere che non sia il suo luogo, e per ben altri motivi. Però, è stato deciso per il suo trasferimento qui.

Doktor M.: Chi lo ha deciso? Per favore, la pianti con la commedia, mi riferisca cosa sa della mia sorte.

Tilde: Soltanto che lei è qui con me e non sono stata io a stabilire la sua collocazione. Fosse dipeso da me… (Con particolare disprezzo) Nemmeno l’Inferno avrebbe dovuto accoglierla, e nemmeno il Limbo.

Doktor M.: Senti, senti. E quale sarebbe, di grazia, la mia giusta posizione?

Tilde: Io l’avrei condannata a vivere in eterno per poterla uccidere continuamente, mein Doktor.

Doktor M.: (Estrae una pistola dalla giacca e la punta su Tilde) Cosa è successo?

Tilde: (Impaurita) Ha detto tutto lei. Sono entrati in camera sua. E rimetta a posto quel giocattolo! Vuole uccidermi?

Doktor M.: Lei è molto fortunata. Magari potessi ammazzarla.

Tilde: Non cambierebbe nulla.

Doktor M.: Una stronza di meno. Come s’è permessa di spacciarsi per la sorella di Wilma?

Tilde: Senti un po’, mentecatto che non sei altro, dove l’hai mollata la tua amata Wilma? Finché ti ha fatto comodo te la sei tenuta alle tue dipendenze, anzi, diciamo meglio, l’hai sfruttata, e poi te ne sei liberato. E la mogliettina? Brutto bastardo d’un nazista… (Si precipita verso il Doktor M.: tenta di prenderlo per il collo. Il cameriere, appena entrato, molla il vassoio con il bicchiere e separa i due.)

Non toccarmi… Wernher!

Wernher: Calmati. Stai rovinando tutto.

Doktor M.: (Si divincola e esce dalla stretta di Tilde. Raccoglie la pistola che era caduta nella colluttazione e la rimette nella tasca interna della sua giacca.) Tu sei pazza. Pazza. Ora ho capito a che serve la tua presenza. Tu mi controlli, mi spii, e riferisci.

Tilde: Non puoi più fare male a nessuno. Sono finiti i tempi in cui torturavi la gente ad Auschwitz con i tuoi esperimenti dissennati. La tua mente malata ti ha indotto a crederti superiore persino al Terzo Reich, persino a Dio.

(Al cameriere) E tu, sei sempre lì? Sloggia!

(Il cameriere raccoglie il vassoio ed esce scotendo la testa)

Doktor M.: (Scoppia in una risata beffarda) Povera ingenua! Ti hanno impartito la lezioncina e tu l’hai bevuta. D’altronde, conviene al mondo intero far credere che fossimo dei paranoici, degli psicopatici, usciti dal consorzio dell’umano intelletto. E invece no. Non siamo stati peggiori di chi ha vinto la guerra. Mettetevi l’animo in pace e giudicateci per ciò che è avvenuto in seguito. Le atrocità non si sono fermate con il nostro ritiro.

Tilde: Tu chiami “ritiro” una sconfitta?

Doktor M.: Quale sconfitta? Dimmi, dolcezza, a che pro si sono mossi i vostri benefattori per salvarci il culetto? Forse non lo sai che coloro ai quali tu hai giurato fedeltà hanno fatto il doppio gioco: dichiaravano di volerci annientare e nel contempo elargivano falsi passaporti, ci indirizzavano… (Si blocca per paura di proseguire)

Tilde: Tu vuoi screditare i difensori della democrazia.

Doktor M.: Democrazia. Quanto suona sinistra questa parola! Un passepartout per imbellettare, coprire e propagandare le nefandezze di sempre. Illudi un popolo d’essere al potere, di avere la scelta di riunire un salotto a cui non partecipa mai. Lo chiamano Parlamento, National congress, Assemblée Nationale, Bundestag, Voulì, e altri nomi da circo. Nessuna forma di governo è la migliore, ma la democrazia è la peggiore perché dà una libertà che non è una libertà, bensì un raggiro compromissorio.

Tilde: Non sarà la perfezione, però non puoi negare che offre minore sofferenza ai cittadini…

Doktor M.: Sono chiacchiere. Sono chiacchiere. I cittadini iniziarono a gridare “Vive le roi!” per liberare una fortezza che doveva essere abbattuta, dentro la quale non rimanevano che quattro sozzi individui. Era il 14 luglio 1789. Non hanno preso niente.

Tilde: Vallo a dire ai francesi! Ah già, tu il 14 luglio 1940 eri a Parigi a schiavizzarli, i francesi.

Doktor M.: 14 giugno, mia cara. Informati. 14 giugno 1940. I nazisti entrarono a Parigi in quel giorno. E io non c’ero.

Tilde: Un mese prima o dopo, che differenza fa?

Doktor M.: Questo è vero. Sai, talvolta le date servono agli storici per il loro insulso ricamino. (Guarda Tilde con una ritrovata gentilezza) Senza neanche rendercene conto ci siamo dati del tu.

Tilde: Ho iniziato io a prendermi la confidenza… in modo leggermente cruento.

Doktor M.: Ancora un poco e mi strozzavi. (Ride)

Tilde: (Si unisce alla risata) Ce ne siamo dette, eh? Com’è che ti ho chiamato?

Doktor M.: Mentecatto, bastardo, nazista, stronzo…

Tilde: No, stronzo non l’ho detto!

Doktor M.: L’avrai pensato.

Tilde: Puoi contarci.

Doktor M.: Lo vedi? La sincerità va premiata. Ti ordino da bere.

Tilde: Preferirei un gelatino.

Doktor M.: Vada per il gelatino. I gusti li scelgo io. Per una bella signora come te ci vuole la fragola e qualche frutto di bosco, con uno spruzzo di Kirsch.

Tilde: Niente alcol, per favore.

Doktor M.: Ma è squisito! Su, non fare la sciocchina, fatti servire da un esperto.

Tilde: Visto che l’esperto sei tu… Vada per il Kirsch.

Doktor M.: Kellner! Ora viene il mio cameriere personale. Si chiama Wernher.

Tilde: Lo conosco (Fa un’espressione come se si fosse lasciata scappare qualcosa che non doveva dire).

Doktor M.: Kellner! Ma quanto è lungo, quanto è lungo! Oh, eccoti.

Wernher: (Ricompare con il vassoio) Il signore desidera?

Doktor M.: Due gelatini alla fragola, ribes, more e mirtilli, con uno spruzzo di Kirsch, per la signora e me.

Wernher: Subito! (Esce guardando Tilde con aria interrogativa e riceve in cambio un gesto di rassicurazione)

In sottofondo si sente una musica.

Doktor M.: (inizia a cantare) Spesso a cuori e picche ansiose bocche chiedono la verità, principi e plebe vengono qua, Madama di Tebe le carte fa.

Tilde: Ma che bella voce!

Doktor M.: Modestamente. Conosci questo grazioso pezzo italiano? È un brano dell’operetta Madama di Tebe. Andava tantissimo ai tempi in cui facevo filosofia all’università di Monaco.

Tilde: Oltre a quella di medicina hai una laurea in filosofia?

Doktor M.: Sì. Gustosissima epoca quella che ho vissuto a Monaco. Vidi Madama di Tebe a teatro con i miei compagni di studi. C’era una cantante che ci faceva andare in visibilio, era la protagonista: Ausonia. Il bel canto italiano e l’avvenenza femminile sono sempre state un mio debole.

Tilde: Sulle donne non avevo dubbi. Credevo ti piacesse di più, che ne so?, Wagner…

Doktor M.: Wagner mi piace…

Tilde: … o Mahler…

Doktor M.: No! No! No!

Tilde: Strano, Mahler è così inquietante…

Doktor M.: Un ebreo convertito è sempre inquietante.

Tilde: Convertito?

Doktor M.: Sì, per ragioni opportunistiche. Ma non mi va di parlarne.

Tilde: Fai un po’ tu.

Doktor M.: A Monaco io mi sono sentito in paradiso. Certo, la città non offriva i divertimenti di Berlino, alcuni dei quali discutibili… Ma Berlino era diventata una Babilonia, la capitale dei pederasti. No, non mi guardare con quell’aria, so già cosa nasconde quell’aria. Troppo tardi per una rimostranza. E voi, piccoli borghesi, lo volete proprio sapere? Vi siete massacrati di parole per ricordare gli ebrei morti nei Lager, non altrettanto avete fatto per i pederasti e gli zingari. Che cos’è questo? Qualcuno merita più considerazione di altri? C’è una graduatoria tra le vittime dello sterminio nazista? In seguito la vostra indifferenza, la vostra pregiudiziale indifferenza, ha imposto il primato della memoria e dei triangoli rosa, rossi, viola, eccetera, non s’è più parlato. Tu stai obiettando che a me non spetta alcuna considerazione sull’argomento. Ti sbagli. Io posso parlarne. Come persecutore ho trattato alla stessa stregua ebrei, zingari, pederasti, comunisti e… asociali. Ho dovuto farlo. La vostra morale zoppa chiede perdono per uno e lascia l’altro a mordere la polvere. Morale piccolo borghese, morale razzista, sì, razzista. Ah, ah, ah! I veri razzisti sono quelli che praticano la pietà dimezzata. Noi, non facendo distinzioni, ammazzavamo chiunque uscisse dai canoni della razza ariana.

Tilde: Le menti perverse praticano un egualitarismo perverso.

Doktor M.: Mia cara, nella vostra bella società noi mettevamo tutti sullo stesso piano.

Tilde: Mi sembra di sentire uno di quei personaggi criminali da romanzo ottocentesco, oppure l’eroe negativo dei fumetti americani, tipo lo scienziato pazzo che sogna di dominare il mondo.

Doktor M.: Lo abbiamo dominato, per poco, ma lo abbiamo dominato. In fondo è stato dimostrato che un gruppo ben organizzato di menti da manicomio, come le giudicate voi, potevano mettere in scacco l’intera umanità.

Tilde: Anche tu ne facevi parte.

Doktor M.: Io ero al di sopra delle parti. Per i miei esperimenti ho commesso azioni di una crudeltà raffinata, non mi costa niente confessarlo. E già mi ero accorto che le teorie sulla superiorità ariana, sullo slancio vitale, non potevano avere futuro senza il dominio del Terzo Reich. La vostra morale oltretutto è stata sempre così poco pratica, difatti niente ha potuto contro il Male, quando il Male ha trovato clamorosamente impreparati e, diciamolo, indifferenti i tutori delle libertà.

Tilde: Tu non hai mai avuto una morale?

Doktor M.: Stai scherzando? E che me ne facevo di una morale? Quando sei di fronte ad un interessantissimo caso che necessita di applicazione, di studio, di cimento, devi fottertene delle implicazioni morali. La scienza, la scienza! Wissenschaft über alles!

(Si scuote dalla sua esaltazione ed esclama con forza) I gelatini! Io esigo i miei gelatini!

Tilde: Se li sarà dimenticati.

Doktor M.: Quel rammollito…

Tilde: Bisogna considerare che il lavoro non gli manca. Avrà le sue ordinazioni…

Doktor M.: D’accordo, voglio essere paziente e attendere. Il tempo non è un problema. Almeno per me non lo è mai stato.

Tilde: Questo è il guaio.

Doktor M.: In che senso?

Tilde: Se tu avessi considerato la tua condizione, diciamo, provvisoria, saresti stato meno assatanato nelle tue ricerche.

Doktor M.: Discorsi da femmina. Non mi si dica che ho preteso di trascendere. Gli studi che ho eseguito sulla genetica sono stati riconosciuti universalmente… sebbene quei pavidi dei ricercatori abbiano avuto il pudore vigliacco di non nominarli mai. Inutile che tu mi guardi così. Pudore vigliacco. Vi sono dei meccanismi alla base…

Tilde: Conosco l’argomento. Non preoccuparti sei passato alla storia per la tua delirante “scienza dei gemelli”.

Doktor M.: Che ne sai tu della “scienza dei gemelli”!

Tilde: Non eri tu quello che cercava di produrre artificialmente dei bambini con gli occhi azzurri…

Doktor M.: Non sei abbastanza edotta sull’argomento. Avrai leggiucchiato qualche testimonianza…

Tilde: Se ne è parlato molto dei tuoi esperimenti, anche lo stesso Simon Wiesenthal…

Doktor M.: Non me ne importa nulla di Wiesenthal.

Tilde: Già. Mi sono sempre chiesta com’è che Wiesenthal si sia mosso molto tardi per trasmettere i tuoi dati…

Doktor M.: (Con grande ironia) Le autorità di Bonn hanno ricevuto il mio indirizzo in Argentina soltanto nel 1959, e il 5 luglio dello stesso anno la procura di Freiburg im Breisgau spiccò un formale mandato di cattura contro di me. Chiesero al governo di Buenos Aires l’estradizione. Peccato. Ero già altrove. Prima in Cile, poi in Perù, e alla fine in Paraguay. (Risata demoniaca)

Tilde: Chi ti aiutò? Adesso lo puoi svelare.

Doktor M.: I morti son morti. A che pro starli a scomodare?

Tilde: Rimane un mistero il fatto che Eichmann sia stato catturato con tanta facilità, mentre tu…

Doktor M.: Oltretutto te la sei presa persino con Simon Wiesenthal. Non dire di no. Dalle tue frasi si evince una larvata accusa di… complicità.

Tilde: (Con decisione) Non mi permetterei mai!

Doktor M.: E allora, non hai forse dei sospetti?

Tilde: Tu vuoi che io affermi cose che non ho mai pensato.

Doktor M.: La nostra è una grande vittoria sulla morale corrente: in pratica abbiamo instillato dubbi in ogni mente. Per apparire umani l’imperativo ipotetico, secondo le forme kantiane, si fonda sul riconoscimento pubblico della malvagità dei malvagi al fine d’ammantare le istanze dei buoni con il colore della pietà, della misericordia. Ma nell’intimo di ciascuno gli interrogativi contrastano l’atteggiamento di parata. Domandati se sei aliena da qualsivoglia attrazione per il genio del Male.

Tilde: Se Wiesenthal s’è mosso in ritardo ciò non implica che io sospetti di lui. Né che io ammiri l’abilità con cui sei riuscito a nasconderti per più di dieci anni. Né che io mi senta segretamente ammirata dalle gesta dei nazisti.

Doktor M.: Puoi essere sincera una volta tanto.

Tilde: Lo sono.

Doktor M.: Ne dubito. Per esempio… Che rapporti intercorrono tra Wernher e te?

Tilde: Non ti seguo.

Doktor M.: Prima hai detto di conoscerlo.

Tilde: Avrai capito male.

Doktor M.: Il mio udito funziona benissimo, è al di sopra della media e riesce a percepire suoni negati ad altre orecchie.

Tilde: Io non lo conosco Wernher.

Doktor M.: Eppure, quando ci ha separati lo hai nominato, con il suo nome di battesimo, e lui ha aggiunto che tu stavi rovinando tutto.

Tilde: E dimmi, perché dovrei conoscerlo?

Doktor M.: Sei tu che devi risponderti. Vagliamo un’ipotesi? Il cameriere non è un cameriere. Wernher ha una funzione di controllo sulla mia persona. Tu collabori con lui sotto mentite spoglie. Mi hai adescato approfittando della mia notoria passione per le belle donne. Sei venuta immediatamente con me, senza battere ciglio, come una sgualdrina…

Tilde: Piano con le parole!

Doktor M.: Come una donna disinvolta. Ti piace quest’espressione?

Tilde: No.

Doktor M.: Neppure questa.

Tilde: Non mi piace il gioco.

Doktor M.: Lo credo bene: non sta andando secondo le tue previsioni. I cenni, le frasi ammezzate, gli ammicchi, sono elementi che io non mi lascio sfuggire. Sembro distratto, vagamente rimbecillito, mentre in realtà i miei sensi captano le sfumature, i piccoli dettagli, ogni cosa. Vorrei che tu accettassi un dato: non ero io ad aver bisogno del Terzo Reich, ma era il Terzo Reich che aveva bisogno dei miei servigi. Gli alleati, i tuoi cari alleati, hanno deliberatamente protetto il sottoscritto. Vincere una guerra non è nulla, l’essenziale è accaparrarsi la parte migliore del bottino. Io ero un bocconcino prelibato. Perseguitarmi? Hanno deciso di tutelarmi finché non si sono resi conto che non ero disposto a farmi comprare. Ti è chiaro adesso il concetto? Con il mio compatriota Wernher von Braun sono stati più fortunati… (risatina).

Tilde: Von Braun non era un carnefice!

Doktor M.: Macché! Ha solamente progettato il razzo V-2 con cui sono stati uccisi alcuni cittadini britannici. Questi sudditi di Sua Maestà britannica possono andare fieri d’esser stati immolati per consentire all’uomo di scendere sul suolo lunare.

Tilde: Mi hai messo addosso una curiosità: quando ti hanno contattato…

Doktor M.: Sei furba, ma non abbastanza. Il mio labbro tace. Come il tuo. Non vuoi parlarmi di Wernher, non ti decidi a svelarmi i retroscena dell’operazione che mi vede coinvolto.

Tilde: Ti giuro che avrai tutte le delucidazioni che chiedi, e per te sarà una sorpresa scoprire che gli alleati hanno continuato a proteggerti. E che alleati!

Doktor M.: Il genio ha un alleato che ne vale miliardi: la storia. Si può rimproverare Leonardo Da Vinci per aver realizzato macchine da guerra destinate a Lodovico il Moro, si può sputare su Martin Heidegger per la sua posizione ambigua verso la Germania nazista, si può maledire Robert J. Oppenheimer per i suoi esperimenti che hanno contribuito alla realizzazione della bomba atomica, ma la storia farà piazza pulita del moralismo e deciderà che un genio non ha prezzo e non può essere giudicato.

Tilde: Paragonarsi a Leonardo e Heidegger! Un’alta opinione di sé…

Doktor M.: Detesto i falsi modesti.

Tilde: Mi sembri lievemente inferiore rispetto ai geni che hai citato.

Doktor M.: Io, come Amleto, non conosco “sembrare”. Delle tue graduatorie sugli ingegni umani non so che farmene. Tu non possiedi una riga su nessun testo, non c’è un saggio o un’opera di varia letteratura che ti ricordi.

Tilde: Non mi lamento. La storia s’è disfatta di me. Perfetto! Il giorno che vedrà l’intera umanità riunita quaggiù, sul pianeta Terra non esisterà più un cane che possa leggere le tue fottute testimonianze. Non ci sarà traccia di te.

Doktor M.: (Applaude beffardo) Brava! Questa piccola orazione merita un brindisi… Ah! Quel deficiente del tuo amico non ha ancora portato i gelatini.

Tilde: Lo chiamo io il mio amico. Wernher!

Wernher: (A passo spedito entra) Ecco i due gelatini alla fragola, ribes, more e mirtilli, con uno spruzzo di Kirsch, per la signora e per lei. Scusatemi se vi ho fatto attendere. In segno di ammenda ho aggiunto due calici di champagne, omaggio della casa.

Doktor M.: Mi hai letto nel pensiero, Wernher. Già, avevo desiderato brindare e tu sei venuto subito con due calici di champagne. (Piccola pausa) Che champagne?

Wernher: Il migliore. Un Dom Perignon.

Doktor M.: Quale annata?

Wernher: (Indeciso) Dovrebbe essere…

Doktor M.: Dovrebbe?

Wernher: Sono desolato, ma non mi sono informato.

Doktor M.: Vieni qua, imbecille, e porgimi il vassoio con la bottiglia e il resto.

Wernher: È vero. Sulla bottiglia viene menzionata l’annata…

Doktor M.: Bella scoperta! (Guarda con cura la bottiglia prendendola dal tavolino su cui il cameriere ha poggiato il vassoio) 2013! Non ho gli elementi per giudicare, io nel 2013 non c’ero più.

Wernher: Dovrebbe essere un’annata favolosa.

Doktor M.: Senti tu, mi hai scocciato con i tuoi “dovrebbe”. Lo deciderò io se l’annata è stata favolosa. Madame, facciamo questo brindisi intanto.

Tilde: Al 2013!

Doktor M.: No. Brindiamo ai nostri segreti, alle nostre reciproche indagini, alla nostra estraneità.

Tilde: Se vuoi…

(Si alzano e fanno il brindisi)

Doktor M.: Assaggiamo… (Prima di bere esegue le operazioni di un sommelier) Chardonnay schietto. Profumo inconfondibile. Retrogusto ineccepibile. Peccato che sia chambré

Wernher: Come?

Doktor M.: Lo champagne non va mai servito a questa temperatura. Un intenditore come me percepisce la qualità del vino, nonostante le sue deplorevoli condizioni. Caro Wernher, ho l’impressione che in questo luogo lo champagne non venga servito abitualmente.

Wernher: Ha ragione. Da quando sono in servizio non ricordo un’ordinazione simile.

Doktor M.: Questa casa è popolata da gente senza gusto.

Tilde: Questa non è una “casa”, o perlomeno non lo è più.

Doktor M.: Sia quel che sia, i dilettanti che la abitano non hanno rispetto per la raffinatezza. Mi fanno bere del piscio di cavallo!

Tilde: Piscio di lusso.

Doktor M.: Incompetenti. Zotici. Ma dove diavolo siamo, che roba è? Chi manda avanti la baracca?

Tilde: Oh, un tempo era semplice rispondere… Un gioco da ragazzi. La questione non si poneva. I nostri interrogativi riguardavano il resto. Di tutto era lecito dubitare, eccezion fatta per questa verità assoluta. Poi avvenne l’imprevedibile. La notizia non giunse mai perché non era una notizia per l’umanità. Non esistevano inviati, reporters, agenzie di stampa sul posto. E senza costoro, nessuna notizia. Eppure, i destini si compirono su un panno verde e a perdere fu colui che non doveva mai partecipare al gioco. L’autentica Apocalisse. I testi non vennero aggiornati, le profezie gestite dai mortali si incartapecorirono, divennero ingombri per gli scaffali, nuvolaglia per la mente degli studiosi. Mentre il mondo proseguiva il suo futile cammino, rimuginando antiche teorie, qualcuno aveva già deciso di cedere…

Doktor M.: Per la prima volta tu mi incuriosisci.

Tilde: Non mi curo dei tuoi sentimenti.

Doktor M.: Chi si è seduto a giocare?

Tilde: Non importa. Io ho assistito alla partita, l’unica, vera partita mai disputata. Potrei riferirti come si è svolta, quali puntate sono state sufficienti per spazzare via le illusioni di millenni. Adesso ricordo le mani, la tensione, lo sconforto. Lui doveva rifarsi, c’era un’ultima possibilità. Cambiare. Credito illimitato, vantaggio infinito. Letale capriccio. Senza colpa. Il peggiore capriccio, quello che manda in rovina tutti. Eccolo, lo vedo ora come allora mentre si accomoda spensierato. Non si fingeva sereno. Lo era. Purtroppo. Avesse avuto paura! Invece lanciò le sue fiches… Vinceva sempre. Durava eternamente la sua fortuna. I compagni che accettarono di seguirlo non si dettero pena. Dov’era il pericolo? Piano piano ricomparvero le illusioni che avevamo perduto, si ripopolarono i conforti… Una scommessa! Riportarci là.

Doktor M.: Forse inizio a intuire.

Tilde: È una magra soddisfazione. Tu non hai osservato la puntata, non hai seguito con gli occhi la pallina d’avorio girare e girare e girare.

Doktor M.: Su quale numero s’è fermata?

Tilde: Naturalmente sullo zero. Che buffo, l’unico che ha lo sfondo verde, il colore della speranza.

Doktor M.: Così abbiamo perso.

Tilde: Prima o poi doveva accadere.

Doktor M.: Non lo riconquisteremo mai più?

Tilde: Sbagliato. Si può ancora giocare.

Doktor M.: Vorresti ripetere la partita?

Tilde: La perderemo di nuovo. Dobbiamo giocarne un’altra.

Doktor M.: (Sbadiglia) Con altri giocatori…

Tilde: Basta sostituirne uno, quello che ha commesso l’errore.

Doktor M.: (Continua a sbadigliare) Sì, hai ragione… Che sonno che mi è preso. Non ti spiace se mi riposo un poco?

Tilde: Addormentati. Ci servi in forma. Sarai tu a giocare.

(Doktor M. sta già ronfando. Le luci si abbassano. Cala il sipario.)



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