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Doppelgänger di Gian Guido Zurli: la recensione

Creato il 07 aprile 2015 da Onesto_e_spietato @OnestoeSpietato

DoppelgängerDicesi doppelgänger qualsiasi doppio o sosia (spettrale o reale) di una persona vivente. Il termine, che viene dal tedesco, è composto da doppel (“doppio”) e gänger (“che va”, “che passa”). Doppelgänger di Gian Guido Zurli cerca di ritornare e riproporre quel cinema di genere mystery/horror che in Italia, prima d’essere relegato all’oblio, ha visto il suo periodo d’oro negli anni Settanta. Doppelgänger non solo cerca di essere il doppio e il sosia di un genere che il cinema nostrano sembra aver dimenticato, ma prova anche a non farlo “passare” bensì restare nel cinema odierno.

Non a caso la storia si ispira alle atmosfere del libro Il Segno del Comando di Giuseppe D’Agata, da cui proprio negli anni Settanta nacque uno sceneggiato RAI, nonché qua e là al primo Pupi Avati (Balsamus, l’uomo di Satana del 1970, Thomas e gli indemoniati sempre del 1970, La casa dalle finestre che ridono del 1976) e Mario Bava (maestro assoluto del cinema di genere italiano). Pur riuscendoci solo in parte, Doppelgänger tenta di ricreare quel mood, quel modo di fare cinema spesso anche grezzo, artigianale, imperfetto.

Film indipendente low budget pensato per la distribuzione web attraverso Vimeo On Demand, Doppelgänger di Gian Guido Zurli ci propone una storia che si sdoppia (appunto) su due distinti piani temporali assai lontani fra loro: il 1817 e il 2017. Un passato remoto (ma non troppo) e un futuro prossimo. Protagonista una giovane donna che al risveglio si ritrova “imprigionata” in un incubo reale, tormentata dal ritorno dal passato di una donna identica a lei.

Pur con evidenti limiti e imperfezioni sia nella regia sia nella prova attoriale dell’intero cast, due elementi che nel complesso rendono il film fortemente amatoriale, Doppelgänger ha però il pregio non solo di ri-approcciarsi alla via del cinema di genere, ma di saper osare giocando su due spazio-tempi che hanno del sinistro e puntando su una mise-en-scène che volontariamente colloca i personaggi “sopra” la storia, sospesi e galleggianti tra due anni “capitali” distanti due secoli. I personaggi sono sagome, quasi fantasmi, che fluttuano e camminano sulla linea del tempo del film, ma ne sono pure fuori. È un aspetto, questo, accentuato da una colonna sonora (per lo più al pianoforte) che, pressoché ininterrotta lungo tutto il film, facilita il coinvolgimento emotivo dello spettatore.

Insomma, il lato buono di Doppelgänger sta nell’idea e nel suo essere “esperimento” di un ritorno al passato ma nel presente. Sorvolando sui difetti di un film che non ha i mezzi (non solo economici) per raggiungere il grande pubblico, Doppelgänger ha però dalla sua il fatto di serbare in sé un germe interessante su cui crescere ed evolversi. Con maggiore attenzione allo stile registico e alla recitazione potrebbe diventare qualcosa di nuovo da vedere, se non al cinema, quantomeno in Tv.

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