Il servo encomio che certa stampa italiana ha riservato alla visita americana di Monti, ha valicato ogni limite di buon gusto e di decenza, soprattutto tenendo conto che in Usa il trionfale passaggio ha ottenuto un pezzullo di poche righe sul Washington Post e un’altro sul Nyt, dovuto solo alla visita del premier in redazione. Dal momento che chi scrive ha avuto il suo esordio sulla prima pagina di una giornale bolognese in occasione della visita del re di Tonga, so bene di cosa si tratta. Ma questo exploit di compiacenza da parte di editori interessati e coinvolti nella macelleria governativa, ha anche un altro movente: quello di far intendere tra le righe l’esistenza di un conflitto tra Usa e Germania e quindi la possibilità di giocare su due sponde per scamparla in qualche modo.
L’accattonaggio molesto che si esprime in questa idea fatta balenare sotto pelle, è però quanto di più ingannevole ci possa essere, perché intanto molta parte delle ricette derivano proprio da quella finanza che ha trovato in america il suo covo e poi perché i contatti ad ogni livello, compreso quello editoriale ( qui un esempio illuminante), tra Usa e Germania sono più stretti di quanto si possa immaginare. Questo non toglie che ci sia un conflitto latente tra i due contendenti, ma è di natura tale da offrire pochi appigli ai vasi di coccio quali noi siamo, anzi si presenta come distruttivo per chi segue pedissequamente le ricette imposte.
Si tratta della guerra intorno all’euro che tuttavia si sviluppa su piani diversi, quello geopolitico e quello elettorale che coinvolge sia Obama che la Merkel. Gli Usa in particolare stanno conducendo un doppio gioco di cui è vittima la Grecia, ma che potrebbe vedere sacrificata anche l’Italia. In questo momento Obama deve sostenere a tutti i costi la politica della Merkel perché se saltasse l’euro l’ondata di crisi che ne seguirebbe toglierebbe al presidente ogni speranza di rielezione. Quindi si massacri pure la Grecia per costringerla a rimanere nell’area della moneta comune, nonostante che per farlo sia costretta a tornare a un medioevo moderno. E la stessa cosa vale per l’Italia o per il Portogallo o per la Spagna. Obama è il primo a non credere nelle politiche di austerità e di massacro sociale, anche se questo piace molto all’Fmi e alla finanza americana, ma non può muovere un dito in questo senso. Né lo può la Merkel che in totale declino di consensi non è in grado (né lo vuole) contrastare l’opinione degli integralisti monetari di Bundesbank e l’area conservatrice del Paese, anche se sa di star correndo un grosso rischio stringendo i cordoni della borsa.
Diversa è invece la strategia a lungo termine, nella quale l’euro costituisce una spina nel fianco degli Usa. E’ ben noto che il dollaro trae la sua forza dall’essere la moneta corrente degli scambi di materie prime per cui la federal reserve può stampare quante banconote vuole senza che nessuno sia interessato a mettere in discussione il valore nominale del biglietto verde. Una situazione che è poi anche alla radice delle incredibili bolle finanziarie degli ultimi dieci anni. Certo il gioco non può andare avanti all’infinito e da tempo i governatori della banche centrali di Cina, Brasile, Russia, Paesi del golfo, Giappone stanno lavorando per sostituire il dollaro con un paniere di monete al cui centro ci sarebbe l’Euro e che servirebbe a pagare quanto meno le materie prime energetiche. Negli anni a venire dunque gli Usa avrebbero tutto l’interesse a vedere crollare una moneta che funge da collante nelle manovre antidollaro.
In questa battaglia è chiaro che rischiamo di fare la fine dei topi: prima di svendere il Paese e la stessa democrazia alla finanza e ai potentati di vario tipo siano essi tedeschi o americani (la vicenda Fiat è una prova generale) e poi dopo esserci messi le pezze al culo per stare dentro una moneta forte, rischiare di vederla saltare. Perché tra l’altro non è detto che la Germania non finisca per decidere un auto affondamento: anche lei è in fondo impegnata in un doppio gioco. Insomma le possibilità di manovra dentro questo braccio di ferro sono pochissime e si basano non sull’adesione a questa o quella filosofia o all’ambiguità di comportamento, ma solo sulla capacità di interdizione nei confronti di manovre e ricette anguste o legate alle occasioni di scontro elettorale. Insomma proprio su ciò che ci fa paura: l’indipendenza.
Naturalmente questo richiederebbe un’opinione pubblica consapevole, una politica decente e uomini legati al destino del Paese, piuttosto che agli amici di Wall Street o di Berlino. Esattamente tutto ciò che non abbiamo.