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Doppia recensione: Le sorelle Soffici di Pierpaolo Vettori

Creato il 08 maggio 2012 da Viadeiserpenti @viadeiserpenti

Recensione di Caterina Di Paolo

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Doppia recensione: Le sorelle Soffici di Pierpaolo Vettori
manzésco, agg. straordinario – inverosimile – avventuroso – fantastico – immaginario – inventato – incredibile. CONTR. vero – verosimile – comune.

[Sinonimi contrari. Dizionario essenziale, Decio Cinti; De Agostini, Novara 2006]

Veronica ha diciassette anni, un padre ricco, una matrigna infida e una sorella, Cecilia, di cui prendersi cura. Tiene un diario come le ha consigliato Emily Brontë, che però non ha saputo aiutarla quando Cecilia è morta. Veronica ha quindi deciso di affidare il suo scritto a John William Polidori, medico personale di Lord Byron, suicida nel 1821 per un debito d’onore. Veronica sa parlare con i libri e divide la sua camera con Cecilia, San Michele e San Rocco. Di cognome fa Soffici come la marmellata che il padre produce e come la bambagia di una vita da ricchi. Fino a che il padre non si ammala e la matrigna si allea con un ratto per impadronirsi delle ricchezze accumulate: queste trame oscure hanno portato, secondo Veronica, alla morte di Cecilia.

«I miei occhi hanno un taglio vagamente orientale. Ho scoperto che tengo la testa un po’ inclinata da un lato e questo mi dà un’espressione torva e inquisitiva. Cecilia invece sembra un angelo. Bionda e robusta, cammina dritta e grave come una dea greca. La gente non può fare a meno di voltarsi a guardarla. Il giornalista della televisione l’ha descritta come “la bella e sfortunata figlia del Cavalier Soffici”. Sfortunate vuol dire che siamo stupide, e adesso lo sa tutta l’Italia.»

Leggere il diario di Veronica è un modo totalizzante e un po’ morboso di essere calati nella prospettiva del narratore. Se la forma diaristica, di primo acchito, può sembrare un espediente poco originale, il tono sincopato e cupo della protagonista nel narrare eventi ambigui e inquietanti trascina in un bosco fitto di immagini confuse, senza che sia possibile sapere quanto appartengano agli occhi di Veronica e quanto al mondo che la circonda. Pare inizialmente di essere calati nei fatti nel modo più diretto, e invece dagli eventi si è sempre più lontani, procedendo nella lettura. Ma non è forse questo che succede sempre, quando descriviamo cosa ci accade? Se il linguaggio è metafora, Vettori giostra molto bene la sospensione dell’incredulità introducendo fin dall’inizio figure evocative che paiono similitudini della narratrice, per poi espandere la distopia in ogni elemento del diario: il sogno di salvezza e realizzazione di Veronica è unirsi a un circo, dove l’assurdità del reale, in quanto norma, pare esorcizzata.
Il romanzo non è una descrizione oggettiva della realtà. Un romanzo costruito su un diario è due volte soggettivo. Leggere il diario di una persona inventata che racconta un mondo al limite del possibile è un labirinto retto dalla capacità affabulatoria e dalle immagini che il narratore è capace di creare. L’autore disegna un’atmosfera vertiginosa e fa montare la tensione nel ricostruire la morte di Cecilia, una ragazzona d’altre latitudini, sospesa e inconsapevole. Ciò che in alcuni passi delude, nello stile, è una tendenza allo svolazzo letterario – anche se Veronica è una lettrice vorace, in alcuni casi sembra che sia un po’ troppo consapevole che il suo diario verrà letto, e non solo da Polidori, soprattutto nelle descrizioni: «il suo viso magro, abbronzato, aveva un sorriso di scherno, quasi una linea rossa e sottile che si curvava da un lato, attorcigliandosi come un curioso lombrico. […] Ha osservato con attenzione il suo petto glabro e asciutto dove i muscoli nervosi si contraevano intervallati da grosse vene azzurre. Infine si è girato verso di lei, slacciandosi l’orologio sportivo troppo grosso per il suo polso sottile».
Le Sorelle Soffici contiene dei forti rimandi alla Alice di Carroll come alle
Verginisuicide di Eugenides, e insieme dichiara i propri modelli letterari con i libri e gli scrittori a cui fa continuo riferimento Veronica: ecco di nuovo la scatola cinese del libro nel libro, la realtà nel romanzo e nel diario, gli occhi del narratore che non è onnisciente, come nessuno di noi è.

Per approfondire:leggi la recensione di Alessia Caputo su Via dei Serpenti
leggi la recensione su
Panorama.itleggi la recensione sul Recensore


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