In viaggio, si sa, occorre sempre una buona dose di adattabilità. Soprattutto se si è in cerca di un po’ di avventura e per inseguirla si è disposti ad abbandonare i percorsi più battuti e a mettersi alla prova in circostanze alquanto eterogenee. Eccoci allora zaino in spalle pronti a sfidare caldo e freddo, fame e sete, attraverso lande desolate e città infestate da venditori ambulanti di patacche. Poi, allo stremo delle forze, ecco l’immancabile preoccupazione impossessarsi della nostra mente: e ora dove cavolo vado a dormire?
Spesso i miei amici mi domandano perché non mi porto dietro una tenda. Io non mi faccio mai scrupolo di rispondere seccamente: non sono capace di montarla. Esatto, non sono un provetto campeggiatore, anzi. So che in fondo montare una tenda è un’operazione relativamente semplice, ma non riesco a convincermi che proprio io, che l’ultima volta che volevo appendere un quadro in camera ho quasi crocifisso il gatto, con una tenda nello zaino – sempre che trovasse posto – sarei diretto verso un roseo futuro nelle lande semidesertiche dell’Africa o dell’Asia.
Allora bisogna fare uno sforzo di immaginazione in più e cominciare a elaborare un piano per trascorrere la notte al riparo da tigri e zanzare. Considerato che non siamo in una località di villeggiatura, o che le abituali strutture di ricezione superano il budget consentito, non resta che indagare tra le gente del posto e verificare la presenza di alternative. Per i più pigri – tipo me – una possibile soluzione consiste nell’infilarsi in un taxi e convincere il conducente a farsi portare verso l’alloggio più economico che gli venga in mente. Cosa non sempre facile, considerando che probabilmente l’autista non parlaa la nostra lingua e che forse il colore della nostra pelle gli suggerisce che per noi un posto economico potrebbe essere il Ritz o l’Hilton della capitale.
Mentre ero in viaggio in India – dove nonostante l’aspetto da occidentali sono abituati all’idea che chi cammina schiacciato dal peso di un enorme zainio ha li braccino corto – sono riuscito a farmi sistemare un paio di volte in una camera di emergenza: la soffitta, un abitacolo senza luce né finestre o il sottoscala dove venivano infilate le scope e altri utensili. Anche viaggiare in Africa mi ha permesso di sperimentare alcune soluzioni notevoli. In Egitto, a Esna, non trovando un albergo in città un passante alla fine mi ha detto semplicemente “puoi stare da me”, ed è stato l’alloggio più gradevole e interessante che mi fosse capitato nel Paese dei faraoni. Nel Sudan del Sud mi sono fatto ospitare in una tenda “difettosa” (non so chiudeva!) in una sorta di campeggio per coooperanti, mentre in altri casi ho dovuto dividere la mia camera con pellegrini, viandanti, profughi, o semplicemente non c’era altro spazio se non quello necessario alla branda.
In ogni caso si è sempre trattato di prove interessanti per la mia capacità di adattamento e raramento mi sono pentito di aver accettato di prendere alloggio in una struttura di fortuna. Beh, forse quella volta in cui la mia finestra si affacciava sui binari della ferrovia…
A Tiruvannamalai (India) dormivo sul tetto di un palazzo. L’interno della mia camera sul tetto a Tiruvannamalai (India). La mia sistemazione a Puri (India) consentiva a malapena di scendere dal letto. La mia tenda con la chiusura difettosa a Juba (Sudan del Sud). A Nkhata Bay (Malawi) l’ostello disponeva di camerate in bambù affacciate sul lago. Il Crown Lodge, proprio dietro la stazione di Lilongwe (Malawi), oltre alle solite camere disponeva di tende all’aperto fornite di un letto al loro interno. A Esna (Egitto) sono stato ospitato in una specie di scantinato da un abitante del luogo. Le camere di alcuni alberghi a Kampala (Uganda) non hanno la porta, ma sono pulite e molto comode. Moshi (Tanzania). Camera senza bagno e televisore sotto chiave. Il Fun Time Hotel, a Juba (Sudan del Sud), è tra i pochi ad avere camere per meno di 50 dollari, ma sembra anche sopravvissuto a un bombardamento. A Wadi Halfa (Sudan) non ci sono molte strutture, e tutte hanno camere in comune spesso usate dai viaggiatori diretti in Egitto per affari o per motivi religiosi.
Flavio Alagia
Dopo una laurea in giornalismo a Verona, mi sono messo lo zaino sulle spalle e non mi sono più fermato. Sei mesi a Londra, un anno in India, e poi il Brasile, il Sudafrica… non c’è un posto al mondo dove non andrei, e non credo sia poco dal momento che odio volare. L’aereo? Fatemi portare un paracadute e poi ne riparliamo.
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