Sono una cultrice, neanche troppo occulta, della leggerezza. Eppure questo 2015, dalle pagine virtuali del Salone del Lutto, ho voglia di iniziarlo in modo importante, con un libro che ho già nominato un paio di volte e che ho “scoperto” per caso, grazie al mio amico Luca. Un whatsapp, una foto: una pagina in cui si parla di Luciano Bianciardi. In alto nella pagina, pochi elementi identificativi: nome e cognome, professione, data di morte. Il libro è subito mio.
Dormono sulla collina è il nuovo saggio di Giacomo di Girolamo, giornalista siciliano, che si ispira alla collina descritta da Edgar Lee Masters e poi cantata da Fabrizio de André e la ricrea come un qualcosa di proprio, come un fatto italiano. Sotto quella collina dormono in molti, i buoni e i malvagi, i personaggi importanti e le madri di famiglia, le cui morti rappresentano tutte, ognuna in modo diverso, dei tasselli importanti per ricostruire la storia del nostro paese, dal 1969 al 2014.
Morti che si possono leggere l’una dopo l’altra, in ordine cronologico, a partire dal 12 dicembre del 1969, quando la prima delle “sorelle d’Italia, la bomba di Piazza Fontana ”, esplose alle 16,37 facendo 17 vittime e 88 feriti. «In televisione, a Canzonissima, Massimo Ranieri canta “Se bruciasse la città”. Mancano 12 giorni a Natale». O che si possono leggere attraverso percorsi tematici: quello delle “sorelle d’Italia” ci porta, ad esempio, a ricordare le altre bombe esplose quel 12 dicembre (le sorelline), l’Italicus il 4 agosto del ’74, piazza della Loggia, Brescia, il 28 maggio 1974, la stazione di Bologna il 2 agosto 1980, la strage del rapido 904 il 23 dicembre 1984, Capaci il 23 maggio 1992, via Mariano d’Amelio il 19 luglio 1992, via dei Georgofili il 27 maggio 1993, Roma e Milano il 27 luglio 1993.
È un libro denso, scritto sempre in prima persona, attraverso le voci di tutti quelli che si sono addormentati – spesso, troppo spesso, non per cause naturali – o delle bombe esplose o delle trasmissioni televisive che hanno chiuso i battenti o dei decenni che si sono spenti… Ed è un libro che ci fa riappropriare, come dev’essere, della memoria del nostro passato. La memoria è importante. Ricordare è importante. E io, che ho 40 anni, mi rendo conto che di tutti questi morti, che sono importanti per la storia del mio paese, per la mia storia, mi ricordavo o sapevo pochissimo. Certo: ho dei ricordi della morte di Moro – quando se ne parlava, al telegiornale, avevo quasi quattro anni, mangiavo i Pavesini e capivo, più o meno, quel che era successo; ho dei ricordi di Bologna – una vignetta di Forattini, perché allora non facevo selezioni, con le due torri, lunghe braccia nere che terminavano con mani prostrate e gocce di sangue che colavano giù; o delle immagini molto più nitide della morte di Falcone e di Borsellino. E di molti altri ancora. Ma tanti, tantissimi, non sapevo neppure chi fossero o, se lo sapevo, li ho poi lasciati scivolare via, dimenticandomene.
Vi ricordate di Barbara Rizzo? Pizzolungo, 2 aprile 1985. Una madre stava accompagnando a scuola i suoi due gemelli a bordo della sua Volkswagen Scirocco, che a un certo punto fu superata da una 132 blindata, seguita da una Fiat Ritmo, non blindata. A bordo della prima auto c’era il giudice Carlo Palermo, trasferitosi da appena due mesi a Trapani. La bomba destinata a ucciderlo fu esplosa comunque. Ma la Scirocco fece da scudo. Subito dopo la detonazione il giudice e la sua scorta erano scossi. Non ci si accorse, lì per lì, di dove fosse finita la Scirocco. Non se ne accorse neppure Nunzio Asta, il marito di Barbara Rizzo, accorso sul luogo della detonazione. Poi fu trovata una targa, e poi brandelli di corpi altrove: «Un dito sul ciglio della strada, un piede dentro una camera da letto di un appartamento di un palazzo vicino, un orecchio su un albero, una macchia color ruggine sul muro di un altro palazzo, un volto, solo un volto, come svuotato dall’interno, stampato su un altro muro. Un grande senso di disumanità». Io non me la ricordavo. Ma ora sì, ora lo so.
E ve lo ricordate Beppe Montana? Lui, un poliziotto, aveva preparato il “Rapporto dei 162”, ossia l’elenco dei boss palermitani, di Michele Greco e degli altri 161, con schede sulle loro relazioni, le famiglie di appartenenza, le liti, gli affari. E per questo fu freddato da un commando di killer mafiosi il 28 luglio 1985. Alcuni giorni dopo toccò ad altri che, come lui, si battevano per la verità, e per la giustizia: Ninni Cassarà e Roberto Antiochia, ve ne ricordate di loro? E alla famiglia di Beppe Montana, che tre mesi dopo voleva pubblicare un necrologio sulla Sicilia, il testo fu respinto «per evitare illazioni». Io non me li ricordavo. Ma ora sì, ora lo so.
La storia d’Italia, della nostra Italia contemporanea, ha le mani lorde di sangue. Ed è colma di verità che troppo spesso non vengono a galla. Ed è giusto ricostruirla, riappropriarsene, grazie a un libro denso di umanità, informatissimo. E scritto magnificamente. Un libro che dovrebbe diventare un testo scolastico, molto più dei libri di storia che ci insegnano l’invenzione dell’aratro e la guerra dei Cent’anni. Perché queste morti sono la nostra storia. Sono quello che siamo e quel che non vorremmo essere.
È un libro che va acquistato. Letto, anche a chi questa storia recente non l’ha vissuta. Meditato. Perché è importante.
di Silvia Ceriani
Giacomo di GirolamoDormono sulla collina
Il Saggiatore, 2014
Dove sono Sandro, il presidente partigiano, e Francesco, che picconava? Dov’è Aldo? Aspetta ancora la sua liberazione? E Giulio il Divo, l’ha poi capita la differenza tra cos’è bene e cos’è male? Tutti, tutti dormono sulla collina. Dove sono Yara, Sarah, Tommy? Contateli qui, i loro amabili resti. Dove sono i giudici Paolo e Giovanni? I boss Tano e Don Masino? Dove sono i poeti, i calciatori, le donne e gli uomini di spettacolo? Canzonissima, Milleluci e il Drive In? Gli sconosciuti, gli uomini senza memoria, gli eroi nascosti, i miserabili? I morti in prigione, i caduti da un ponte? Le donne morte per un amore contrastato o inseguendo la vita? Tutti, tutti dormono sulla collina.
Questo libro si pone un obiettivo smisurato: il nostro paese raccontato da chi dorme, e sempre dormirà, sulla collina. Siamo di fronte alla Spoon River d’Italia. Il paese lo raccontano loro: gli uomini che sono passati di qui, quelli che hanno fatto la storia oppure che l’hanno subita. Gli uomini che tutto sapevano e nulla rivelarono. Gli uomini che nulla sapevano e tutto rivelarono. Uomini magniloquenti, uomini magnifici, uomini miserabili. Uomini piccoli e piccoli uomini. Volti imperiosi e notissimi, volti arcaici, che hanno fatto un qualche frammento di storia, anche se nessuno lo sa. Sono le loro voci a fare la storia. Dov’è Pino Pinelli, l’uomo che non voleva volare? Dov’è il poeta, Giuseppe Ungaretti? S’illumina ancora di immenso? Dove sono Anna Magnani, quelli di Piazza della Loggia, le vittime del terremoto dell’Aquila? Dove il piccolo Samuele di Cogne, dove Marco Pantani, dove Giulio Andreotti? Il generale Dalla Chiesa? Dormono, dormono sulla collina. E non solo loro. Programmi televisivi, bombe che esplodono, decreti legge. Anche gli oggetti. Gli oggetti sono così silenziosi, ma sanno tutto di noi, e fanno la storia. Anche loro: dormono sulla collina. Non è infatti un caso che la prima «voce» di questo coro non sia umana: a parlare è la Bomba di Piazza Fontana. È uno degli innumerevoli inizi italiani e a cantarlo è un ordigno capace di segnare l’immaginario di quell’Italia che possiamo in modo equivocodefinire «contemporanea»: là dove accade sempre tutto in contemporanea. Anni plumbei, anni mirabili, anni di schermi televisivi accesi e di fari spenti nella notte, anni di pop e di partiti popolari, con le inevitabili afferenze di mafie, logge, piovre, rivoluzioni mancate, riforme promesse e promesse rimandate, cronache nere e cronache rosa, un partigiano come presidente e presidenti campioni di partigianeria. Si potrebbe andare avanti all’infinito, iniziando dal 1969 e arrivando a oggi. Leggere questo libro significa immergersi in un oceano di voci, di storie molto note e di storie dimenticatissime. Come Edgar Lee Masters, ma non in versi, Giacomo Di Girolamo scrive un’opera mastodontica, tragica e poetica, lirica e comica, ottimista e disperata, destinata a essere un classico.
Giacomo Di Girolamo, giornalista, vive a Marsala. È direttore del portale http://www.tp24.it e della radio trapanese Rmc 101, e collabora con la Repubblica e Il Sole 24 Ore. Nel 2014 ha vinto il Premiolino, il più importante premio giornalistico italiano. Tra le opere pubblicate ricordiamo: Matteo Messina Denaro. L’invisibile (Editori Riuniti, 2010) e Cosa Grigia (il Saggiatore, 2012).