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Dossier: Il Santo ritrovato (seconda parte)

Creato il 01 ottobre 2011 da Yourpluscommunication

A PATTI CON LO STATO

Dossier: Il Santo ritrovato (seconda parte)
A chi può interessare il furto di una Reliquia? Se lo chiederanno in tanti, senza trovare una risposta plausibile, nei giorni successivi alla diffusione della notizia che fece il giro del mondo.

Gli inquirenti brancolano nel buio: la Reliquia non ha un valore monetizzabile e, soprattutto, non è vendibile. Chi può avere interesse a entrarne in possesso? In quelle fasi concitate si accavallano ipotesi, le più diverse:
dal furto su commissione di qualche collezionista a quello finalizzato a riti esoterici. «Si scoprì in seguito che lo scopo del furto sacrilego era duplice – prosegue il giudice Pavone –. Il reato venne commesso nella prospettiva di poter trattare con le autorità la liberazione di Giuliano Rampin, cugino di Maniero, all’epoca dei fatti in carcere per reati di droga, e per ottenere la revoca della sorveglianza speciale che era stata applicata a Felice Maniero. Entrambe le richieste non andarono in porto, in quanto non possono essere consentite da alcun magistrato trattative su richieste di tal genere».

La rapina in Basilica segna un cambio di rotta nella strategia criminale della banda Maniero.

Non più rapine in villa, nei laboratori orafi o ai caveau di grandi hotel, come il Des Bains al Lido di Venezia, finalizzate solo a far soldi. La nuova tipologia di reati ha scopo estorsivo e vuole costringere le istituzioni a scendere a patti: io ti restituisco quell’oggetto dal valore inestimabile in cambio di benefici che possono essere la liberazione di un sodale, uno sconto di pena, la fine di misure restrittive.

Maniero anticipa, versione provinciale, una modalità mai sperimentata fino ad allora dal crimine organizzato. La stessa, per molti aspetti, utilizzata nell’attacco sferrato dalla mafia alle istituzioni con le stragi del 1993: a Firenze, in via dei Georgofili, poco lontano dagli Uffizi, e a Roma, di fronte alla chiesa di San Giorgio al Velabro. L’Italia viene colpita al cuore nei luoghi simbolo della sua arte e della sua storia.

LA PASSIONE PER L’ARTE

Dossier: Il Santo ritrovato (seconda parte)
«Per la banda Maniero – sottolinea la giornalista Monica Zornetta –, come ebbe a dichiarare lo stesso boss, le rapine, inclusa quella in Basilica, sono “l’attività più redditizia dopo la droga”. Un’attività proseguita poi, non a caso, fino alla fine dei giorni dell’organizzazione». Monica Zornetta conosce molto bene la storia di Felice Maniero e della mafia del Brenta.

A lui e alla sua banda ha infatti dedicato alcuni volumi che fanno luce su questa e altre storie di criminalità e mafia in Veneto: da A casa nostra, scritto con Danilo Guerretta, fino a La resa. Ascesa, declino e «pentimento» di Felice Maniero, entrambi per Baldini Castoldi Dalai.

«“Felicetto” apprezza molto l’arte contemporanea e anche quella antica. Da sempre le opere d’arte esercitano su di lui un grande fascino, al punto che si può parlare di una vera e propria “fissazione” – afferma la giornalista –. Conosce, più di altri, quanto valore esse abbiano, al di là di quello puramente monetizzabile.

E sa altrettanto bene la grande risonanza che il trafugamento, di un Velázquez o di una Reliquia può avere, addirittura in tutto il mondo». Una passione per l’arte iniziata ancora sui banchi di scuola. A Felicetto non piace studiare. Porta a casa una sfilza di voti bassi in tutte le materie, tranne in educazione artistica e musica.

«Uno spirito creativo dietro un’irrequieta incostanza, che i professori riescono però a cogliere, tanto che lo
premiano con un 8 e un 7 in pagella». Tra la fine degli anni Settanta e la prima metà degli anni Novanta, Maniero è al culmine del suo potere criminale. «Il boss – prosegue Zornetta – si diletta egli stesso a dipingere. Ha un vero e proprio debole per Salvador Dalì di cui, all’epoca, custodisce in casa una preziosa china.

E per Mario Schifano che, intorno al 1992, sarà addirittura ospite nella villa bunker di Campolongo Maggiore (Venezia) per insegnargli tecniche e trucchi della sua “pop art”».

IL SANTO RITROVATO

Dossier: Il Santo ritrovato (seconda parte)
«Erano da poco passate le nove di mattina del 20 dicembre quando sentii squillare il telefono». Il racconto vivido e puntuale è di padre Olindo Baldassa.

Oggi vive nel convento di San Francesco a Brescia: all’epoca era rettore della Basilica da pochi mesi. Nell’opuscolo pubblicato per i cinquant’anni di sacerdozio, il primo dei ricordi è proprio quello. «Ogni volta che alzavamo la cornetta il desiderio di tutti era di ricevere la notizia tanto attesa del ritrovamento.
Capitò a me.

Ricordo ancora, era venerdì. Ricordo anche le parole dei carabinieri di Prato della Valle: “Padre, hanno ritrovato la Reliquia. È stata recuperata a Roma”»

La prima notizia Ansa sul ritrovamento viene battuta alle 10.50. I dettagli sono scarni. «Roma, 20 dic. 10.50. La Reliquia di sant’Antonio è stata ritrovata nei pressi di Fiumicino dai carabinieri per la tutela del patrimonio artistico guidati dal colonnello Roberto Conforti.

La Reliquia, trafugata dalla Basilica della città veneta, stava per essere trasferita all’estero».
A mezzogiorno, nella capitale, i carabinieri indicono una conferenza stampa per illustrare i dettagli dell’operazione. Poi la Reliquia vola direttamente a Padova scortata dai militi dell’Arma, in testa il comandante generale Antonio Viesti. Sarà egli stesso a consegnarla ai frati nel corso della celebrazione solenne di domenica 22 dicembre. La città è in festa per il Mento ritrovato pochi giorni prima di Natale.

Le campane risuonano per l’intera città. Quella domenica una folla immensa giunge in Basilica per pregare davanti al Mento del Santo. Una festa a metà per i carabinieri. Il pomeriggio del giorno prima, infatti, il brigadiere Germano Craighero, 30 anni, sposato con due figli, era morto nelle campagne di Piazzola sul Brenta (Padova), ucciso dal cosiddetto «fuoco amico».

Ma la Reliquia, nonostante quello che si era fatto credere per tutto quel tempo, non era mai uscita dal Veneto. «Nel contesto di questa attività investigativa, quando ancora le indagini erano in alto mare, si inserirono i carabinieri del Nucleo tutela patrimonio artistico, allora comandati dal colonnello Roberto Conforti – spiega il giudice Pavone –. Tramite Alfredo Vissoli, personaggio che, all’epoca, aveva rapporti con Giuliano Ferrato per ricettazione di oggetti di valore rubati, riuscirono a recuperare la Reliquia, facendo apparire che la stessa fosse stata ritrovata nei pressi dell’aeroporto di Fiumicino in partenza per il Sudamerica.

Al contrario, la Reliquia non era mai stata portata fuori dal Veneto in quanto sepolta, subito dopo il furto, lungo un argine nella zona del Brenta e poi fatta trovare in un cassonetto delle immondizie a Ponte di Brenta, alla periferia nordest di Padova.

Per questo falso ideologico in atto pubblico furono arrestati sia i marescialli La Gravinese e Tarantino sia il colonnello Conforti, in seguito assolto in giudizio, mentre i due sottufficiali furono condannati».

ROSE ROSSE DAL CARCERE

La rapina del Mento del Santo è uno dei tanti crimini che compaiono negli atti del maxiprocesso contro la mafia del Brenta iniziato nel 1994. Maniero e la sua banda rispondono di reati, commessi tra il 1984 e il 1994, come associazione mafiosa e rapine, detenzione e traffico internazionale di stupefacenti, evasioni dal carcere, sequestro di persona, presunta corruzione di rappresentanti delle forze dell’ordine, rapine e omicidi.

Dossier: Il Santo ritrovato (seconda parte)
Tra tutti, il più sanguinoso è l’assalto al treno Milano-Venezia avvenuto nel 1990 all’altezza di Vigonza, nella campagna padovana, in cui morì la studentessa universitaria di Conegliano Veneto (Treviso) Cristina Pavesi.

A presiedere quello che viene definito uno dei processi più imponenti mai messi in piedi fino ad allora è il
giudice Graziana Campanato. Il processo contro la mala della Riviera del Brenta trova spazio – è la prima volta che accade – nell’aula bunker di Mestre (Venezia).

Ogni giorno vengono spostate, con rischi non indifferenti, centinaia di imputati rinchiusi invari istituti di pena. Nominata nel luglio 2010 presidente della Corte d’Appello di Brescia, Graziana Campanato è stata una delle prime donne a intraprendere la carriera in magistratura (fino al 1963 riservata agli uomini).

Tra i processi più importanti, quello celebrato a Padova contro Autonomia Operaia e Toni Negri e quello contro i venetisti, guidati da Fausto Faccia, che scalarono il campanile di San Marco a Venezia. «Nel maxiprocesso – afferma il giudice Campanato – non è stato affrontato l’episodio della rapina del Mento. Dunque, non me ne sono occupata direttamente, ma ho letto le carte.

La circostanza venne a galla in seguito, dopo che Maniero la rivelò nella sua confessione. Ha usato una strategia molto pagante, davvero ingegnosa per costringere lo Stato a scendere a patti. Del resto, ricordiamo che aveva in busta paga uomini delle forze dell’ordine».

Dossier: Il Santo ritrovato (seconda parte)
Graziana Campanato ha conosciuto il boss oltre che come imputato nel «processone» anche come collaboratore di giustizia.

«È un personaggio del crimine, con il carisma di un leader, con una straordinaria capacità aggregativa, perfettamente in grado di intrattenere rapporti con personalità di spicco della criminalità e con la mafia. Godeva della fama di uomo raffinato, amante delle cose belle, del lusso e dell’arte, ma non dimentichiamo che è stato un assassino, e dei più feroci e spietati.

L’unica debolezza che gli si può attribuire è la dipendenza dalla madre: a lei, solo per fare un esempio, inviava ogni anno un mazzo di rose rosse dal carcere in occasione della festa della mamma.

Un altro punto fermo della sua vita è la famiglia. Nei confronti dei magistrati ha sempre tenuto un comportamento rispettoso: non contestava mai quanto gli veniva detto e non si è mai atteggiato a vittima. Quando era collaboratore non ebbe privilegi di alcun tipo. In quel periodo utilizzava i suoi denari, e non quelli dello Stato.

Beni che ha dimostrato di saper tenere ben nascosti. Maniero ha rivelato tante e indubbie capacità che – ne sono personalmente convinta –, se non fossero state usate nella sua azienda del crimine, l’avrebbero fatto diventare un imprenditore di successo».

IL SANTO “RESTITUITO”

Dossier: Il Santo ritrovato (seconda parte)
Oggi Felice Maniero ha chiuso il suo conto con la giustizia.

Lo Stato gli ha confiscato un unico bene, la villa bunker di Campolongo Maggiore. Dal 23 agosto dello scorso anno, dopo la scadenza dell’ultima misura restrittiva a suo carico, è un uomo libero. Vive in una località segreta, con una nuova identità.

Fa l’imprenditore, proprio la professione che il giudice Campanato vedeva adatta a lui. Ma la sua attività non è più una holding del crimine. Sono molte le cose che non rifarebbe, come dichiara. Una su tutte, diventare un boss. Maniero ha deciso di parlare, oggi, a vent’anni di distanza. Possiamo credere o meno sia a lui sia al suo racconto su quell’episodio.

Il «perché» lo abbia fatto, accettando l’intervista del «Messaggero», lo dice lui stesso: «Per poter riparare, anche solo per la miliardesima parte, al dispiacere che ho provocatoai fedeli».

Un tassello necessario, anche il suo, per ricomporre nel modo più completo, vent’anni dopo, quel fatto e una pagina di storia mai dimenticata. Un Santo «ritrovato», allora, dopo la rapina del Mento.

Un Santo «restituito », oggi – ci auguriamo – ai suoi fedeli grazie anche a questo contributo di verità.


Nicoletta Masetto

Messaggero di Sant’Antonio

Dossier: Il Santo ritrovato (prima parte)

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