Almeno potevano risparmiare
Licia Satirico per il Simplicissimus
Nel fiume di soldi in nero della Lega spicca l’ossessione per lauree e diplomi, in una sorta di abolizione secessionista del valore legale del titolo di studio. Mentre la moglie di Bossi consumava la passione per l’occultismo col favore del Gemonio, l’amica Rosi Mauro smaniava per il “pezzo di carta”: per sé e per l’amico Pier Moscagiuro, poliziotto in aspettativa alle dipendenze della vicepresidenza del Senato, noto per una collaborazione artistica con Enzo Iacchetti sfociata nell’indimenticabile hit “Kooly Noody”.
La coppia Mauro-Moscagiuro era in trattative – a quanto pare – con la defilata Svizzera, dove i sudati titoli di studio sarebbero stati in vendita al costo di 120.000 euro. Per Renzo Bossi, invece, le aspettative erano di gran lunga superiori. Papà Umberto, già conosciuto per la sua laurea apocrifa in medicina, aveva dichiarato «mio figlio Renzo parla talmente bene l’inglese che ha fatto da interprete nell’incontro tra Berlusconi e Hillary Clinton». Mentre finalmente comprendiamo la ragione della freddezza diplomatica mostrata dagli USA verso il nostro Paese negli ultimi mesi del governo Berlusconi, scopriamo che dal 2010 Renzo Bossi sta prendendo una laurea in un’università privata di Londra. Ogni tanto Renzo andrebbe persino a frequentare i corsi tra una fidanzata e l’altra, per un costo che – in base alle conversazioni intercorse tra Nadia Dagrada e il temerario Belsito – si aggirerebbe intorno ai 130.000 euro. Nostri. Sicuramente non si tratta di una laurea in geografia, visto che il giovane Bossi, appena poche settimane fa, ha confuso Canada e Australia. Non si tratta nemmeno di una laurea in filosofia, poiché l’ittico erede di casa Bossi ha dichiarato di tenere Popper sul comodino senza specificarne l’uso. La matrice anglosassone del corso di studi consente di escludere una laurea in italianistica: Bossi junior è noto, del resto, per aver coniato il verbo “proseguere”. Non è una laurea in informatica: Renzo è assurto agli onori delle cronache per aver ideato sulla sua pagina Facebook l’amabile gioco “rimbalza il clandestino”, costatogli un processo per istigazione all’odio razziale. Ma non è neppure una laurea in scienze della comunicazione: intervistato sui suoi tre valori di riferimento, Renzo si è limitato a citare – senza troppa convinzione, per ragioni ora chiare – l’onestà. Il “pezzo di carta” di Renzo, autentico buco nero dei fondi neri della Lega, si attesta dunque a metà strada tra le scienze follicolari e la supercazzola prelaureata con versamento a destra. Bossi senior si è detto rammaricato di non aver scelto la Lega invece dei figli.
Siamo rammaricati anche noi. Se i figli sono piezz’e core, che dire però della badante Mauro? Una sola, potente e desolante, l’immagine che ci tormenta. È il 21 dicembre 2010: da pochi giorni il governo Berlusconi, grazie agli irResponsabili di Scilipoti, è salvo, ma ha bisogno di esibire la prova muscolare della sua risicata maggioranza. Il capro espiatorio è l’università: la legge Gelmini viene approvata frettolosamente sulla pelle degli atenei italiani, che ancora attendono la maggior parte dei suoi decreti attuativi. Una delle sedute parlamentari più grottesche è presieduta da Rosi Mauro con piglio da “abbanniatrice” (così a Palermo si chiamano gli ambulanti). La Mauro procede come un automa nonostante le proteste dell’opposizione e finisce col parlarsi addosso, sospendendo la seduta al grido di “vergogna” dopo aver approvato a sua insaputa quattro emendamenti del Pd. L’idea che la vicepresidente del Senato – che non ha alcuna intenzione di dimettersi – abbia contribuito a distruggere l’università, begando di nascosto per comprarsi una laurea in Svizzera a nostre spese, fa una rabbia da togliere il sonno. Fa rabbia, del resto, il pensiero di una classe politica incolta e volgare che pensa di poter comprare tutto senza fatica, senza remore, senza conseguenze.
Mai come in questo momento laurea e cultura, cultura e università, sapere e politica, etica e responsabilità sono stati così distanti. È di pochi giorni fa la notizia che il presidente ungherese Pal Schmitt ha rassegnato le sue dimissioni per aver copiato, vent’anni fa, l’ottanta per cento della sua tesi di dottorato. La stessa sorte è toccata in Germania, per le medesime ragioni, all’ex ministro della difesa Guttenberg. In Italia, di fronte ad accuse assai più gravi, non ci si dimette e si grida pure al complotto. Dà conforto solo il pensiero che Renzo Bossi non sia laureabile nemmeno per vie illecite.