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dove prendere i soldi

Creato il 05 maggio 2012 da Gaia

Ultimamente, oltre alla mia idea fissa della redistribuzione della ricchezza, mi sto appassionando molto all’idea del reddito di cittadinanza: una somma minima garantita a tutti i cittadini, indipendentemente da qualsiasi cosa, incluso se lavorino o no (esclusi forse i carcerati, già mantenuti a spese della collettività). Magari ne parlerò meglio in futuro, ma è un’idea bellissima: meglio della cassa integrazione e di tante piccole briciole concesse comunque a pochi. Nessuno deve morire di fame, tutti devono avere quel minimo (qualche centinaio di euro al mese? di più non serve) per mangiare e avere un tetto sulla testa. Chi vuole di più (e quasi tutti vorranno di più) lavora. E se il lavoro fa schifo, potrà finalmente rifiutarlo, e non suicidarsi se lo perde. Secondo me ci sono due obiezioni sensate. La prima è: non si rischia di incoraggiare la gente a fare niente? Sinceramente, nella mia vita ho visto solo due tipi di persone che non facevano niente per scelta: ricchi ereditieri, e donne mantenute nel lusso dai mariti o dagli ex mariti. Non ho mai visto un povero non voler far niente. Non è bello vivere con una miseria, ma alle volte bisogna farlo. Chi proprio non vuole lavorare, troverà sempre il modo di sottrarsi – ma sono pochi. Chi non può, va aiutato. Il semplice sussidio di disoccupazione, dato a chi non lavora, incoraggia il nero; un reddito per tutti non incoraggia né scoraggia niente. Purché non sia troppo alto: per questo propongo ben meno di mille. Bastano per cibo, bollette se non si consuma troppo, e almeno una stanza da qualche parte. La seconda obiezione è: dove prendere i soldi? Questa è seria, eppure mi fa ridere. La senti tirare fuori, in buona fede, quando si propone una sanità veramente gratuita, dei servizi di trasporto pubblico decenti, e così via. I soldi ci sono sempre! é solo una questione di dove vanno ora. Bisogna decidere se la spesa valga la pena. Andiamo a vedere i budget di stato italiano, regioni, province e comuni, e facciamo qualche scelta. E se non basta, i soldi ci sono nelle tasche di chi ne ha troppi. L’altro ieri mi è capitata sotto mano una lista fatta da Rifondazione Comunista (ebbene sì, continuano ad esistere) su come finanziare le loro proposte. I primi sette punti della lista che segue li ho presi da loro. Poi continuo io. È divertente. Ci sono talmente tanti ricchi in giro!

- tagliare i privilegi della politica

- inserire una patrimoniale

- aumentare l’irpef sui redditi più alti

- tassare le transazioni finanziarie e la rendita finanziaria

- porre un tetto alle pensioni d’oro

- tagliare le spese militari

- bloccare opere inutili come la Tav

- tagliare gli stipendi dei manager pubblici e degli altri dipendenti di lusso, come i paperoni della Rai

- tassare le grandi eredità

- ripensare uno per uno i capitoli di spesa pubblica

(- far sparire la Siae una volta per tutte)

- trovare il modo di intervenire sul calcio, in cui girano veramente troppi soldi – partendo dall’alto e scendendo via via, ridiscutere tutti gli stipendi pubblici, e soprattutto l’idea che il merito e lo studio vadano monetarizzati fino agli estremi cui siamo abituati (ok che se sto un’ora in più in ufficio me la pagano, ma perché dirigenti o professioni prestigiose devono essere retribuite così tanto più delle altre? chi fa il medico lo fa per i soldi o per la passione?)

- abolire la cassa integrazione e sostituirla con un reddito di cittadinanza

- depenalizzare i reati inutili

- combattere l’evasione e il riciclaggio

- semplificare la burocrazia e aumentare i controlli

Sembrano solo tasse, tasse, tasse, e tagli. In realtà io penso che bisognerebbe semplificare la tassazione e renderla veramente redistributiva. Bisogna anche fare una battaglia culturale per cui la ricchezza non sia vista più come un merito o un diritto, ma come qualcosa dato al singolo dalla stessa società, che può decidere di regolarla e riprendersela, entro limiti da fissare collettivamente. La ricchezza va vista anche e soprattutto per quello che è: un prelievo di risorse superiore a quanto toccherebbe a ciascuno dividendo il pianeta in parti uguali. L’onere della prova del diritto alla ricchezza dovrebbe spettare a chi la possiede, non a chi la tassa. Infine, c’è un aspetto meno evidente che io vorrei sottolineare. Tutto, in Italia perché all’estero non so, ciò che riguarda il denaro da dare ad una persona parte dal sottinteso presupposto che il tenore di vita sia un’acquisizione irreversibile, un’abitudine che diventa diritto, da mantenere anche mancandone i presupposti e a spese della collettività. Le pensioni non sono forse proporzionate allo stipendio, e così anche la cassa integrazione? Certo, dipende anche dai contributi versati, ma sarebbe più equo allora far versare gli stessi contributi a tutti – anche perché non si sa se uno prenderà tre anni di pensione, o trenta. Quando lavoravi, guadagnavi bene. Se volevi potevi mettere via allora. Ma perché nel momento in cui non lavori più, la società deve sacrificarsi perché non puoi disabituarti al lusso? È lo stesso per le donne che hanno sposato uomini ricchi e continuano a fare la bella vita anche dopo la separazione o il divorzio, oppure per le vedove che prendono la pensione del marito morto. Perchè? Lo dico da donna: non si può vedere. E pensiamo agli imprenditori che vanno in crisi, alcuni con conseguenze anche gravi. Tragedie umane, certo. Ma siamo sicuri che dietro non ci sia anche la paura semplicemente del tenore di vita che cala, di perdere le ricchezze accumulate, di cambiare vita? Quanti dei suicidi di cui sentiamo parlare sono legati alla vera fame, e quanti alla vergogna, alla paura, alla delusione, alla perdita di un ruolo sociale o familiare? Non lo so ma vorrei saperlo.


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