Dove si racconta di un matrimonio nella Tunisia profonda.

Da Marcellogaletti
La preparazione per la partenza è un casino. I toni della lingua araba, già normalmente forti se paragonati ai nostri, sono aumentati dal dopopranzo. Bambini urlanti, adulti con gli occhi sgranati. Tempo che paradossalmente passa senza che nulla accada. I tempi della partenza sono più misteriosi dei temi della maturità (che sono appunto stati divulgati in anticipo, causando il rinvio degli esami; è successo lunedì, nello stesso giorno in cui è stato proclamato il coprifuoco a Tunisi e nelle città più grandi. L’accoppiata delle due notizie, in realtà slegate l’una dall’altra ma comunicate insieme, ha fatto respirare al qui presente diffidente uomo occidentale puzza di bruciato per qualche ora).
Da ore i giovani maschi - che oggi non chiamiamo bambini - sono in tiro: scarpe da ginnastica, gel, magliette nere, frequenti passaggi davanti allo specchio. Ingannano il tempo come al solito: facendo casino. Così Monia urla.
Stamattina Monique e Monia sono state dalla parrucchiera muta qui al villaggio vicino. Mia moglie nel dopopranzo voleva indossare per la festa un vestito osè che prevedeva la rinuncia al reggiseno. Così io ho indossato i panni dell’uomo arabo e le ho posto il veto.
Ora siamo tutti vestiti e pronti, ma non partiamo. Ho già caricato in macchina il candelabro in cera che mi hanno affidato. Sarà quello che lo sposo mostrerà alla folla urlante per dimostrare la purezza della sua neosposa. Sento il peso dell’incarico prestigioso, pensa se lo metto nel posto sbagliato e il caldo del viaggio scioglie la cera! Spero che qualcuno abbia procurato allo sposo anche il sugo di pomodoro per il lenzuolo… Forse dovrà mostrare anche quello.
Mi sono isolato sul balcone a prendere appunti. Sotto di me la strada trafficata che passa davanti a casa. Rutto l’ottimo pranzo al ristorante popolare accanto al mercato di Menzel Temime. La brezza è piacevole, ma solo se resto fermo. Qui vicino Hassin ha appena dato uno schiaffo in un occhio a Sofien, senza ragione apparente. Seguono le urla di rito.
La tensione che ho osservato da fuori si scioglie nel piacevole viaggio di circa cento chilometri verso il villaggio dello sposo. Siamo in sedici in due auto, contando i bambini. Gli ultimi 30 chilometri li facciamo in una bella zona di campagna. Millanta foto mi passano accanto (“Millanta” è un grande numero nella lingua di mia figlia dal nome spagnolo).

 


Arriviamo a Oued Ez Zitt. Venimmo qui sia nel 1992 che nel 1996, quella volta fu per il matrimonio di Nabil, fratellodi Monia. Oggi si sposa suo cognato, il più giovane dei fratelli di sua moglie Moufida, che è anche cugina di suo marito. Delle due visite ho pochi ricordi: tanti bambini - parecchi dei quali biondi - muri in pietra, un cous cous di fuoco, la macchina che portava Matteo che diede il giro in una curva tornando a casa dal matrimonio. Non riconosco la casa di allora, pare che i fratelli l’abbiamo divisa dopo la morte dei genitori. Entriamo in un cortile, ci sono persone che mangiano in terra sui tappeti, soprattutto donne. Habiba, la mamma di Monia, sta imboccando due altre anziane cieche. Riconosco subito le sorelle di Moufida, quella che mi fece un’impressione “bestiale” è rimasta praticamente uguale (e zittella), solo più spigliata di allora.
 


 Blanca esce praticamente subito dal cortile, così le vado dietro. Arriviamo nella vicina piazza, stanno scaricando il trono sul quale siederanno gli sposi al loro arrivo in piazza. E sarà festa. Naturalmente suscitiamo la  curiosità di tutti, soprattutto dei bambini. Blanca cerca un contatto con loro, che sembrano però intimoriti dalla sua intraprendenza. Quasi la segnano all’indice, mi fa tenerezza. Il posto è grezzo, molto.
Torniamo in casa dei cugini/cognati di Monia per mangiare, è ora di cena. Hanno organizzato un vero e proprio catering, vassoi con il posto per le diverse pietanze. Mangiamo con la famiglia, senza cucchiai, si usa il pane. Blanca e Noa vengono respinte dal peperoncino abbondante. Ma ci siamo industriati con pane e formaggini industriali. Abbiamo anche i biberon, serviranno più tardi, la notte sarà lunga. Dopo cena torniamo in piazza, voglio usare l’ultima luce per le foto. Si cominciano a mettere le sedie per il pubblico, si montano le luci, i bambini ci girano intorno, cercando di attirare l’attenzione con qualche parola in francese.


 Quando è buio andiamo a trovare un’altra parente di Monia, che tempo fa è caduta dal carro dove caricavano le balle di fieno. E’ paralizzata alle gambe. Dal giorno dell’incidente non esce di casa, forse per la vergogna. Monia racconta che quando è caduta, anziché lasciarla in terra e chiamare un’ambulanza, l’hanno messa su una camionetta e portata in ospedale, forse ciò ha contribuito alla sua rovina.
Entriamo in casa, le camere sono spoglie, solo una lampadina pende dal soffitto, la tinteggiatura è vecchia, il caldo è pesante. Lei è sul divano che guarda la tv. La carrozzina è lì a due metri.
Mi aspettavo una vecchia: invece forse non ha nemmeno la mia età, e me la ricordo bene, l’abbiamo già vista. Mi colpisce il suo sorriso costante mentre parla con Monia. Ma quando andiamo via, dopo due foto insieme, ha gli occhi pieni di lacrime. Per strada chiediamo al figlio che ci ha portato lì dalla piazza dove è suo padre: “al caffè”, risponde. E sorride, un po’ amaro.

Torniamo in piazza, Blanca è sempre in fuga verso la curiosità e l’indipendenza. Io invece sono in fuga verso l’ansia che lei mi sparisca in un attimo da sotto il naso. Cammina lontana da noi, avanti, nel buio che qui è nero, per mano a una bimba. Poco prima, ancora non eravamo entrati in casa della Signora paralizzata, che lei era già in strada da sola, sgusciata via come un’anguilla. Mi fa ammattire, tanto la amo dalle profondità più nascoste di me stesso, tanto in certi momenti le staccherei un orecchio a mani nude.
La piazza comincia a riempirsi, inizia l’attesa per l’arrivo degli sposi, lui è andato a prendere lei al suo villaggio. Sappiamo da fonte certa che la sposa è molto spaventata all’idea di cosa può capitare alla fine di questa serata, quando entrerà in casa con il neomarito per la prima notte insieme.
Blanca e Noa iniziano a ricevere raccomandazioni, devono rimanere in vista e non allontanarsi troppo, ora è notte. Hanno fame, così entriamo un momento in casa per fare scaldare il latte per i biberon. Ma poi Blanca si vergogna si prendere il suo lì in piazza, perché tutte le bambine l’hanno vista e la guardano come fosse un marziano verde.

 Invece Noa se ne fotte. C’è un’immagine che mi piace un casino. E’ una foto che le ho fatto in piazza in quel momento, lei cammina ciucciando il suo biberon in mezzo alla piazza, completamente indifferente al casino che monta intorno a lei, come se fosse nel cortile di casa.


Le sorelle Galetti vanno avanti e indietro tra il trono degli sposi e le nostre sedie, che sono in prima fila. Intorno bambini maschi che si picchiano con naturalezza; cominciano appena riescono a stare in piedi, le danno e le prendono con spontaneità, senza cerimonie, senza corse lamentose verso i genitori,forse perché ne prenderebbero altre. Ogni tanto un uomo fa il giro della piazza e li allontana, li spinge dalla testa senza guardarli, come se fossero polvere da spazzare con la scopa. Questo è un posto grezzo. Molto grezzo.
Le bambine femmine invece sono state cambiate, molte hanno un vestito bianco, come piccole spose (anche la bambina dal nome corto è stata cambiata ed ha indossato un abitino bianco; che è durato il tempo di incontrare una pozzanghera, con somma gioia della mamma sua). Le bambine ballano a gruppi. Alcune invitano Blanca per insegnarle la tecnica, ma la lezione naufraga quasi subito. Intanto un bambino con occhi spiritati corre in tondo per la piazza, un po’ balla un po’ mena schiaffoni a chi trova sul suo cammino. A pochi metri da noi c’è Ouassila, la sorella di Monia con il figlio Youssef di anni tre, che non è molto abituato ad allontanarsi da casa. Il piccolo, che  al villaggio natio in questi giorni comanda l’anonima piccolini, qui invece è spaventato, non capisce dove si trova, patisce questo casino. E cerca conforto nella religione. Per motivi misteriosi si mette a recitare ad alta voce alcuni versetti del corano, per invocare il pronto ritorno a casa insieme alla mamma. Sconcerto ed ilarità in famiglia, dove l’episodio verrà più volte ricordato nei giorni successivi.
Il casino cresce, la piazza è piena. Blanca e Noa ora vengono guardate a vista.  L’orchestra ha finito le prove, l’impianto fischia a meraviglia. Arriva un tipo a comunicare che dobbiamo spostarci, bisogna creare un corridoio centrale per consentire il passaggio dell’auto matrimoniale, gli sposi sono in vista del villaggio. Proteste si alzano inutilmente. Partono invocazioni all’altissimo, ognuno chiama il suo dio:”CristuMadona-nonc’èDioaldilàdiAllah-eMaomettoèilsuoprofeta!”. Tutto inutile, dobbiamo spostarci.
 Dal fondo della piazza dietro di noi compare la Mercedes. Ed è l’apoteosi.
L’auto avanza piano con tutte le luci accese in mezzo al popolo. Parte la musica, fortissima “Alla!Alla!”, grida il cantante per augurare fortuna. E’ un casino d’inferno, la bambina dal nome spagnolo è stata ammanettata al polso di suo padre, lo stesso ha fatto la madre con la figlia dal nome corto. Donne in costume rosso portano l’incenso e circondano l’auto che si è fermata sotto il trono. Ballano con le braccia in alto e battono le mani, c’è fumo, si è accesa la luce di una telecamera, la piazza è esplosa. Si alzano fortissimi e lunghi i tipici urli delle donne arabe, che tengono la mano di fronte alla bocca. Parlare con chi ti è vicino è ormai impossibile. A gesti affido Blanca a sua madre e mi getto nella mischia con la macchina foto.





 Lo sposo è sceso a fatica dalla macchina, gli ballano intorno, braccia al cielo, fumo dappertutto. Si sente una pressione addosso a quei due che mi fa impressione, deve essere pesante davvero. Adesso lui ha fatto il giro della Mercedes e sta facendo scendere la sposa. Ma tra lui e lei c’è sempre qualcuno, una zia, una sorella, forse una cugina, sorreggono lei, le tengono il fondo del vestito, la toccano, la tirano, la spingono. La musica è potente, ossessiva, bellissima “Alla! Alla!! - Alla Alla!!”, il cantante ormai urla fortissimo, spintoni, sudore, caldo. Sono decine le persone che sono ora intorno alla macchina e ballano in un cerchio che ha bloccato tutto. Ci vogliono alcuni minuti perché i due possano salire sul trono. Sotto di loro il ballo collettivo è scatenato. Lui è rosso come un pomodoro, la sposa è bianca in volto, forse non solo per il pesante cerone. Guardano la piazza, si guardano, qualcuno sale a baciarli. Mi apparto un attimo per cambiare l’obiettivo (“Journaliste? Travaiilez pour France 24?”, mi chiederà più tardi un ragazzino) e mi butto di nuovo intorno al cerchio che balla per fare altre foto dall’alto.

 E’ comparso anche il matto del villaggio, balla e fa girare la testa in modo ossessivo; sarà uno degli ultimi a mollare, ore dopo.
La musica cessa un momento, dopo un quarto d’ora di puro delirio, una delle cose più potenti che abbia vissuto. Adrenalina pura.
Blanca e Noa vanno a vedere gli sposi. Continuando a fottersene del contesto, la bambina dal nome corto si alza la gonna, proprio lì sotto gli occhi di tutti


 Torno a sedermi e mi reincateno a Blanca. Dopo la pausa l’orchestra riprende a suonare, ora sono comparse due corpulente danzatrici del ventre. Ventre di cui sono indubbiamente dotate… Volteggiano “leggere” per la piazza. Ho talmente paura che mi coinvolgano a ballare che mi alzo e scappo via, andandomi a confondere con i giovani maschi locali. Che non ballano.

Dopo qualche minuto torno a prendere Noa, che sta folleggiando per il sonno e picchia sua madre. Torno nel cortile dove abbiamo mangiato a cercare un minimo di tranquillità (…) e provare ad addormentarla in mezzo a questo putiferio. Lei collabora e crolla in pochi minuti sulla mia spalla. La porto in macchina e la metto giù. Comincia l’attesa per la fine della festa. Ormai ho riposto la macchina foto. Dopo mezz’ora circa arriva anche Moni (che stasera è buona come il pane fresco, con quel vestito bianco) e mi porta Blanca. In piazza le festa va avanti, ora stanno dando pubblica lettura delle offerte fatte agli sposi: nome, cognome, cifra offerta. Interminabile.
Scendo dall’auto, fa caldo e mi siedo sula porta di casa della famiglia dello sposo. Bambini e ragazzini mi ronzano intorno. Sanno quattro parole in francese in sei. Ogni tanto arriva un ragazzo più grande, magari brillo o  visibilmente fatto. Cerca di scacciare i più piccoli, per darsi un tono davanti allo straniero. Butta loro addosso qualche parola forte, prova a distribuire qualche ceffone. Loro si alzano, girano in tondo per qualche momento e poi tornano vicino a me. Alla fine arriva inevitabile la richiesta di dargli dei soldi. Ciao. Passa il fratello dello sposo “Ca va l’ambience?”, mi chiede. Altrochè, gli dico io. Il tempo passa ed inizio ad avere sonno, dovrò guidare nella notte per tornare a casa, con un pieno di passeggeri grandi e piccini. Devo trovare una c.c. come assicurazione contro il sonno. Alla fine ci pensa Monia a trovarla. Magica. Ora sono tranquillo. Arriva Habiba, l’abbraccio come faccio sempre, lei mi dà la sua borsa e mi fa cenno con il mento di metterla nel bagagliaio e, tra altre parole delle migliaia che in questi anni mi ha detto senza che io ne abbia mai capita una, dice: “Oum Dhouil!” (è il nome del villaggio dove vive Monia con la famiglia). E’ chiaramente un ordine. Fantastica, Habiba. La adoro da sempre. Mi dà una carezza delle sue e se ne torna in piazza a tenere la situazione sotto controllo.
Poco a poco la piazza si svuota, è l’una passata, Blanca, Noa e Moni dormono in macchina, si narra che tra poco partiamo, o forse no.
Ma invece arriva l’altro momento forte della serata. Un piccolo corteo lascia la piazza ormai semivuota e si avvicina alla porta di casa degli sposi. Le donne della famiglia sono intorno agli sposi, sono tornate le loro urla, è tornato l’incenso. Li accompagnano, li spingono in casa, dove tutto succederà o forse no. Penso intensamente alla sposa, la cerco con gli occhi. Sta guardando in terra.
Entrano in cortile, e poi in casa; io mi metto sul marciapiede di fronte, così da avere un buon punto di osservazione. Inizia l’attesa. Dopo un paio di minuti vedo entrare in casa una donna. Non la vedrò più uscire. Mistero. Passano altri dieci minuti. Una mano passa fuori il candelabro acceso. Riparte il carosello dei festeggiamenti. E’ fatta. O forse sono solo salve le apparenze, e i due stanno già dormendo, stravolti dopo la tensione di questi giorni. Chissà?
Il corteo riparte verso la piazza, con le urla delle donne e l’incenso di scorta.
Per noi finisce qua. Saluti alla sposa, noi andiamo via veloci nella notte tunisina. Cento chilometri di viaggio scuro e tranquillo.Alle due e un quarto siamo a casa. Sento ancora il muezzin di Oum Dhouil che dagli altoparlanti della moschea chiama alla preghiera. Alle sei sono sveglio.
Mi alzo e mi metto a scrivere.

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