Forse si nascondono. Per sopravvivere
di Mattia Luca Mazzucchelli
“Loro dove sono?”: questa è la domanda che sta alla base del noto paradosso di Fermi. Dopo 50 anni ancora niente da fare: gli alieni non si trovano. Eppure si stima che ci siano decine di migliaia di miliardi di stelle nell’universo e, attorno a molte di loro, ancora più pianeti a girare. La nostra ragione ci dice che non esiste alcun elemento per ritenere che la Terra sia l’unico pianeta a poter ospitare la vita. Il paradosso è evidente: con tutti i pianeti che ci sono nell’universo, possibile che nessuna civiltà si sia evoluta tanto da farsi trovare da noi?
I Terrestri: avevano chiacchierato un po' troppo... (Cortesia: 20th Century Fox)
Da una parte abbiamo le probabilità stimate dalla ragione umana, dall’altra i fatti: finora noi non abbiamo visto nessun extraterrestre e nessuno di loro è mai venuto a cercarci. Fino a quando non avremo la prova che esiste qualche forma di vita al di fuori della Terra, la soluzione a quest’apparente paradosso potrà solo basarsi su congetture.
Sappiamo che sull’argomento la fantasia umana si sbizzarrisce: c’è un’intera filmografia a testimoniarlo. Ma, tra le migliaia di ipotesi, come si può discernere quali salvare come verosimili spiegazioni e quali lasciare esclusivamente alla fantascienza? E’ difficile dirlo: ci troviamo al limite della scienza e le prove sperimentali ovviamente mancano (almeno per ora). Però la coerenza interna e la consequenzialità logica del ragionamento sono quanto meno richiesti per una teoria plausibile.
Tra le tante che possono vantare almeno questa caratteristica, se ne aggiunge una pubblicata di recente in un articolo su arXiv, ma formulata nel 2005 da Adrian Kent, fisico teorico dell’Università di Cambridge, in Inghilterra. L’autore cerca di procedere partendo da alcune ipotesi di fondo e applicando una sorta di evoluzione darwiniana valida per il cosmo.
Anzitutto Kent suppone che la vita nell’universo fuori dalla Terra esista davvero e si sia evoluta diffusamente. In più aggiunge che le interazioni tra le specie non sono state rare. Le specie nell’universo possono essere intelligenti (dotate di intelletto come lo intendiamo noi) oppure no. Nel primo caso si sposteranno nel cosmo grazie a strumenti raggiunti con la tecnologia. Nel secondo potrebbero eventualmente avere strutture biologiche tali da permettere questi viaggi. Da qui Kent deduce alcune conseguenze. Se le specie si trovassero in competizione per le risorse, allora si instaurerebbe una selezione naturale su scala cosmica non molto diversa da quella che Darwin per primo ha visto sulla Terra. Ci sarebbero dei predatori e delle prede, e con il tempo la competizione selezionerebbe le specie più abili nel nascondersi. Infatti il modo migliore per non essere sconfitti nella lotta è non partecipare proprio. Gli stessi predatori cercherebbero di passare il più possibile inosservati: vuoi mai che, da qualche parte, ci sia un predatore più forte di te che si accorga della tua esistenza? Insomma, secondo Kent il risultato più importante di quest’ipotetica evoluzione delle specie extraterrestri sarebbe la soppressione dei caratteri che portano a essere ben visibili su scala cosmica.
Un discorso a parte va poi fatto per le forme di vita intelligenti. Loro possono sottrarsi in parte alla selezione naturale perché non seguono direttamente l’istinto. Ma proprio l’intelligenza li porterebbe a ipotizzare di non essere la specie più forte nell’universo. Quindi finirebbero per scegliere anche loro una vita defilata. Oppure potrebbero aver visto con i loro strumenti le lotte per le risorse in corso nella propria galassia, e questo li spingerebbe a non partecipare. Comunque il risultato non cambierebbe: il prezzo di mettersi in mostra potrebbe essere addirittura quello di andare incontro all’estinzione. Decisamente eccessivo per una specie intelligente, che perciò deciderebbe di rimanere nascosta.
Certo, anche per ammissione dello stesso autore, queste sono solo supposizioni. E i controargomenti potrebbero essere molti. Lo stesso Kent ne propone tre nel proprio articolo.
Ma, se le cose stanno davvero così, allora noi terrestri negli ultimi anni abbiamo sbagliato tutto cercando di farci vedere nell’universo. Nel 1974 è stato lanciato il cosiddetto “messaggio di Arecibo”: una comunicazione radio inviata nello spazio dal radiotelescopio di Arecibo, a Puerto Rico, con informazioni sulla Terra e sull’uomo. Sempre negli Anni Settanta sono state posizionate delle testimonianze della nostra cultura, sotto forma di placche incise o di registrazioni su disco, sulle Pioneer e le Voyager, destinate a eventuali extraterrestri che intercettassero le sonde. Infine, a cavallo del 2000 sono stati inviati due messaggi verso alcune stelle vicine a noi.
Magari siamo soli nell’universo. Magari chi vede i segnali è armato solo di buone intenzioni. Ma secondo Kent, nel dubbio, è meglio lasciar perdere: non si sa mai…
Adrian Kent (2011). Too Damned Quiet? arXiv arXiv: 1104.0624v1