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«Dove stiamo andando?». È il titolo dell’ultimo libro di ...

Creato il 14 gennaio 2013 da Brunougolini

«Dove stiamo andando?». È il titolo dell’ultimo libro di ...«Dove stiamo andando?». È il titolo dell’ultimo libro di Pierre Carniti (edizioni Altrimedia). É dedicato al futuro del lavoro e, quindi, del Paese intero, scosso da crisi profonde, alla vigilia di scelte politiche decisive. È la lunga riflessione di quello che Gad Lerner, nella prefazione chiama «Il pensiero forte di un sindacalista che non si rassegna». Carniti non indugia sul suo passato di segretario generale della Cisl. Parla dell’oggi e cerca di dare una risposta a quel quesito iniziale. In quella che chiama «l’età dell’incertezza». Con la consapevolezza che, come scrive il curatore del volume Vittorio Sammarco, «Per affrontare i nuovi problemi con qualche possibilità di successo, servirebbero istituzioni e progetti politici all’altezza delle sfide».
C’è un tema di fondo che apre il libro e che rappresenta del resto una specie di «filo rosso» nella vitale e appassionata azione di Carniti: il necessario superamento delle «diseguaglianze». Era il suo convinto «imperativo» nelle battaglie dell’autunno caldo e anche quando, negli anni 80, affrontava dure polemiche col Pci di Berlinguer, rivendicando l’assoluta autonomia del suo sindacato. Altri tempi. Oggi il suo interlocutore potrebbe essere Monti. Il quale, proprio a proposito della denuncia di «diseguaglianze», lo potrebbe così consegnare nella lista dei «conservatori» da silenziare. Carniti però non si perde d’animo e spiega che «l’economia capitalista non è affatto un sistema capace di autoregolarsi, o mosso dalla mano invisibile (soprattutto esperta e scaltra) del mercato. Al contrario, essa produce invece una massiccia instabilità ed è clamorosamente incapace di domarla e controllarla».
Allora può risultare importante un intervento robusto e convincente per la riduzione dello stock di debito pubblico. Però «per uscire dalle secche e sperare davvero di rimettere in moto la crescita, questa azione indispensabile deve essere accompagnata anche dall’urgente avvio di un diverso modello di sviluppo». È quello che è mancato nell’esperienza montiana. Perciò la prima riforma strutturale da fare, conclude Carniti, riguarda la riforma significativa proprio delle «diseguaglianze». Magari «per aiutare il capitalismo a salvarsi da sé stesso».
È la premessa che invade gli altri capitoli del suo scritto. A cominciare da quelli dedicati al lavoro e alla crescita prepotente della precarietà. Non si salva, a tal proposito, il governo tecnico. Scrive l’autore: «Non ha esitato a dichiarare (ricevendo per altro un diffuso consenso tra le èlite del potere e sui media) che, stante la gravità della crisi, si può e si deve in sostanza fare a meno del sindacato e della contrattazione». Così per lavoro e pensioni. «Con la conseguenza ovvia di mettere in mora, sia il negoziato tra le parti, che ogni concreta idea di pluralismo». Con la «modifica (purtroppo anch’essa in peius) della natura e della qualità della stessa democrazia». Carniti non entra nel merito delle scelte della sua Cisl e tanto meno della Cgil ma denuncia come il governo sia «intervenuto a gamba tesa nella querelle relativa alle tutele garantite, fino a quel momento, al mondo del lavoro». Così con l’articolo 8 di un provvedimento che avrebbe dovuto consentire alla contrattazione collettiva di derogare in peius alle condizioni di lavoro stabilite dai contratti nazionali e dalle leggi. Una norma definita «eccentrica e intrusa» che consente di derogare «anche alla normativa inderogabile». Per cui «l’unico risultato tangibile di quel provvedimento è stata la conferma che l’intento del governo non aveva altri scopi se non quello di provare a mettere fuori gioco le parti sociali».
Un giudizio severo che riemerge attorno alle vicende Fiat, laddove «Marchionne non ha fatto mistero di voler sostituire la contrattazione con ordini di servizio aziendali. Sostenendo che questa sarebbe la condizione imposta per competere sul mercato mondiale dell’auto». È alla fine per Carniti il rapporto di Marchionne con la Fiom di Landini «mentre assume forme conflittuali, anche aspre, nei fatti diventa invece reciprocamente funzionale».
E però il «sindacalista d’assalto», per usare la terminologia di Lerner, presa in prestito da un testo di Claudio Torneo (all’epoca brillante cronista de “l’Avanti!”), non si perde d’animo. «In definitiva, credo che se vogliamo davvero incominciare a vedere la luce in fondo al tunnel bisognerà esercitare la pressione necessaria per convincere il potere politico a decidere ciò che è davvero indispensabile per arrestare la corsa verso la decrescita, l’aumento delle diseguaglianze, la disgregazione… L’unica cosa certa infatti è che non abbiamo più tempo da perdere. Anche perché è il tempo che ormai rischia di perdere noi». Un appello, una «pressione» rivolti soprattutto ai tanti che in questi giorni affollano le tribune elettorali.

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