Possibile, sì. Ma…
Va da sé che non è facile. Se davvero decidi di mettere in pratica l’intenzione e uscire dal ricatto lavoro-consumo-lavoro, ti accorgi subito che fra il dire e il fare… appunto. I soldi, pensi anzitutto: il tuo lavoro ti permette un bel benessere. Perotti ti spiega che sì, i soldi sono un problema. Ma non il principale. Le difficoltà con cui ti scontri subito sono altre. Se non vuoi lavorare… che cazzo vuoi fare? Il nomadismo fra le isole greche sembra una bella prospettiva, ma sei certo che sia ciò che vuoi davvero? Non finirai, alla fin dei conti, per abbrutirti e rincoglionirti davanti alla televisione? Insomma, che cosa cerchi davvero dalla vita? Qual è il tuo daimon? Ecco, dice Perotti, quella è la tua vocazione. Se ci credi, ti sbatti per soddisfarla. Rinunci a un po’ di soldi, al prestigio sociale, alle false amicizie. Cominci a fare le cose con le tue mani e a risparmiare. E alla fine ti realizzi davvero. Non è facile. Non è solo questione di volontà. Non è che da un giorno all’altro ti licenzi, mandi in culo il capo e i colleghi e hai risolto. Anzi, questa è la scorciatoia per il fallimento. Invece ci vogliono anni di preparazione, nei quali si fanno molta introspezione e molti conti economici. Poi, finalmente pronti (ma anche no, anche non completamente, ché pronti davvero non lo si è mai), si molla tutto. E si vive se non felici almeno più liberi e più sereni. E più sobri.
Simone Perotti l’ha fatto. Era un alto dirigente e ora fa… beh, fa altro. Ha mollato tutto e si dedica alle sue passioni: la scrittura e la navigazione per mare. Nel narrare la propria vicenda e nell’elargire consigli, Perotti non nasconde gli ostacoli e i ripensamenti. Non la mette giù facile. Però conclude: “Puoi farcela”. Sì, anch’io posso farcela. Che bello!
Ma… un momento… io che c’entro? Io sono un uomo fortunato. Non mi trovo intrappolato in un SUV nelle code mattutine di una grande metropoli. Sono sì un lavoratore dipendente, ma senza orari, senza cartellini da timbrare. Già ora faccio quel cazzo che voglio. E, soprattutto, il mio lavoro mi piace e soddisfa il mio daimon. Non solo: consumo pochissimo e solo lo stretto indispensabile. A me la pubblicità mi fa le pippe. Per quanto mi riguarda, i pubblicitari potrebbero crepare tutti e io nemmeno me ne accorgerei. Ok, allora questo libro non si applica a me. Però qualche volta anche a me viene voglia di mandare in culo il Sistema e godermi un’esistenza libera da vincoli e doveri. Vorrà dire qualcosa?
Già, perche questi due saggi non sono convincenti fino in fondo. Perché, mi sembra, Simone Perotti la fa più facile di quanto sia davvero.
Per cominciare, si basa su un presupposto implicito: il daimon interiore, una volta scoperto, perseguito e soddisfatto, può essere una (ragionevole) fonte di reddito. Per Simone Perotti è così: lui ha ridotto le proprie esigenze, ma un po’ di soldi riesce a guadagnarli scrivendo libri e articoli e lavorando come skipper, visto che adora andar per mare. Insomma, il suo daimon ha un mercato. E chi ha un daimon senza mercato come fa? Il compositore di haiku, per esempio? O il fabbricante di ceste di vimini? O il cloudspotter? Non si vive solo di haiku, ceste di vimini o nuvole, purtroppo.
Poi… i vincoli. Diamine, ce n’è sempre. Anche seguendo il daimon. Abbiamo sempre vincoli e doveri verso gli altri e verso noi stessi, anche quando facciamo qualcosa che amiamo intensamente. Prendiamo il caso di Simone Perotti, per dire. Lui insiste che la sua vita è libera, che quando non ha voglia di fare un cazzo… non fa un cazzo: va sul lungomare a leggersi un libro e sorseggiarsi una bibita. Davvero? Se davvero Perotti si mantiene facendo lo skipper e occupandosi delle barche altrui, magari quel giorno lì non può, perché la barca deve essere consegnata pulita e pronta entro il pomeriggio. Non ci sono cazzi. Se davvero Perotti vive dei frutti del proprio orto e i pomodori devono essere messi a dimora, lui lo deve fare proprio quel giorno lì e non un altro. Di nuovo, non ci sono cazzi. Dove finisce allora la libertà dai vincoli?
Inoltre… il daimon. Tutti ne abbiamo uno. Scoprirlo magari non è facile, ma c’è. Se lo realizzi, sei un uomo felice. Sul serio? Sempre sempre sempre? Non so Perotti, ma per me non è così. Il mio daimon, per esempio, consiste nel raccontare agli altri le cose che so. Non so se sono bravo a farlo, ma so che qualcuno mi paga (non moltissimo, ma abbastanza per farmi campare) per farlo. E mi ritengo un uomo fortunato perché mi mantengo facendo qualcosa che, per il godimento che ne ricavo, farei anche gratis. Eppure talvolta non ne ho voglia. Talvolta mi tocca scrivere di cose di cui non m’importa una sega. Oppure m’importa ma ho una crisi di rigetto, perché scrivo da troppo tempo e ho bisogno di staccare. Ma non posso, perché ho preso impegni e ho scadenze precise. E se voglio continuare a mantenermi con il mio daimon devo anche garantire una certa professionalità. E allora mi vien voglia di mandare in culo anche questo meraviglioso, appagante, libero lavoro.
Da ultimo… l’evoluzione. Tutti cambiamo. Da ragazzino (pensa un po’) io volevo diventare ufficiale nella Marina Militare. Poi, crescendo, ho deciso che avrei fatto lo scienziato. Quasi ci sono riuscito: mi hanno fermato la mia ignavia e la mia scarsa propensione verso la specializzazione. Da ultimo ho capito che la mia vera vocazione, il daimon, era la narrazione. Ma questo sarà proprio l’ultimo stadio? E se domani mi rompessi i coglioni di scrivere e mi venisse l’arrazzamento per… chessò… la navigazione per mare, come Simone Perotti? Mollo tutto e mi metto anch’io a fare lo skipper? Anche se non ne so una sega e devo imparare tutto da zero e nella migliore delle ipotesi divento un modesto dilettante? D’altronde, se resto a fare quel che so fare, sono un alienato intrappolato nel loop lavoro-consumo-lavoro. O no? Boh!
Simone Perotti, Adesso basta, Chiarelettere
Simone Perotti, Avanti tutta, Chiarelettere
Piace: Lo stile chiaro e scorrevole, la concretezza degli esempi, la ricchezza delle argomentazioni, il fascino della tesi proposta.
Non piace: Che fa chi ha un daimon privo di un mercato? E che fa chi si rompe le palle, ogni tanto o per sempre, del proprio daimon?
Voto: 8/10
COMMENTI (1)
Inviato il 05 dicembre a 13:00
Beh, marco, se ti rompi di fare quel che faresti nella tua nuova vita, cosa sempre possibile, puoi cambiare ancora, tenendo presente però che: 1) ciò che sei veramente non lo puoi e non lo devi cambiare. E c'è qualcosa che sei veramente. C'è. 2) il cambiamento non porta a scelte fisse e immutabili. Semmai a un percorso, che va fatto, che porta dove deve, e non è così importante ciò che si fa ma come si cammina.
Le ceste di vimini si possono vendere, qualunque cosa può godere di un minimo micromercato.
Ma il punto vero è un altro: vivere con poco. Pochissimo. Sempre meno. Il che limita le occasioni di lavoro "necessario" e consente, semmai, il lavoro "volontario", che anche se è remunerato si presta sempre alla scelta, alla decisione. Sì o no. Mi va o non mi va. E anche questa è libertà.
In bocca al lupo. ciao. Simone Perotti