Magazine Cinema
Usa, Giappone, 2005
145 minuti
Il progetto di 'Drawing Restraint' può essere descritto come una sorta di fecondazione trasversale tra il desiderio di creare e la fatica di continuare a creare: un tentativo di rafforzare l'energia creativa senza permettere alla propria pratica di assumere una forma concreta. Alla base di 'Drawing Restraint 9' vi è un ciclo in tre fasi ('Situazione', 'Condizione' e 'Produzione') chiamato 'Sentiero', che è una meditazione sul processo creativo. La 'Situazione' potrebbe essere descritta come una spinta naturale, un desiderio. la Condizione' diventa la rappresentazione di un imbuto disciplinante in grado di captare l'energia naturale e ancora senza meta per incanalarla verso qualcosa di utile. Nella fase di 'Produzione' inizia a emergere una forma." - Matthew Barney
Lui: Matthew Barney. Regista, fotografo, scultore. Rigoroso esponente dell'arte contemporanea, noto nell'ambiente soprattutto per il ciclo del "cremastere", Cremaster Cycle (in anatomia, un muscolo scheletrico che ricopre i testicoli), un progetto composto da cinque pellicole che variano dal medio al lungometraggio, distribuite dal 1995 in ordine non cronologico.
Lei: Bjork. La più eclettica cantante/artista/compositrice "avant-pop" del pianeta. Instancabile ricercatrice di nuove sonorità e nuove espressioni musicali, l'album Medulla (2004) può essere considerato l'apice delle sue sperimentazioni.
Due Artisti (con la A maiuscola) così dovevano per forza incontrarsi, e dalla loro unione (non solo artistica) nasce Drawing Restraint 9, opera surreale, minimalista e profondamente poetica, che definire esclusivamente cinematografica è alquanto riduttivo. Per l'occasione, Bjork compone le undici tracce musicali che andranno poi a costituire l'omonimo album. E Barney sceglie il Giappone, dove a bordo della baleniera Nisshin Maru (giunta alla sua quarta "evoluzione") da sfogo alle sue visioni continuando nel ricercatissimo processo creativo intrapreso con il primo esperimento della serie Drawing Restraint (1988)*. DR9 è l'acme di questo processo; instancabile e ciclico (d'altronde i riferimenti a Cremaster sono tangibili, nella scultura di vasellina denominata The Field che domina sul ponte dell'imbarcazione), e destinato a riformularsi in un'immensa esperienza sensoriale di quasi due ore e mezza nelle quali la parola è annullata (eccetto sedici minuti nella parte centrale), lasciando spazio ad un'assenza che è pura generazione di rumori meccanici, stimolazioni uditive, percezioni visive che ergono dall'oscurità di una stiva. I due ospiti occidentali (gli stessi Barney e Bjork) intraprendono un viaggio (probabilmente, anche metaforico della loro relazione di coppia) che li porterà ad unirsi in un matrimonio di tradizione sciontista, attraverso precisi rituali di vestizione e degustazione del tè, fino all'evolversi (durante un temporale che esplode improvviso sulle note dell'inquietante Storm) in una vera e propria cerimonia di automutilazione (e mutazione) dove la rispettiva "morte" della carne, e dei sensi, origina semplicemente un varco "amniotico" atto a una futura palingenesi artistica (non a caso, la stessa Bjork, riguardo all'album ha dichiarato di come il progetto sia stato il più ambizioso della sua carriera). Ma oltre a questa fase di "Produzione" in cui la forma emerge, in maniera quasi palese, il film è talmente carico di simbolismi ermetici dal far desistere a ulteriori tentativi di decifrazione (tra i più ostici: il bambino che vomita, le pescatrici di perle, il midollo gelatinoso) se non si dispone almeno di una vasta conoscenza dell'operato complessivo dell'autore (Cremaster compresi) e per i quali si rischierebbe di scivolare facilmente in interpretazioni scorrette, visti anche i prevalenti riferimenti alla cultura giapponese. L'opera di Barney è chiaramente un viaggio, indubbiamente faticoso, ma che come tale va vissuto e per chi ha costanza di approdare alla riva, sarà un'esperienza indimenticabile. Il consiglio quindi, per evitare di premere il tasto stop dopo soli venti minuti di visione, è semplicemente quello di lasciarsi trasportare: visivamente e, uditivamente, dalle ipnotiche sonorità del "folletto islandese", solcando assieme all'imponente imbarcazione, l'Oceano della metamorfosi. DR9 è il "canto della sirena" che alla fine del percorso, attirerà i due protagonisti (artisti), mutati in cetacei, dirigendoli verso la spiaggia della "nuova rinascita" (fase creativa).
Menzione d'obbligo, infine, per il making of del film: No Restraint, che oltre a mostrare le varie fasi di lavorazione, approfondisce sulla realizzazione del progetto completo di Drawing Restraint, con filmati dei primi esperimenti, e su come Barney abbia sviluppato questa idea.
*Il progetto DR è attaulmente composto da 17 opere non-filmiche (l'ultima, del 2010 e realizzata in Svizzera) che il regista concepì originariamente nel 1988, attratto dall’idea della rottura del tessuto muscolare dovuto ad eccessivo sforzo, dalla sua rigenerazione cellulare e applicando (attraverso una serie di performance fisiche) questo concetto alla creazione artistica.
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