Draymond Green: The Smart Warrior

Creato il 07 febbraio 2015 da Basketcaffe @basketcaffe

Saginaw, Michigan, 4 marzo 1990. La signora Mary Babers Davis si contorce in una smorfia di dolore: il piccolo Draymond sta per salutare le atmosfere anti-idilliche delle grigie cornici di Mo-town, ma papà Wallace fatica a reggere la responsabilità di una famiglia che si allarga. Mentre il frugoletto cresce con la sconcertante rapidità dei corpicini che dichiarano fin da piccoli un’estrema volontà di protagonismo atletico, il signor Davis non smette di generare vite e non riesce a risolvere i problemi più pressanti: mamma Mary sospira poiché i piatti piangono e la povertà avanza. Serve un aiuto. Il tempo stringe.

Raymond Green accoglie lo sguardo acceso della signora Babers e adotta il bambino che riempie d’energia la casa: il piccolo si accorge che il nome del secondo padre riesce a riflettere nel suo e si apre a un futuro nuovo. Equilibro e lavoro, fede e impegno, studio e canestri. Yeah, basketball.

Saginaw accoglie gli echi estremi della gloria cestistica che trasuda dalle atmosfere elettriche del Pontiac Silverdome e dalla mistica di East Lansing: i Detroit Pistons e gli Spartans di Michigan State University gridano l’orgoglio minacciato di un territorio che intreccia ai profili unici dei Grandi Laghi le strutture massicce della grande industria. The Motor city is burning? L’America del nuovo millennio nasconde le linee di faglia della questione razziale nel complesso melting-pot di una società che doppia i ritmi di studio dei sociologi. Anche la città di Henry Ford s’immerge in un’epoca inedita: la grande industria automobilistica entra in un declino ineffabile e i sobborghi operai si riempiono di disoccupati.

Una foto pubblicata da Draymond Green (@money23green) in data: Set 29, 2014 at 10:28 PDT

8-mile road. Mentre Eminem traccia un affresco spietato e milionario della strada che riflette il crollo di un mondo senza futuro, Draymond Green muove i primi passi sotto i tabelloni: il corpo impone alla mente di amare il Naismith Game e l’intelligenza rapace assorbe la passione con l’entusiasmo di un ragazzo di provincia che rifiuta il declino. Il collasso dell’industria automobilistica prosciuga Saginaw delle energie più vive e trasforma il liceo locale in un’umile scuola di periferia: i riflettori del Michigan non illuminano mai gli scampoli ombrosi delle cittadine, ma coach Lou Dawkins capisce che Draymond coltiva un fuoco inestinguibile. Lo allena e lo migliora, lo torchia e lo spinge oltre i limiti di una costituzione fisica che esalterebbe le riprese in 16:9, lo educa e lo motiva, ma si accorge che non c’è bisogno di caricare la dinamo: Saginaw High School vive dell’energia inestinguibile di un volano sottovalutato.

Underdog, underrated, under everything. Michigan State lo recluta senza troppe fanfare e gli chiede uno sforzo inedito: Green deve uscire dalla panchina e garantire pochi flash poiché il quintetto è pieno di soluzioni, ma la second-unit ha bisogno di un operaio del parquet capace di risolvere i problemi di tutti i settori. Draymond alza gli occhi al cielo, sorride e regala allo staff la risposta di un autentico figlio di Motown. No problem. Green non si è mai mosso dal suo Stato per più di pochi giorni e un diametro di 120 miglia potrebbe tracciargli il profilo di una vita felice, ma sente che l’identità dei Spartans gli pulsa nelle vene e capisce che la strada per la grandezza passa attraverso le piccole cose: scende in campo e tappa tutti i buchi, ma i ragazzi si accorgono che nessun altro freshman vive lo spogliatoio con la stessa sicurezza che domina l’animo di quel diciottenne di periferia. Draymond apprende e immagazzina, suda e migliora, sgomita e si apre una strada verso la post-season.

Poi, semplicemente, lievita. Il primo anno a Michigan State è un viaggio sulla superficie di un tornado che si rigenera attraverso la profusione e costruisce positività dal movimento: più la temperatura del match aumenta, più la forza assume controllo; più i mesi e gli anni passano, più l’energia guadagna cellule e mitocondri; più si accumulano i premi, più si allargano le motivazioni. Dopo quattro anni di roaring basketball, lo sconosciuto di Saginaw diventa il secondo rimbalzista all-time dei Spartans, lascia l’ateneo con la reputazione di un Big Ten Player of The Year e riempie la stanza dei ricordi con un profluvio di riconoscimenti individuali, ma il big business non si accorge di lui.

Underdog, underrated, under everything. Nell’universo patinato del 2012 nessun pezzo grosso del college basketball resta sui banchi per quattro anni… Draymond inserisce nel curriculum vitae una laurea in Scienze della Comunicazione e si presenta alla Lega più famosa del mondo con la sicurezza che gli ha permesso di sfondare le barriere dell’anonimato, ma trascorre il primo giro del Draft nell’oscurità del silenzio.

Un luogo perfetto, per chi crede. Quando i Golden State Warriors gli regalano il quinto cappellino del secondo giro, Green sorride e prepara le armi della passione per il training camp: nessuno ricorda lo spirito vincente di Michigan State e l’entusiasmo scintillante che ha fatto brillare tutti i try-outs, ma il ragazzo sa già che sarà il vero steal of the Draft. Lavora per prendersi una squadra capace di raggiungere i Playoffs e cerca di stabilire un contatto con l’ambiente: le meraviglie di San Francisco? La baia – non sempre raccomandabile – di Oakland? No, sir! La ridente Emeryville è perfetta per ospitare i sogni infiniti di un ragazzo che inchiostra il primo triennale della sua vita: 2.6 milioni di dollari, ma solo 900.000 sono garantiti… Draymond sa che la franchigia non lo lascerà mai andare, ma risparmia una parte dei soldi del per diem: non è abituato agli agi delle superstar. Ricorda che la forza del gioco risiede nell’identità e non dimentica che l’essenza del Michigan si esalta nell’impegno quotidiano.

Conosce Mark Jackson. Folgorazione doppia. Il pio coach newyorkese chiede ai ragazzi un volontario per elevare una preghiera e rinfresca ai ragazzi la memoria di una carriera trascorsa a smazzare assist, recitare salmi e scacciare incubi. Draymond non esita neppure un attimo: “Parto io!” Non fa ancora parte della rotazione, ma sente il bisogno di esprimere la leadership che ha appreso negli anni di East Lansing. Il coach e gli Splash Brothers cavalcano l’energia ineffabile dell’ultimo arrivato e leggono nelle sue parole la semplice consapevolezza di un predestinato: “Io vedo il gioco in maniera diversa rispetto ad altri ragazzi. Leggo sempre il movimento successivo. Quando non ho la palla in mano, scandaglio il campo per vedere dove va il prossimo passaggio. Non sono atletico come altri, quindi ho come contraltare la necessità di un cervello tremendamente pronto a pensare il gioco”. Non solo: ogni secondo che Green trascorre sul parquet reca il segno lottato e sudato di una presenza ingombrante. Sembra troppo piccolo per essere un 4 e non è abbastanza perimetrale per diventare un 3 di livello-NBA, ma travolge i pregiudizi con la stessa voglia di emergere che l’ha condotto prima in cima al Michigan e poi nella storia del college basketball.

Diventa un giocatore fondamentale, ma coach Jackson sintetizza il pensiero di tutti con poche battute: “È semplicemente lui: è un leader e non si preoccupa dell’impiego o dell’apparenza. Si è presentato come un leader e quella è una mentalità da guida. I ragazzi lo abbracciano poiché capiscono che lui non mostra entusiasmo solo quando gioca bene e stiamo vincendo. Lo fa al cospetto delle avversità. Quando non giocava, quando non trovava spazio, quando non convertiva i palloni-partita con defensive-stops e rimbalzi, era sempre lo stesso Draymond Green”.

Una foto pubblicata da Draymond Green (@money23green) in data: Mag 8, 2014 at 3:24 PDT

Lo stesso rookie capace di assorbire un meraviglioso game-winner di Andre Miller e straordinario nel ricordare la magia ineffabile dei Playoffs. Delusione per un errore? Gioco duro? Tensione? Here comes Draymond! Le statistiche lievitano e gli intangibles riempiono il parquet: l’Oracle Arena comincia a percepire che il numero 23 è finito sul petto di un giocatore speciale e s’incendia ogni volta che il pacchetto tecnico-atletico-mentale più sottovalutato dell’estate del 2012 si muove sul terreno di gioco. Le prime esitazioni dell’autunno da sophomore si sciolgono nel ciclone di energia che ricomincia ad abbattersi sulla Lega: Green ha bisogno di sentire l’elettricità dell’aria e, per la prima volta nella vita, non bada a spese per mandare un messaggio forte a Blake Griffin. La fisicità di un giocatore senza ruolo scuote gli equilibri degli avversari di Golden State e l’irriverente faccia tosta di un less-than-a-million-dollar guy fa saltare i nervi dei Clippers: la rivalità si proietta nei Playoffs e Draymond sale di livello, ma CP3 e gli oltraggiati di Sterling hanno qualcosa di più.
4-3 LA. Via Jackson. New deal di Steve Kerr.

Massicce dosi di David Lee e disgrazia di Draymond? Tanto Barnes e poco Green? Nothing at all! Il coach esordiente accetta l’affetto che i fari della squadra continuano a nutrire per l’allenatore che li ha lanciati ad alto livello e capisce che il talento della Baia ha bisogno di libertà, ma scambia gli spartiti improvvisati del jazz cestistico con un impegno corale difensivo che consenta alla squadra di migliorare ulteriormente l’ottimo rendimento del 2014. Quando Lee si fa male, Kerr scopre Green e s’innamora della sua totalità: il raggio di tiro si estende oltre l’arco dei 7.25m, i piedi e le spalle sono attratti dai punti più favorevoli per i rimbalzi da una misteriosa forza magnetica, gli assist denunciano una visione di gioco avanzata, le stoppate e i recuperi riempiono di segni i fogli delle statistiche, ma la parte più affascinante dell’iceberg rimane nascosta sotto il livello dell’acqua.

Tangible energy made of intangibles, un’intensità pazzesca che sfocia nella capacità di incidere sulle dinamiche del gioco. La fame di Green esalta il talento cristallino degli Splash Brothers, ma l’impatto offensivo dell’uomo del Michigan riflette il lavoro indefesso tra le mura della facility dei Dubs: Draymond continua a incollarsi alla migliore ala avversaria e sopperisce alle carenze di esplosività con un cocktail di energia e comprensione del gioco che lascia strabiliati gli addetti ai lavori. Non potrebbe marcare le power forwards poiché gli mancano centimetri e chili, ma la voglia e il cervello gli concedono posizioni perfette e rinsaldano la protezione dell’area; è improbabile pensare che difenda sugli esterni, ma gli occhi leggono le direttrici di movimento e i piedi precedono le intenzioni degli avversari. A volte finisce fuori giri, ma spesso devasta le partite con eruzioni di energia che tolgono fiato anche alle squadre meglio preparate. Chicago e Toronto conservano ancora i segni della furia di Draymond.

Termometro e barometro. Green misura la temperatura e la pressione della macchina più spettacolare dell’NBA 2014/2015. Le statistiche tradizionali (11.2 punti, 8.2 rimbalzi, 3.6 assist, 1.6 recuperi, 1.4 stoppate, 1.8 perse e 3.3 falli in 32 minuti d’impiego con il 51% da due, il 33% da tre e il 68% dalla linea della carità) non spiegano nulla: neppure gli studi più avanzati (16 di PER, 16.6 di usage) restituiscono l’importanza capitale di un uomo che guadagna circa 900.000$ e si affaccia alla prossima stagione come un’autentica bomba a orologeria. Se Jimmy Butler giocasse in un’altra Lega, Draymond Green sarebbe con ben pochi dubbi il Most Improved Player of the year; se fosse inserito in un altro contesto e non avesse la straordinaria mentalità che lo ha portato fino alla bellezza del sistema-Dubs, cercherebbe gloria e denaro sul mercato dei free-agent, sul quale è destinato a finire dopo la campagna con gli Splash Brothers… Resterà a Golden State o virerà alla volta di altri lidi? La franchigia non vivrà un’estate facile e dovrà resistere a parecchi assalti incrociati, ma la squadra, l’ambiente e il sistema sanno che un uomo come Draymond Green non si pesca in ogni Draft… Soprattutto con il numero 35! Steve Kerr e la proprietà, Stephen Curry e Klay Thompson faranno di tutto per convincerlo a trasferirsi in pianta stabile sulla Baia, ma Draymond non ha bisogno di sirene. Non le sente. Continuerà a giocare per raggiungere il traguardo che tutti i vincenti sognano.

Come un guerriero intelligente.
The True Smart Warrior.

 

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