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- Scritto da Lorenzo Bianchi
- Categoria principale: Rubriche
- Pubblicato: 15 Ottobre 2014
Nel mondo del cinema d’animazione ormai è considerato il dualismo per eccellenza, una sorta di duopolio che quasi ogni anno si contende il primato a suon di incassi al botteghino: Disney/Pixar e DreamWorks Animation sono da sempre rivali, o almeno, da 20 anni a questa parte, quando la DreamWorks mosse i primi passi nel mondo del grande schermo. Quello che molte persone non sanno è che, però, questa diatriba sarebbe stata evitabile, se solo Michael Eisner, allora amministratore delegato Disney, non avesse deciso di dimostrare la sua poca lungimiranza cacciando Jeffrey Katzenberg, non ritenuto all’altezza di Frank Wells, numero due di Eisner con cui ha realizzato capolavori come La Sirenetta, La Bella e la Bestia, Aladdin e Il Re Leone, a lui dedicato. Katzenberg, quindi, con Steven Spielberg e David Geffen fondò la DreamWorks SKG.
Lo scontro con la Pixar
Gli inizi, e soprattutto il confronto, non sono certo confortanti, se si pensa che nel 1995 la Disney/Pixar propone Toy Story, mentre il primo film d’animazione DreamWorks risale al 1998, banché sia a tutti gli effetti un successo: Il Principe d’Egitto, che narra la fuga del popolo ebraico dalla schiavitù, con tanto di sequenza spettacolare della divisione delle acque da parte di Mosé, è osannato dalla critica e premiato anche agli Oscar per la miglior canzone, When you believe, interpretata da Mariah Carey e Whitney Houston. Pare, inoltre, che Katzenberg non abbia mai digerito il suo licenziamento, nonostante i 270 milioni di dollari di buonuscita, e che abbia deciso di far creare Mosé con i suoi lineamenti, mentre per realizzare il perfido faraone Ramses sembra si sia ispirato proprio allo stesso Eisner, e questa non sarà episodio isolato. Per i primi anni, è impossibile parlare della DreamWorks senza citare anche la Pixar, perché non è un caso che negli anni successivi siano usciti film d’animazione molto simili, troppo simili tra loro, per pensare ad una fatalità: nel 1998 è il turno di A bug’s life e Z la formica, nel 2000 di Le follie dell’imperatore e La strada per El Dorado, nel 2004 Alla ricerca di Nemo e Shark Tale, mentre la situazione è ribaltata se si pensa al successo DreamWorks con Madagascar (2005) e al fallimento Disney con Uno Zoo in fuga (2006).
In particolare è con Shrek (2001), il maggior successo DreamWorks, premiato anche con la statuetta come miglior film di animazione, che Katzenberg ottiene la sua vendetta definitiva nei confronti del suo passato: non solo conferisce a Lord Farquaad i tratti somatici di Eisner, ma nella trama diverte e si diverte sbeffeggiando le trame zuccherate disneyane, prendendosi gioco delle principesse e ribaltando lo schema classico delle favole, dove il bacio del vero amore trasforma Fiona in ciò che davvero è: un orco. L’eroe, il favoloso e rivoluzionario orco Shrek, non è dunque il principe azzurro, anch’esso sbeffeggiato durante Shrek 2 (2004), arrivato dopo anni di transizione con animazione classica, che hanno visto nelle sale Spirit-Cavallo selvaggio (2002) e poi Sinbad: La leggenda dei sette mari (2003). Con Shrek 2 arriviamo ad un altro enorme passo in avanti, sia a livello di animazione digitale, sia di contenuti: come nel prima capitolo, infatti, il divertimento è moltissimo, ma allo stesso tempo c’è una riflessione sull’accettare la diversità e sulla bellezza interiore che permette a questi due film d’animazione di elevarsi al livello dei grandi del cinema.
Il problema con i sequel
Il problema di Shrek, e della DreamWorks in generale, sono i sequel e gli spin-off, utili più per il merchandising, fedeli al vecchio adagio “batti il ferro finché è caldo”. Nascono così Shrek Terzo (2007), Shrek e vissero felici e contenti (2010) e Il gatto con gli stivali (2011), opere che dimostrano come si sia cercato di spremere al massimo un argomento che di cose da dire ne aveva oramai ben poche, e visti i risultati tutt’altro che soddisfacenti in molti hanno storto il naso chiedendosi se forse non fosse il caso di chiudere in bellezza con il primi due meravigliosi capitoli.
Lo stesso discorso fatto per Shrek vale anche per Kung Fu Panda (2008), con un sequel che, però, è solo lievemente inferiore al suo predecessore, e soprattutto per Madagascar (2005), film spassoso dove alcuni animali fuggono da uno zoo di New York verso la libertà: idea divertente, personaggi ben caratterizzati e animazione ottima lo portano in vetta alla classifiche mondiali e di gradimento sia della critica che del pubblico. Il problema, anche in questo caso, sono i sequel: Madagascar 2 (2008) e Madagascar 3-Ricercati in Europa (2012) erano davvero così necessari? La fortuna è che con quest’ultima commerciale pellicola si chiude quello che potrebbe essere definito come il periodo nero della DreamWorks, iniziato proprio con Shrek Terzo, che, a parte qualche rara eccezione, sembrava non riuscire più ad indovinare i film. In questo periodo escono infatti dei film leggeri, divertenti, ma mai entrati veramente nella memoria collettiva come opere memorabili: Bee Movie (2007) è mediocre sotto ogni aspetto, in particolare quello visivo, Mostri contro Alieni (2009) e Megamind (2010) restano sicuramente dei prodotti godibili, ma pensati su misura per il botteghino più che per le vere emozioni che altre opere hanno saputo trasmettere.
L’Oscar per la stop motion
Prima di inoltrarci nelle eccezioni di questo periodo, è però corretto ricordare che alla voce “Oscar per il miglior film di animazione” c’è un altro titolo DreamWorks: Wallace&Gromit: La maledizione del coniglio mannaro (2005), che ha conteso e strappato la statuetta ad un altro enorme capolavoro in stop motion, nientemeno che La Sposa Cadavere (2005), di Tim Burton e Mike Johnson. Resta l’unico esperimento con la tecnica stop motion per la DreamWorks, che nei due anni successivi è tornata a dirigere degli ottimi prodotti, molto divertenti, utilizzando l’animazione digitale: La gang del bosco (2006) e Giù per il tubo (2007), su cui, però, potrebbe aleggiare lo spirito di Ratatouille (2007), della Disney/Pixar.
I capolavori
Nel periodo buio, si sa, qualche raggio riesce a splendere comunque, e se Kung Fu Panda è molto vicino ai livelli toccati da Shrek, sia per animazione che a livello contenutistico, è nel 2010 che la casa di produzione si è superata, arrivando a creare quello che, fino a pochi anni fa, poteva essere ritenuto il miglior prodotto DreamWorks mai realizzato: Dragon Trainer. La storia dei cacciatori di draghi di Berk è un misto di avventura, azione e divertimento, ma che nel finale, come spesso succede ai grandi capolavori, riesce ad arrivare diretta al cuore degli spettatori, con sequenze toccanti e una morale sul pregiudizio e sulla fiducia in sé stessi da non sottovalutare. Nel 2012 si torna infatti su vette altissime con una delle pellicole più belle, toccanti ed emozionanti che la DreamWorks abbia mai prodotto: Le 5 Leggende. La storia di come Jack Frost sia diventato una “leggenda”, al pari di Babbo Natale, del Leprotto di Pasqua, della Fatina dei denti e di Sandman, sconfiggendo Pitch Black e salvaguardando i sogni e le speranze dell’infanzia, arriva direttamente al cuore, passando per la meraviglia degli occhi. E solo un anno dopo, cambiando genere e puntando molto più sul divertimento, ecco I Croods, la storia di una famiglia preistorica. Le polemiche su come Eep assomigli a Merida del disneyano Brave (2012) risultarono presto sterili, e il film riuscì a sfiorare il premio Oscar, finito, giustamente, tra le mani dei creatori di Frozen (2013). Resta comunque negli occhi l’utilizzo quasi psichedelico dei colori, un’insieme di trovate geniali e gag esilaranti, oltre ad un finale toccante che elevano quest’opera tra le più belle del cinema d’animazione contemporaneo.
L’ultimo periodo e il futuro
Purtroppo, però, dopo due meraviglie consecutive, non arriva la conferma definitiva. Turbo (2013) sembra infatti la versione DreamWorks di Cars (2006), anche se l’idea della lumaca che vuole gareggiare è molto divertente e il film a tratti sia convincente, ma sicuramente non all’altezza dei predecessori. Lo stesso discorso vale per Mr.Peabody e Sherman (2014), partito con le migliori intenzioni è poi perso tra i suoi diversi riferimenti, in una trama che a tratti ricorda Ritorno al Futuro, da cui molto probabilmente ha preso ispirazione. L’ultimo capitolo è un sequel, e purtroppo anche in questo caso non si sottrae alla condanna di chi lo ha preceduto: Dragon Trainer 2, infatti, a livello visivo raggiunge livelli altissimi, ma la trama perde dell’epicità e della forza che erano state apprezzate nel primo capitolo e alcuni buchi di sceneggiatura non permettono il definitivo salto di qualità.
La strada è lunga, e in 20 anni la DreamWorks è finalmente riuscita ad appianare il gap che la divideva dalla Disney, dimostrando che, con opere originali e uno stile accattivante e meno “classico”, può anche superarla, e non saranno certo dei premi Oscar a dire il contrario. I Pinguini di Madagascar, in uscita dal 27 novembre nelle sale, è il prossimo passo, anche se l’attesa maggiore è per Home, il film d’animazione DreamWorks di punta per il prossimo anno.
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