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Per affrontare il mercato cinese con una prima vera e propria produzione totale, Johnnie To va sul sicuro con il genere di cui è maestro, e il suo ultimo noir, pur presentando alcune differenze con le opere passate a un livello più che altro scenografico (ma comunque importante considerando quanto lavoro svolgano le atmosfere strette e sudice dell’Hong Kong notturna), è l’ennesimo meccanismo di perfetta sincronia, di ritmo meticolosamente scandito, di narrazione solidissima e inattaccabile. Preferendo quindi i grandi spazi aperti e desolati (esemplare l’infinita, meravigliosa sparatoria in autostrada che da sola occupa l’ultima mezz’ora del film) ai cunicoli labirintici, To mette in scena, come annuncia il titolo, una guerra tanto fisica quanto, soprattutto, verbale e simbolicamente mimica – sia dalla parte dei buoni che dei cattivi il fingere un ruolo che non è il proprio diventa vitale per sopravvivere, elemento che continua a ripresentarsi per il trafficante Timmy, costretto a collaborare con la polizia pur di salvarsi il culo, e per il capitano Zhang Lei, abilissimo trasformista nel sostituirsi agli uomini a cui dà la caccia per poterli meglio incastrare (straordinari i due segmenti in cui interpreta prima un boss freddo e silenzioso e subito dopo un criminale bonaccione e logorroico).
Otto mani per scrivere una sceneggiatura di ferro, che avanza come un macigno senza pause, senza soste, in una verbosità massiccia ma mai invadente o pesante, investendo lo spettatore con una chirurgia piena e totale che solo certo cinema di Hong Kong riesce a dare – la progressione millimetrica e ricca di dettagli schiaccia per la complessità e per come viene gestito un intreccio che rimane saldamente sempre in bilico, fino alla fine, mantenendo quella confusione comportamentale necessaria a dare credito alle gesta di Timmy, anche, forse soprattutto, nell’istante in cui la vicenda si avvia verso la sua conclusione, portando chi guarda a domandarsi lo stesso un meravigliato “perché fa così?”, ennesimo tassello dell’indistruttibile regia di To, che conduce la storia con una fermezza maestosa e mostruosa, ingannando il pubblico a suo piacimento e ribaltando la situazione quando meglio gli piace. Ma è anche merito di due attori sublimi, come un Luis Koo perennemente misterioso nei suoi silenzi e nei suoi gesti criptici, e Sun Honglei, che da solo trascina il film con una forza espressiva incredibile.
Chiude una carneficina di rara crudeltà e armonia visiva, un’infinita sequenza di proiettili che non hanno pietà per nessuno – sublime e precisa conclusione di una pellicola sulla soglia della perfezione.
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