di Michele Marsonet. Anche se non ve n’era bisogno, il recente vertice euro-asiatico di Milano ha dimostrato una volta di più quanto sia autolesionista e priva di prospettive la strategia di politica estera che l’Europa – o, meglio, l’Unione Europea – ha adottato negli ultimi anni.
Al summit gli americani non erano presenti, com’è logico che sia trattandosi di una riunione tra nazioni europee e asiatiche. E tuttavia, un tempo, gli USA trovavano sempre il modo di farsi sentire nei casi in cui non partecipavano in modo diretto a riunioni importanti come questa.
Stavolta no. Angela Merkel è stata più timida del solito nel rappresentare gli interessi americani, e il ruolo di protagonisti assoluti è passato al Presidente cinese Xi Jinping e a quello russo Vladimir Putin.
E’ un fatto molto significativo. Repubblica Popolare Cinese e Federazione Russa stanno rapidamente superando gli antichi dissapori che dividevano le due ex potenze comuniste ai tempi di Mao e dei leader sovietici, a partire dallo stesso Stalin.
Dissapori che a un certo punto avevano addirittura condotto a scontri armati di confine. Il più celebre si verificò nel 1969, sulle sponde del fiume Ussuri. Tutti rammentano i soldati cinesi che sventolavano in faccia a quelli sovietici il celebre Libretto Rosso di Mao Tse-tung. Ma non era solo folklore, poiché gli scontri suddetti causarono pure numerosi morti.
Cessata la contrapposizione ideologica che una volta riguardava soprattutto la corretta interpretazione del marxismo, russi e cinesi hanno perfettamente compreso che, lavorando in sinergia e sfruttando le falle (forse sarebbe meglio chiamarle voragini) della politica estera USA, possono aumentare ulteriormente il loro peso sulla scena globale e fornire agli europei occasioni di sempre maggiore collaborazione.
La diffidenza, ovviamente, non è affatto sparita. E’ inevitabile visto che a fronteggiarsi su un confine enormemente lungo sono da un lato un Paese con oltre un miliardo e 300 milioni di abitanti in perenne cerca di spazi, e dall’altro una federazione con un territorio immenso ma scarsamente popolato.
Non si tratta tuttavia di ostacoli insuperabili se i rispettivi leader praticano un sano realismo politico attento in primo luogo agli interessi non solo geopolitici, ma anche economici e commerciali. Ecco quindi l’intento di unire Asia e Europa con un gigantesco piano ferroviario e con una superautostrada a 12 corsie, in grado di collegare in tempi assai più rapidi degli attuali Shangai e Rotterdam.
Non sono scenari di fantasia, dal momento che le basi concrete sono già state gettate. E il discorso si sta allargando al mondo intero con il progetto di costruire un canale alternativo a Panama per passare dall’Atlantico al Pacifico. Tanto i russi quanto i cinesi stanno lavorando alacremente in tutte le direzioni accennate, e l’interesse europeo, per quanto non ancora espresso in termini ufficiali, si è subito percepito.
E non basta. Nel summit di Milano si è inoltre visto che la disgraziata vicenda ucraina si può impostare in termini più razionali quando gli americani non ci sono. Putin e Poroshenko non si amano (e uso un eufemismo), tuttavia si sono parlati e non è escluso che una soluzione accettabile venga alla fine trovata.
Il comportamento dell’amministrazione Obama è in ogni caso imbarazzante, e negli stessi Stati Uniti molti lo dicono ormai in modo aperto. L’influenza USA nel mondo è ai minimi storici, e il prossimo Presidente – chiunque sia – dovrà sudare le proverbiali sette camicie per recuperare almeno parzialmente le posizioni.
E’ la prima volta dal dopoguerra che un distacco così evidente tra interessi europei e americani si verifica. C’è da sperare che a Bruxelles qualcuno non solo se ne renda conto – perché questo già avviene – ma faccia pure seguire alla consapevolezza teorica degli atti concreti.
Featured image, Petro Oleksijovyč Porošenko, president dell’Ucraina.