Nei giorni scorsi il Fondo antidiossina di Taranto ha presentato un esposto alla procura della Repubblica e ha inviato un’informativa alla Commissione Europea. Oggetto della documentazione: la discarica “Mater Gratiae” dell’Ilva sulla quale, in base ad alcune foto realizzate dai satelliti a cui fanno riferimento Google e Microsoft, sono state scoperte voragini dalle origini e funzioni incerti.
La preccupazione di Matacchiera è se tutto questo “può aver causato un’immissione diretta di dette sostanze nel suolo e nel sottosuolo con il potenziale interessamento dei sistemi della falda acquifera superficiale e profonda che confluiscono direttamente nei vicini Mar Grande e Mar Piccolo di Taranto“. Un dubbio rafforzato da una serie di “punti critici” riscontrabili nelle immagini e nei quali pare “sia stato realizzato uno scarico a cui sembrerebbe abbiano avuto accesso dei mezzi pesanti gommati (sono visibili, infatti, i segni dei pneumatici che lasciano pensare all’utilizzo di tale punto, quale recapito finale di rifiuti liquidi o fanghi di colore bruno di cui ignoriamo la tipologia)”.
Inoltre, si continua a leggere nella nota del Fondo, “si evincerebbe la presenza di un’area creata per il convogliamento di fanghi”. Un’area al momento sconosciuta perché “non pare rientrare in quella delle vasche di discarica destinate alla gestione operativa dei rifiuti”.
Per ciò che riguarda invece una zona deputata allo stoccaggio di materiale metallico, verosimilmente fusti, Matacchiera si chiede “se esso risulta essere stato realizzato per categorie omogenee, nel rispetto delle norme tecniche di deposito. E se contengano o meno sostanze pericolose. È degno di nota il fatto – conclude- che nelle vicinanze della discarica si svolgano attività di coltivazione“.
Subito dopo la diffusione dei dati, la replica del gruppo aziendale non si è fatta attendere: “Continuano ad essere diffuse notizie inesatte e palesemente non vere, atte a screditare l’operato e l’immagine dell’Ilva, creando danni rilevanti“, si legge nel comunicato stampa diffuso da Adnkronos. “Nessuna delle fotografie da satellite citate (foto A-Abis, B-Bbis-C-Cbis), contrariamente a quanto affermato dal Fondo Antidiossina, riguarda la zona della discarica Mater Gratiae“. La zona indicata come A-Abis “è una zona adibita al deposito di fanghi di altoforno che dovevano essere destinati al reimpiego all’interno del processo di agglomerazione. L’accumulo dell’esubero di tali materiali è oggetto di una verifica di possibilità di riutilizzo anche esterno oppure di smaltimento, come previsto dal Piano ambientale proposto dai tre esperti e in attesa di approvazione con decreto del Ministro dell’Ambiente“. La zona indicata come B-Bbis “erroneamente identificata come area di accumulo fanghi, è in realtà una zona adibita a deposito temporaneo di scaglie di laminazione da destinare a operazioni esterne di recupero in impianti per la produzione del cemento“. L’area “opportunamente delimitata e impermeabilizzata, è dotata di sistema di regimazione e convogliamento delle acque per essere successivamente smaltite“. La zona indicata come C-Cbis “erroneamente identificata come area di stoccaggio di materiale metallico (fusti), era un deposito di nastri trasportatori in gomma regolarmente smaltiti anni fa presso impianti esterni, come dimostrabile dalla idonea documentazione“.
Una risposta che non ha fatto retrocedere il Fondo antidiossina ed il suo presidente, che, anzi, dalla sua pagina Facebook controbatte: “L’Ilva ha diramato un comunicato per smentire le nostre osservazioni contenute nell’esposto che il Fondo Antidiossina ha inoltrato al Procuratore di Taranto. Hanno fatto un grave autogol e lo dimostreremo nei prossimi giorni con un nuovo esposto mggiormente dettagliato“.