Magazine Cultura

Duca: secondo capitolo

Creato il 01 giugno 2022 da Annalife @Annalisa
Duca: secondo capitoloTra mitra e macellai

Secondo capitolo della serie di Duca Lamberti, con Livia sullo sfondo, che appare e scompare, così come la sorella, perché stavolta il protagonista è proprio e soltanto lui, ormai deciso a intraprendere la carriera del poliziotto o simile, abbandonando definitivamente il sogno di suo padre, quello di vederlo medico.

C’è sempre Milano, sullo sfondo, una Milano che sembra inusuale, quasi primaverile, con “gli alberi tutti di un nuovo verde”, ma nello stesso tempo una città sconfortante; una Milano che non esiste più perché i Navigli sono quasi del tutto coperti, le cascine prima abbracciate e poi digerite dalla città (e quando va bene trasformate in ristoranti alla moda), la campagna è lontana e dimenticata. Ma d’altra parte, una Milano che, dai tempi di Duca Lamberti, ha esasperato il suo ruolo di capitale malavitosa (“È qui a Milano che ci sono i soldi ed è qui che vengono a prenderli, con ogni mezzo, anche col mitra”, si dice a un certo punto), anche se oggi la malavita non maneggia più il mitra e non è più forse apparentemente quella feroce e senza remore che si butta in queste pagine ad accumulare uccisioni, torture sadiche, commerci infidi.

In questo ambiente si sviluppano infatti, all’inizio con lentezza dovuta, una serie di delitti apparentemente slegati e inspiegabili, dove i presunti colpevoli si accusano a vicenda, e vengono a galla episodi sempre più passati, fino ad affondare le radici durante la Seconda Guerra mondiale. Lentezza dovuta, dicevo, perché siamo portati ad accostarci poco alla volta ai vari morti, spiati, mitragliati, rapiti, rinchiusi e torturati, fino a riuscire a sistemare ognuno al proprio posto, a sistemare ogni casella in questo tempo lungo in cui si svolge il tutto, nell’attesa dello scioglimento finale.
Perché a un certo punto Scerbanenco sembra pensare di averci dato tutte le informazioni possibili e allora accelera, tra una riflessione e un pensiero rabbioso, e incomincia ad avvicinare i lembi delle varie storie, grazie soprattutto all’ostinazione di Duca Lamberti.

È sempre lui, infatti, che insiste a voler capire il perché di quello che succede (mentre: se tutti tradiscono tutti – pensa Càrrua – meglio così, si ammazzino tra loro e noi stiamo meglio), e porta avanti le sue indagini quasi ufficiali con l’aiuto dell’ormai inseparabile Mascaranti. Su queste indagini (morti ammazzati, sparizioni, valigette misteriose, armi, droga, eccetera) non mi fermo più di tanto, perché non voglio raccontare che cosa succede. Mi fermo un po’ su Duca Lamberti che, se da una parte è meno esitante su ciò che vuole fare, meno  incerto sui suoi sentimenti per chi gli sta  intorno, dall’altra è sempre il protagonista tutto d’un pezzo che, pur consapevole delle sue manchevolezze, si permette pensieri di disprezzo verso i comprimari (malvagi o colpevoli) che incontra lungo la strada: da evitare la lettura, dunque, se non sopportate l’Italia bigotta, puritana e un po’ sprezzante di quegli anni (di cui, di nuovo, Scerbanenco sembra farsi non solo narratore, ma, a tratti, partecipe convinto), e le definizioni molto poco corrette che a tratti emergono dai pensieri o dalle parole del protagonista (cose che fanno dire: ah, ma guarda, si pensava questo? Si poteva dire quello?). Da evitare anche se non amate la giustizia sommaria di cui a volte lo stesso protagonista si fa portavoce (anche se poi magari non riesce a metterla in pratica perché trattenuto dai suoi stessi scrupoli), e, dulcis in fundo, se volete un finale che pacifichi, accontenti e, come in tanti gialli o noir, metta i buoni da una parte e i cattivi dall’altra.

Non succede così. Più maturo e strutturato del primo romanzo, anche questo sottolinea come, nella vita, non tutto va come dovrebbe; non tutti pagano il fio dei loro delitti, e, se anche Duca pensa che non tutti i delitti siano uguali, non tutte le morti violente siano ugualmente punibili, anzi, qualcuna si potrebbe persino giustificare, ecco, se anche succede questo, alla fine bisogna accettare che la realtà non è come la vorremmo, e che la nostra giustizia morale può fare a pugni con quella legale.

Il tutto narrato ancora con la bella scrittura di Scerbanenco, asciutta, precisa che si permette lunghi periodi sospesi, che pure sono chiarissimi: leggete anche soltanto la prima pagina, venticinque righe senza un punto fermo, soltanto virgole, un breve inciso, eppure la scena è lì, evidente e netta. E, allo stesso modo, lasciatevi portare fuori strada da frammenti di altre storie, ragionamenti, immagini che sembrano buttati sulla pagina per caso: non lo sono e, se vi sembrerà che spezzino il ritmo della storia che state seguendo, che la rallentino, non è così; vi stanno dando altri elementi per ragionarci sopra, per capire, per essere pronti quando finalmente, accelerando il ritmo narrativo, accorciando i passaggi tra una storia e l’altra, si arriva alla soluzione finale, per nulla piacevole, per nulla consolatoria, ma beffarda e amara come le parole di Càrrua nel salutare Duca.

Giorgio Scerbanenco
Traditori di tutti
Garzanti, 1999
pgg 232, euro 8,50 in questa edizione


Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog

Magazines