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Ti scrivo. Ti piacevano questi racconti.
Primo.
Due occhi che mi guardano. Due pesci stesi su un fianco. Vicini come due amanti. O come due nemici finiti a terra all'ultimo sangue andato a segno. Due occhi sinistri, nel senso del contrario di destri. Due pesci sotto vuoto. E sotto braccio a un signore vecchio e fermo al posto di blocco della cassa al supermercato. Li tiene come altri tengono, sotto braccio, Le Monde Diplomatique o l'Herald Tribune. Consapevole. Di che cosa stringe. Del senso che gli danno, queste strette. Un libro prezioso portato via dalla biblioteca soltanto perché ti conoscono. Due branzini finiti alla Coop chissà come e, per vie traverse, in fuga di nuovo, appesi a un'apnea infinita che, nel prolungarsi, produce le prime allucinazioni. La mia, ad esempio. Guardatemi: ho una chiave appesa al collo, una penna nel taschino, fogli di carta nelle tasche e sigarette, accendini che basterebbero a bruciare la città. E un sesto senso nella testa che vi aggancia al radar e poi al mio sguardo. A me gli occhi: vuoti, i vostri, criiisto tenete duro, la cassa ancora, l'inflessibile cassiera, e poi fuori, forse, fuori troverete il guizzo che vi salva, con l'acqua che piove hai voglia se vi salva. No. C'è il suo sguardo, quello di chi vi tiene, che come un bianco d'uovo ingigantito cala stracotto su di me. No: state con lui. Stanchi, si può essere. Ma quanto.
Secondo.
Una signora di centottantanni. Dentro una cabina telefonica. Curva, cerca monete nel deposito della sua vita recente e passata. Un portafogli. Le sue mani. Fuori piove. I suoi capelli che lo dicono. Cerca. Piano. Cervello, concentrati. Vapore, sui vetri della cabina. Tempo trascorso, chissà quanto. Mi chiedo – un secondo, di tempo, un secondo – chi vorrà chiamare. E per dire che cosa. Forse cerca soltanto un riparo. E il cellulare. Ma per dire che cosa?
Terzo.
Notizie. Televisione. Sera. Lasciamo perdere. Non è la vita. Non quella vera. Avrebbero dovuto dare la notizia dei pesci che mi guardavano al supermercato. Stanchi. E raccontare che c'era una donna di centannipassati dentro una cabina telefonica con il vapore sui vetri.
Quarto.
Avrà 37 anni, lei. Lui, lascia stare. Lei fuma. Lui: fuma di più. Lei: bastardi tutti quelli che ho consociuto. Lui: capisco. Lei: bastardi. Lui: ne è pieno il mondo. Lei: mai più. Il cameriere porta i caffè. Lui: fuma. Lei: fuma. Lei: cerco una storia diversa, vera, che abbia un futuro. Lui: un futuro. Lei: capirsi, esserci, l'uno per l'altra. Lui: complicità. Lei: sììììì, complicità, ecco... Lui: andiamo? Lei: dove? Lui: da me.... Lei: (qui iiiio non ho capito bene, perché è passato un moccioso col motorino a tubo aperto, ma sembrava, ci giurerei un) fottiti.
Quinto.
Paura. Ce la stanno mettendo tutti. Stampa inclusa. E, tanto per essere precisi, stampa per prima. Ci consegnano al film spazzatura di prima serata con una paura addosso che quello che vedremo ci mette il rimpianto per non vivere in un mondo uguale: dove qualcuno fa a pezzi qualcun altro, ma il cattivo lo trovano sempre e buonanotte. Buonanotte? Ci mandano a letto con l'ansia. Dormire? Un'impresa. Sotto il letto stanno, i cattivi. Ovunque. Siamo circondati. Stringere, stringere: le fila. Tirare, tirare: le redini. Sono fra noi, i cattivi, garantito: garantito da chi? Mattino seguente: c'è chi si sveglia e c'è chi non si è mai addormentato. Prime pagine: paura. Ci consegnano al resto (a ciò che segue: spettacolo, sport) con il sudore sulla fronte e sulla schiena e ovunque. E ci stanno mettendo, vedi come va il mondo, tutti in fila. A manina. Silenzio in prima fila, silenzio in seconda, silenzio nel loggione e in paradiso. Silenzio. Guardare, ascoltare. Leggere. Sempre più vicini, stretti insieme. Così ci vogliono, informazione inclusa, a battere i denti come bambini, pronti a fare e a accettare tutto.
Sesto.
Rivoglio i miei due branzini. Il loro sguardo, alla cassa della Coop. Quel vuoto di vita ormai assente che al confronto – al confronto – è un pozzo di vita. E diciamo pure, visto che si sta facendo tardi, di libertà.
Qui, questi racconti, ti piacevano. Ridevamo. Chissà lì?