Obama non ha lanciato bombe cieche e spericolate tanto per distruggere qualche deposito dell’esercito siriano; ma ha anzi usato la “minaccia della guerra” come mezzo per rimettere Damasco al centro dell’agenda geopolitica, tessendo la tela del consenso interno (nel congresso Usa) ed esterno (tra gli alleati occidentali).
Sono meno d'accordo, invece, quando precedentemente afferma:
Oggi Obama è diventato di nuovo il simbolo dell’America che cerca di attaccare un Paese per difendersi i propri interessi. Un’idea che pesca dal solito armamentario antiamericano, ma che soprattutto trascura un elemento fondamentale: la guerra civile in Siria è iniziata nel marzo 2011, due anni e mezzo fa, sull’onda della Primavera araba, e se gli States avessero voluto un pretesto colonizzatore lo avrebbero avuto già da parecchio tempo.
Io credo che Obama si sia molto incartato in questa faccenda. Che abbia scongiurato l'azione militare in Siria, a lungo, per le stesse ragioni per cui l'Europa ha fatto altrettanto: evitare patate bollenti che di questi tempi peserebbero come non mai. Se a un certo punto l'ha minacciata, la guerra, è perché la situazione è sfuggita di mano. E se sfugge di mano, l'America non può esimersi dall'intervenire. Obama si è incartato perché avrebbe voluto mettere ai voti un conflitto di cui in verità avrebbe fatto volentieri a meno e perché ha lasciato che la paternità del piano B – quello del controllo internazionale sulle armi chimiche di Assad – se la prendesse Putin nonostante il primo a fare la proposta sia stato Kerry, da Londra. Sono vere altre due cose, però. La prima. La questione siriana (come altre in passato) insegna che le soluzioni politiche in determinate circostanze semplicemente non esistono (quanto potrebbe accadere in questi giorni eviterà un conflitto armato, ma non interromperà la guerra civile nel Paese tra forze lealiste e ribelli) e che le sanzioni (economiche o di altra natura) interessano poco ai leader autoritari, presi come sono a difendere lo status quo.
La seconda. Obama è stato davvero, come sostiene Stefano, l'unico ad avere rimesso la Siria al centro dell'agenda internazionale. Il che vuol dire che dall'America – seppure in declino – dipendiamo come al solito.