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Due fattori per capire la diversità dei quasar

Creato il 10 settembre 2014 da Media Inaf

quasar

I misteriosi quasar, gli enigmatici e potentissimi oggetti che si trovano al centro di molte grandi galassie, diventano più semplici da studiare. Sembrano oggetti complicatissimi, ma per comprenderne alcune diversità potrebbe essere sufficiente considerare soltanto due proprietà: a dimostrarlo è una ricerca coordinata dal Carnegie Institution e l’Università di Pechino, pubblicata su Nature di questa settimana e realizzata analizzando oltre 20.000 quasar, nell’ambito della Sloan Digital Sky Survey (SDSS) .

«Chiamiamo quasar – spiega Giovanni Zamorani, direttore dell’Osservatorio Astronomico di Bologna dell’Istituto Nazionale di Astrofisica – i buchi neri supermassicci che si trovano al centro delle galassie quando da una fase dormiente si accendono. Si dibatte molto sul cercare di capire quali sono i fenomeni che innescano la loro accensione e su quali siano le principali proprietà fisiche che determinano le caratteristiche dei quasar».

Il problema nasce dal fatto che di quasar ne esistono di una varietà talmente ampia da porre il problema di come studiarli. Per fare ordine ai moltissimi studi realizzati in questi anni nel settore, i ricercatori hanno messo insieme una gran mole di dati relativa a circa 20.000 quasar.

«I due autori, Shen e Ho, – spiega ancora Zamorani – mostrano in modo convincente che due parametri fondamentali, in grado di spiegare una gran parte delle differenze osservate nella complessa fenomenologia dei quasar a righe larghe, sono l’efficienza di accrescimento (i.e. Eddington ratio) e l’orientamento fra la linea di vista e la regione centrale, attorno al buco nero super-massiccio, dove vengono emesse le righe di emissione larghe».

Due caratteristiche che potrebbero aiutare i cosmologi a capire meglio il funzionamento del cuore pulsante di ogni galassia: «il fatto che l’orientamento sia importante – ha precisato Zamorani – significa che la regione interessata potrebbe non essere sferica come spesso teoricamente ipotizzata. Più probabilmente si tratta di un disco o un ellissoide, ha conseguenze sui modelli teorici. Una migliore stima – conclude il direttore dell’Osservatorio di Bologna dell’INAF – delle masse dei buchi neri, che si potrà ottenere sulla base dei risultati presentati in questo lavoro, avrà senza dubbio un impatto notevole nella nostra comprensione dei meccanismi di crescita dei buchi neri super-massicci al centro delle galassie e il collegamento e le interazioni fra i buchi neri e le galassie all’interno delle quali questi buchi neri si sviluppano».

Leggi l’articolo su Nature

Fonte: Media INAF | Scritto da Leonardo De Cosmo


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