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Due giorni a Venezia: un giro "alternativo"_3°parte

Da Sunwand

Dopo l' Oratorio dei Crociferi, non poco stanchi e affamati oltre ad essere stufi di non sentire quasi un accidente di quello che il prof e direttore lavori si dicevano tra loro, ci siamo avvicinati alla terza tappa ufficiale del giorno pranzando a Campo Santa Maria Formosa.
Prima di andare a Palazzo Grimani ci siamo, però, fermati alla vicina Querini Stampalia, l'ultimo posto che il giorno prima avremmo dovuto visitare. La visita alla Stampalia ha avuto il potere di far sparire stanchezza e qualsiasi altra cosa! È stato uno dei posti che più ha meritato della nostra visita! Dirò qualcosa di banale ma Scarpa è davvero stato un fuoriclasse, un vero maestro!
Palazzo Querini Stampalia


"Ai primi anni del Cinquecento è databile la costruzione di questo palazzo di Santa Maria Formosa dato che nel 1514 risultano gli acquisti di alcuni fabbricati minori nella zona. Non è noto il progettista del palazzo, di impostazione molto tradizionale, che aveva la funzione di essere dimora di un’importante e ricca famiglia mercantile, poco incline all’autocelebrazione. Solo due polifore con balconi al primo e secondo piano nobile animano la facciata. Mano a mano che l’importanza della famiglia crebbe, vennero apportati miglioramenti e abbellimenti, senza un progetto unitario, ma procedendo per gradi, attraverso interventi parziali. Non mancano, comunque, opere importanti quali i dipinti di autori del calibro di Bonifacio De Pitati e di Jacopo Palma il Vecchio. Nel 1869 il Palazzo di Santa Maria Formosa divenne la sede della Fondazione Querini Stampalia; al primo piano venne allestita la biblioteca e al piano nobile vennero raccolti i dipinti, gli arredi, le porcellane, le sculture e gli oggetti d'arte che permisero di riallestire ed aprire al pubblico la dimora storica della nobile famiglia veneziana.
L’edificio e stato fatto oggetto di ristrutturazione realizzata dall’architetto veneziano Carlo Scarpa, che ha interessato soprattutto il piano terreno e il retrostante piccolo giardino.
Il risultato è veramente affascinante, soprattutto grazie a quel magnifico e leggero ponticello che supera il rio di Santa Maria Formosa e unisce il palazzo all’antistante campiello, trasformando una finestra in un accesso, e alla rilettura del giardinetto fatta di giochi d`acqua, di trasparenze, di verde commisti all‘antico rappresentato da una vera da pozzo e da un leone gotico.
Tra il 1993 e il 1994 l'intervento di Mario Botta definisce un rinnovamento profondo della sede della Fondazione e prende il via dall'acquisizione di alcuni immobili a confine. Tale ampliamento comporta la riorganizzazione dell'intero complesso: si tratta di rispondere alle esigenze funzionali della sede, muovendosi nella costrizione di locali frutto di una sedimentazione di secoli. L'architetto ticinese interviene con rigore filologico, ricomponendo frammenti tra loro disomogenei in modo da conseguire una continuità spaziale e un'organizzazione delle diverse funzioni chiara e contraddistinta da un'immediata riconoscibilità. Egli opera sulla nuova ala in continuità con il restauro di Carlo Scarpa. Cercati ed espliciti sono i rimandi, nell'essenzialità delle linee, nell'accostamento o nella contrapposizione di materiali e di colori: pietra e metallo, bianco e nero, grigio e rosso."
Usciti ci siamo diretti a Palazzo Grimani.
"Probabilmente il viaggiatore distratto che si trovi a passare lungo Ruga Giuffa a stento si accorgerà della presenza di questo edificio del quale si nota, in fondo ad una calletta laterale, soltanto il bel portale, da molti attribuito all’architetto-ingegnere Michele Sanmicheli; per il resto nulla, nemmeno la relativamente spoglia
facciata che insiste sul rio di San Severo, fa presagire, invece, la grande ricchezza architettonica e decorativa degli interni, che furono disegnati dallo stesso proprietario, ovvero il patriarca di Aquileia Giovanni Grimani. Il palazzo fu considerato un capolavoro, per la ricchezza di quanto vi era contenuto; raggiunse l’aspetto
attuale solo dopo molte aggiunte e rimaneggiamenti. In effetti, il palazzo, che non si manifesta certo come l’esito di un progetto unitario e organico, nasce da un nucleo originario medievale, successivamente ristrutturato in epoca gotica e poi modificato e ampliato nel Cinquecento. I lavori condotti tra il 1537 ed il 1540 videro l’introduzione di soluzioni architettoniche derivate dall’architettura antica, e la decorazione di alcuni ambienti del primo piano nobile. Nel 1568 si chiuse il cortile sui quattro lati, a imitazione del peristilio romano, con l’erezione delle nuove ali. Per dare accesso al prestigioso primo piano, si fece decorare l’imponente scala monumentale, concepita ricca e sontuosa quanto gli scaloni dei palazzi pubblici dell’area marciana, e, nella parte di nuova edificazione, collocò la scala ovata, di impronta palladiana, la cappella privata e la straordinaria stanza a lacunari con lanterna, posta a sacro reliquiario delle antiche vestigia. Il palazzo fu teatro per tutto il Seicento di un’intensa vita culturale e conobbe ancora, durante il secolo XVIII, una stagione di fastose opere di abbellimento. Ma presto ebbe inizio la decadenza. Nel 1969 passò alla società Olivetti che lo lasciò cadere nel più completo abbandono, fin tanto che decise di venderlo. Nel 1981 lo Stato acquistò il palazzo per destinarlo a sede del museo archeologico. Le sue sale apparivano allora fatiscenti, le strutture compromesse, le decorazioni in pessime condizioni conservative per le continue infiltrazioni d’acqua dal tetto e dalle finestre. Nel 1984 la Soprintendenza avviò le prime opere del intervento di restauro. Dapprima furono rimosse le situazioni di pericolo; venne, quindi, condotta una campagna di studi, indagini e rilievi che consentì di mettere a fuoco le problematiche emergenti e di tracciare le linee generali del progetto per la conservazione dell’edificio. Fin dalle prime operazioni, il tema dominante, che avrebbe poi accompagnato tutte le fasi successive dei lavori, fu quello della massima conservazione possibile della materia storica costitutiva del palazzo, nel rispetto di tutte le sue stratificazioni significative. Agli interventi sull’ossatura portante fecero seguito quelli sui preziosi elementi di finitura. Contestualmente venne avviato il lunghissimo lavoro di recupero degli straordinari apparati decorativi: affreschi, stucchi e rivestimenti lapidei. Parallelamente agli interventi conservativi, ha preso forma e consistenza il progetto museale. La questione della dotazione impiantistica venne affrontata cercando di preservare ogni aspetto materiale e formale della fabbrica; studiando percorsi per le canalizzazioni che interferissero in minima misura con l’architettura e con il prezioso ciclo decorativo. Gli ultimi impegnativi lavori hanno riguardato, oltre al completamento degli impianti e degli interventi conservativi generali, il consolidamento statico dello scalone monumentale e la difesa dalle acque alte. Nel dicembre 2001 il Ministero per i Beni e le Attività Culturali ha istituito il Museo di palazzo Grimani e lo ha destinato alla Soprintendenza per il Polo Museale Veneziano."
Dopo esserci subite un "pistolotto" su chi avesse fatto cosa, sulla storia della famiglia, su chi era fratello di Tizio, di Caio e di Sempronio, dopo aver passato mezz'ora in piedi ad ascoltare e un'altra mezz'ora sedute a terra ancora ad ascoltare, io e altre due amiche, in maniera trafelata, siamo uscite dal palazzo, mentre ancora parlavano di aria fritta e, avendo adocchiato il cartellone con la nostra di Dalì, ce la siamo svignata da quella noia mortale dirette vicino a Piazza San Marco.
Abbiamo sicuramente perso un' occasione d'oro ma ci avrebbero dovuto far vedere subito il palazzo piuttosto che sputare parole al vento per tutto quel tempo!
Inizialmente non trovavamo la mostra: alcuni veneziani o non sapevano che ci fosse o credevano fosse finita.
Abbiamo percorso in lungo e in largo Piazza San Marco chiedendo in giro. Finalmente qualcuno ci ha dato le informazioni necessarie e, dietro San Marco, lungo una fondamenta, attraversando Ponte della Canonica,  abbiamo scovato la bramata mostra su Dalì al museo di S.Apollonia.
Quattro anni fa sono stata al Teatre-Museu Dalì, a Figueres distante poco più di un centinaio di km da Barcellona.
Il teatro stesso è opera del surrealista artista catalano.
Dalì è da scoprire, da capire, da conoscere. Non posso che consigliarlo a tutti!
Sunwand

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