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Dying Light – Parkour e promesse

Da Videogiochi @ZGiochi
di Lorenzo "quadrazza" Quadrini

Dying Light è l’atteso survival horror targato Techland, autori tra l’altro del primo Dead Island. Il gioco, lo diciamo subito, presenta indubbiamente delle caratteristiche interessanti, pur non riuscendo a mantenere le promesse fatte in sede di commercializzazione e sponsorizzazione del prodotto. Da sottolineare in prima battuta come Techland anche questa volta abbia mantenuto le tradizioni inaugurate con Dead Island: qualche bug di troppo e problemini tecnici sparsi a partire dal day one. Una buona notizia è che, in maniera più celere del solito, sia già uscita una patch grazie alla quale ci sono stati notevoli miglioramenti.

dl

horror sì, survival proprio no

Il titolo presenta una trama decisamente accattivante, che però mal si sposa con una caratterizzazione dei personaggi poco penetrante e di scarso valore narrativo. Il protagonista, il molleggiato Crane, viene mandato nella città di Harran dove un virus (che rende i malati degli zombie irreversibili) sta mietendo vittime. Attorno alla città è stato eretto un muro di contenimento, mentre purtroppo i sopravvissuti devono farcela con quello che riescono a saccheggiare e con gli aiuti paracadutati casualmente dal GRE. Quest’ultima è l’associazione che sta tentando di risolvere la crisi internazionale in atto, ma che nel frattempo è interessata anche all’antagonista di turno: Rais. Questi è un losco politico, divenuto un ancora più losco capobanda nel bel mezzo del marasma che è Harran, il quale minaccia di diffondere dati inesatti su una cura parziale del virus. Cura che nello stato attuale risulterebbe essere letale. Crane deve fermare Rais, e per farlo dovrà infiltrarsi nel gruppo di sopravvissuti rivale, i runners. Ovviamente questi appassionati di parkour saranno votati ad un approccio molto più umano, cercando di salvare più persone possibili. Non neghiamo che la trama si infittisca, né che si inseriscano nell’intreccio eventi meno scontati di quanto sembri. Pur se non banalissima la storia perde tantissimo in potenza e spessore a causa della caratterizzazione di alcuni elementi, alcuni solo accennati, altri approfonditi nella maniera sbagliata. Primo fra tutti il protagonista Crane, che presenta come maggior difetto un coacervo improbabile di atteggiamenti e stati d’animo, risultando non sfaccettato ma confuso e privo di una vera personalità.

Il gameplay del gioco risulta anch’esso un Giano Bifronte, regalando ai giocatori delle feature interessanti, accoppiate a delle promesse mai mantenute. La dicitura survival difatti non può sposarsi con il prodotto, che di sopravvivenza non ha assolutamente nulla. Ovviamente per survival intendiamo un titolo che costringa il giocatore a dover mangiare, dormire, bere e curarsi in aggiunta alle ulteriori sfide dovute a mob ostili, nonché a necessità di trama e missioni. In poche parole una simulazione di quella che possa essere la sopravvivenza all’interno di situazioni estreme quali un’apocalisse zombie. Dying Light non ha nulla di tutto questo. Non si dovrà mangiare, non si dovrà bere, dormire servirà solo a scampare la notte, ma non farlo non avrà altri effetti negativi, curarsi significherà far salire la solita barra della salute, senza nessun tipo di dettaglio sulle ferite riportate e sulle differenze di malus che ognuna dovrebbe portare con sé. In poche parole l’esperienza è ridotta al minimo sindacale, traducendosi solo in un vasto action, dotato di dinamiche open world e crafting, ma non oltre. Un peccato, viste le modalità con il quale il gioco era stato presentato nei mesi antecedenti all’uscita. Allo stesso tempo però il gioco offre anche una grande mappa open world, piena di elementi di crafting e di semplice looting. Ogni singolo drop risulterà utile, o come elemento per il crafting o come prezioso da poter vendere. I mercanti abbondano ad Harran e sarà molto importante avere un po’ di soldi per poter acquistare i progetti delle armi e dei miglioramenti. Oltre alle missioni principali, la mappa si riempirà con il tempo di missioni secondarie, eventi casuali ed incontri con personaggi non ostili. Purtroppo risulterà tutto molto meno dinamico di quanto visto nei video gameplay presentati da Techland e le famose “scelte” che ci capiteranno lungo il percorso, oltre a non influenzare il mondo di gioco (essendo le due fazioni in campo molto statiche, al contrario di giochi quali Stalker: Shadow of Chernobyl), non comporteranno che un semplice ritardo nell’espletamento delle varie missioni, riducendosi il tutto ad un calderone eterogeneo, ma per nulla dinamico. Comunque la mole di cose da fare rimane un grande osso da spolpare, e da giocare, con molto gusto, lasciando i giocatori abbastanza soddisfatti.

passi avanti per techland

Tecnicamente il comparto gameplay offre ai videogiocatori un buon numero di possibilità e di situazioni di gioco. Innanzitutto sarà presente un nutrito albero delle abilità, che ci permetterà di scegliere tra diversi approcci agli eventi proposti dal titolo. I tre rami della sopravvivenza, della forza e dell’agilità potranno essere espansi ed ampliati grazie ai punti esperienza raccolti con ogni tipo di azione, spendibili solo in determinate categorie. Saltare ed arrampicarsi aumenterà perciò l’agilità, picchiare i non morti la forza. La sopravvivenza influisce invece sul loot e la capacità di creazione di armi ed equipaggiamento. Le abilità che possono essere imparate da Crane non sono affatto banali e rendono questo aspetto del prodotto uno dei meglio riusciti. Altro grande punto di forza è indubbiamente il parkour, riprodotto in maniera piuttosto fedele, anche grazie alle numerose barriere architettoniche di cui Harran è piena, le quali ci faranno da scudo e da percorso lungo tutta la storia. E se i movimenti a disposizione, come correre, saltare, arrampicarsi, passare da un appiglio ad un altro, sono ben studiati e dinamici, non si può dire la stessa cosa della mappatura dei tasti. La pressione dello stick sinistro per correre ed RB (se ci si riferisce al pad Xbox) sono una combo deleteria per le nostre mani e per la comodità di esecuzione in generale, portando a fin troppi missclick. Il risultato, complice anche una certa legnosità in alcune sezioni particolarmente concitate, sarà quindi leggermente al di sotto delle aspettative; il fiore all’occhiello del gameplay è solido, ma non raggiunge i lirismi tecnici ed adrenalinici di Mirror’s Edge (confronto che in quanto a parkour è quasi d’obbligo). Ultimo elemento questo famigerato ciclo notturno che divide Dying Light principalmente in due tipologie: il giorno, certo non sicuro o privo di minacce, che sarà teatro delle nostre scorrerie più sbarazzine e leggere; e la notte, dove la tattica si sposterà sullo stealth. Le varie tipologie di zombie vedono da un lato i numerosissimi diurni, dei quali solo alcuni capaci di correre ed arrampicarsi (sebbene non siano solo queste le razze che incontreremo) e dall’altra i notturni, mostri giganteschi con sensi e capacità nettamente superiori. La notte corrisponde alla fase più delicata, ma ad aiutarci ci sarà la minimappa, con tanto di cono visivo ed ammenicoli colorati per farci uscire indenni dalle burrascose serate ad Harran. Ad abbassare la difficoltà di gioco (ed anche il già criticato spirito di sopravvivenza, fin troppo stiracchiato) ci pensa l’assenza di un malus effettivamente debilitante, se non la perdita di un po’ di PE, al corrispondere della morte del protagonista.

Il gioco dal punto di vista visivo risulta indubbiamente un passo avanti rispetto ai precedenti lavori di Techland, non tanto per l’impatto visivo in sé, che è sempre stato piuttosto buono e di grande realismo, quanto per il numero di bug e problemi, indubbiamente minori rispetto al famigerato Dead Island. Freniamo subito gli entusiasmi: di bug ne sono stati segnalati molti, soprattutto al day one, ma il team è intenzionato a offrire una buona giocabilità, e sta rapidamente rilasciando patch e correzioni, come già detto in apertura di articolo. Meno gentile il giudizio sulla qualità dei server e delle connessioni durante il gioco online, forse a causa della grande mole della mappa e degli elementi in gioco, ma purtroppo condividere con i propri amici (la coop è aperta ad un massimo di quattro giocatori insieme) l’esperienza apocalittica di Dying Light non sarà per niente facile. Sbalzi continui, lag infernale, crash frequenti possono capitare in qualsiasi momento. Il gioco in quanto tale comunque mantiene un ottimo mood, risultando ben costruito ed ambientato in maniera forse non originalissima, ma quantomeno fotorealistica. Interessanti ovviamente luci ed ombre, vista la particolare importanza data al ciclo giorno-notte ed alla luce solare. Anche il dettaglio delle armi ed i riflessi in generale lasceranno un sapore gradevole nella bocca del consumatore. Molto appaganti anche le musiche di gioco: tese, ben strutturate, liriche quando serve, più dinamiche ed aggressive nei momenti concitati ed in generale davvero ben fatte. Purtroppo non possiamo dire la stessa cosa del doppiaggio italiano: voci che si ripetono, alcune anche davvero poco adatte al personaggio, acuendo la scarsa introspezione fatta nei confronti soprattutto di NPC secondari o comprimari.

Dying Light – Parkour e promesse


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