Dylan Dog Spazio Profondo – Recensione

Creato il 27 ottobre 2014 da Rostislav @videogiochiword

Dylan Dog non è solo un personaggio fittizio dei fumetti, ma è qualcosa di più. Dylan nel tempo è entrato a far parte della cultura italiana. Un po’ come Diabolik, Zagor e compagnia bella. Parliamo di quei personaggi che riusciamo a distinguere anche senza aver letto un solo numero del fumetto. Personaggi dotati di una grande potenza e capaci di trasmetterci le più variegate emozioni. Purtroppo, però, da tempo Dylan era avvolto da una nube di infelici edizioni. Le ultime avventure, prima di questa rinascita, non riuscivano più a trasmettere il pathos e l’intrigo che caratterizzava i primi numeri. La discesa ha reso il personaggio diverso, quasi fosse un amico che vediamo dopo molto tempo e che non riusciamo più a riconoscere. Con il numero 337 il tutto doveva risolversi e Dylan doveva rinascere, come una fenice. Scritto da Roberto Recchioni e disegnato da Nicola Mari, Spazio Profondo è un modo non solo per rimettersi in riga, ma anche di creare una nuova utenza, potenziando quella vecchia.

La storia del numero 337, Spazio Profondo, inizia in un modo particolare. In un lontanissimo futuro l’umanità ha espanso i propri confini in nel grande e infinito spazio, ma ovviamente come in ogni storia di fantascienza, il pericolo è in agguato. Alcune navi iniziano a infestarsi di spettri, che uccidono l’equipaggio senza lasciare vita alcuna. Senza Dylan Dog in vita gli scienziati hanno dovuto ricreare l’indagatore utilizzando il suo DNA e impiantandogli dei falsi ricordi. La storia del suddetto volume si incentra sul recupero di una nave britannica assalita da questi spettri. Cinque copie di Dylan (con una copia fedele all’originale) si addentrano in questa nave, scoprendo qualcosa di terribile.

Partiamo dal presupposto che una storia cosi lontana dal classicismo di Dylan Dog è già deleteria, soprattutto visto che dovrebbe essere un nuovo inizio. Forse si tratta di un coraggioso passo in avanti, ma è stato messo con troppa foga e fare ciò in un terreno sconosciuto spesso equivale a morire. In secondo punto possiamo dire che molti dei personaggi, se non tutti, che vengono tirati fuori dal “cilindro” sono dei cliché che riconoscerà ogni amante di fantascienza (e non). Purtroppo non sono cose che fanno molto piacere e anche se la lettura prosegue senza problemi o interruzioni, ci saremo aspettati di vedere qualcosa di più.

Oltre alla sceneggiatura di Roberto Recchioni, come abbiamo detto prima, ci siamo trovati di fronte ai disegni di Nicola Mari e i colori di Lorenzo de Felici. Quest’ultimo ha utilizzato i classici colori che simboleggiano la fantascienza, ossia, il verde e il blu. Queste due tonalità sono difatti le predominanti durante il corso dell’avventura, ma anche questa è una cosa che ci siamo abituati a vedere ormai da molto tempo. Le tavole sono pulite, ma a volte le azioni vengono minimizzate e il tutto scorre via un po’ troppo in fretta.


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