Caro lettore, avendo impiegato quattro pagine di word per trattare in larghe linee la storia di questa storica band, ho pensato bene di suddividere l’articolo in più puntate. Spero che tu sia d’accordo e mi voglia bene per questo. Buona lettura
E altri oggetti simpatici, tipo vibratori…
La prima volta in cui ascoltai qualcosa degli Steely Dan, fu grazie ad un tizio che poi da lì a qualche mese divorziò da una moglie un po’ troppo esasperante ed isterica. Non che i divorzi siano simpatici, ma quel tizio lo era. Avevo già un grosso background costituito dal blues alla B.B. King dei miei esordi chitarristici, conoscevo già Hendrix a memoria, e i Led Zeppelin cominciavano persino ad annoiarmi per quante volte li avevo ascoltati. Avevo anche già oltrepassato il periodo Iron Maiden e cominciavo persino ad apprezzare Technical Ecstasy dei Black Sabbath. In poche parole, ne conoscevo di roba. Eppure quando quel tizio – molto più grande di me ovviamente (io avevo ancora il c.d. pelo canino sotto il naso) – mi passò la cassetta originale Alive in America ed un album solista del cantante (sempre in cassetta), capii che non avevo capito un…tubo, almeno per quanto riguardava il rock. Come diavolo facevano a mancarmi gli Steely Dan?
A distanza di qualche giorno mi vidi costretto ad acquistare entrambi i titoli su indicati, originali, in cd! No, non volevo aiutare il mondo dei discografici già in crisi. È che quella roba era fenomenale. Così adesso che ho deciso di scrivere qualcosa di questa band, ho paura che finirò per compilare qualcosa dalla lunghezza estrema, pesante quanto un pianeta sulla prima vertebra cervicale della colonna vertebrale del malcapitato lettore.
Donald Fagen era un ragazzotto bruttino e scontroso, suonava il piano in stile monkiano (link). Non tanto perché Thelonius fosse il suo preferito, quanto perché pur amando il jazz classico, non è che fosse dotato di grande tecnica. Così Monk era ottimo per nascondere le manchevolezze. Il tizio, nel ’67 incontra Walter Becker, ragazzo schivo e triste. Quest’ultimo suona la chitarra, il basso e persino il sassofono. Però non è neanche lui granché tecnicamente. I due decidono che prima di poter cominciare a pensare a qualcosa che possa avvicinarsi alla fondazione di una band, forse è meglio laurearsi. E in effetti le prospettive non consiglierebbero altro.
Così bisogna aspettare il ’69, prima che comincino a suonare insieme in varie band occasionali, non riscuotendo alcun tipo di successo. Voi vi chiederete perché vi sto parlando di due che con la laurea non riescono a trovar lavoro e così si danno alla musica… In effetti la cosa potrebbe anche essere attuale, non credete? Ma il motivo sta nel fatto che, anche grazie ad un produttore dotato di grandi capacità intuitive, finalmente allo scoccare dei ’70, i due Fagen e Becker, decidono di metter su una loro band: gli Steely Dan!
Che significa? Beh il termine sta ad indicare un simpatico oggettino che appare nel contesto assurdamente geniale di “Naked Lunch” di William Burroughs: un vibratore alimentato a vapore. Fagen è molto colto (oltre che stronzo, cattivo e seriamente ironico) e non lo nasconderà mai nel corso della carriera. Comunque gli autori della beat generation saranno sempre fonte d’ispirazione nei suoi testi. L’unico problema è la voce di Fagen. Non ha proprio una gran voce! Per il produttore fa così cagare anche il suo modo di suonare che si pensa di reclutare un gran cantante con la voce alla Phil Collins che lo sostituisca di tanto in tanto anche alle tastiere. E mi conceda il lettore di tacere sul nome di questo tristo figuro.
Dunque nel ’72 esce Can’t Buy a Thrill (cover album con disegni prostituteschi), il titolo è la citazione da una canzone di Bob Dylan (link). L’album è grandioso, un misto di rock, jazz, pop elegante, prog, e contiene delle hits che resteranno nei secoli dei secoli amen: Dirty Work (link), Midnite Cruiser, Fire in The Hole (link), la stupenda Reelin in The Years (link). Quest’ultimo, un pezzo di cui si potrebbe discutere per tomi e tomi. Si pensi che Jimmy Page disse dell’assolo di questo brano, che era il suo preferito di tutti i tempi (esagerato!!!). E in un certo qual modo il pezzo ricorda le due chitarre (ma anche la cantata non scherza) dei Thin Lizzy (le due band si influenzeranno a vicenda, in qualche modo, seppur marginalmente). Il pezzone dell’album è comunque la grandiosa Do It Again (link), con un assolo di sitar che è ormai un classico. Il pezzo è cantato da Fagen (anche Reelin’ in The Years e Fire in the Hole). Chiunque ascolta l’album si rende conto immediatamente che seppure Donald sia totalmente un disastro come cantante, è comunque dotato di quel carisma tale che potrebbe persino stonare come una gallina che cova per sbaglio un palo appuntito e farebbe lo stesso piacere alle orecchie, come alla mente.
to be continued…
Babar Da Celestropoli