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Nessuno poteva immaginarlo e invece succede che a risollevare le sorti stagionali del più bisfrattato dei generi ci pensino due piccoli film, prodotti e realizzati nelle periferie del cinema che conta. Stiamo parlando di “Sarà il mio tipo?” del belga Luca Belvaux, ancora presente nelle sale italiane, e adesso di “E’ arrivata mia figlia” della brasiliana Anna Muylaert, presentato con successo al Sundance 2015 e poi al Festival di Berlino, dove ha vinto il premio del pubblico. E non poteva essere altrimenti, talmente alto è il tasso d’empatia dei personaggi di una storia che ha il pregio di far sorridere senza perdere di vista i fermenti di un paese in via di trasformazione. Il film racconta di Val, governante efficiente e premurosa di una ricca famiglia borghese che, ad un certo punto, riceve la visita della figlia Jessica, arrivata a San Paolo per sostenere gli esami di ammissione all'università. Separate da lungo tempo e costrette a convivere nella casa dei padroni, madre e figlia non tarderanno a coinvolgere il resto del consesso in un confronto di punti di vista apparentemente inconciliabili.
La Muylaert dimostra di conoscere le regole del genere e di saperle come metterle in pratica. Infatti, portando sullo schermo uno scontro di caratteri, “E’ arrivata mia figlia” si preoccupa di supportare il protagonismo dei personaggi con sceneggiatura cronometrica e capace di conferire ritmo alla storia senza privarla delle dovute sfumature; che, soprattutto nel rapporto tra le due donne e i vari componenti che completano una sorta di famiglia allargata, riesce a ricreare un laboratorio in cui è possibile cogliere una miniatura della società brasiliana, con la decadenza della classe dirigente, rappresentata nella fragilità emotiva e nella mancanza di coesione della famiglia borghese, contrapposta alla freschezza del nuovo che avanza, impersonato dalla sfacciata intelligenza di Jessica, al contrario del genitore, per nulla disposta a rinunciare ai sogni di un futuro diverso e migliore.
A questo la regista aggiunge un attenzione formale davvero inedita per questo tipo di prodotti, riuscendo a costruire delle immagini che da sole restituiscono la dimensione interiore dei personaggi e in particolare di Val, la vera protagonista del film, di cui la Muylaert restituisce la mentalità sottomessa e chiusa, riprendendo spesso la donna incornicità tra le mura di casa o soffocata da vetri e inferiate che sembrano imprigionanarla all'interno degli ambienti. Forma e sostanza dunque per una della sorprese più interessanti di quest'ultimo periodo.
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