Passino le mode gergali e le fraseologie da social-network in voga soprattutto fra i giovani (i quali, comunque, hanno in ogni epoca storica un loro linguaggio caratteristico), ma trasferire o ampliare forme tecniche in contesti diversi da quelli di origine o, peggio, abusare di termini stranieri in contesto d'uso generico in luogo di quelli autoctoni, a lungo andare, produce oscuramenti di significati, travisamenti e confusione.
Mi mette particolarmente a disagio vedere l'applicazione di termini inglesi - tutti di derivazione finanziaria - alla pedagogia, alla didattica e alla scuola: il preside diventa il dirigente-manager, gli studenti lavorano sul problem-solving e guai a dire "lavoro di gruppo", perché è "cooperative learning" la formula di tendenza (e se mi si fanno notare le differenze fra lavoro di gruppo e cooperative learning, rilancio dicendo che comunque l'inglese è perfettamente traducibile senza intaccare la divisione dei concetti), mentre la progettazione collegiale diventa programmazione in team. Anche se gli scenari delle teorie dell'istruzione spingono forse in altra direzione, le scuole non sono aziende. Sostituire i significanti (le parole) vuol dire intaccare a poco a poco i significati: siamo già arrivati al punto che le bocciature e i cattivi voti sono umiliazioni in un sistema che accentua sempre più la competizione, proprio come sul mercato... di questo passo, arriveremo ad una perversa sintesi dei concetti di successo scolastico, ascesa di carriera e valore personale. Tutto in vendita.
Paradossalmente, mentre noi sostituiamo il cognitive-style allo stile cognitivo, Inglesi e Americani preferiscono la forma mentis, mentre calpestiamo l'imparare facendo con lo stivale del learning-by-doing i nostri colleghi d'oltremanica e d'oltreoceano viaggiano con il discere faciendo, dimostrando di apprezzare la pregnanza dei concetti nella lingua in cui sono nati... che è alla base della nostra.
Invece noi diciamo che studiare il latino è inutile e che l'italiano non può reggere il passo nell'era della globalizzazione. Mettere da parte l'italiano è un suicidio culturale, al pari di lasciar crollare Pompei o di coprire il David di Michelangelo con un drappo di seta: nobile tessuto, certo, ma che ci impedisce di apprezzare la grandezza dell'arte che giace sotto di esso.
Claudio Marazzini
Per tutti questi motivi (che si riferiscono non all'uso, ma all'abuso di terminologie straniere spesso decontestualizzate rispetto al valore originario) ho accolto con favore l'iniziativa #dilloinitaliano, la petizione lanciata su Change.org per sensibilizzare al valore dell'uso delle parole italiane e alla perfetta unione, nella nostra lingua, di bellezza e funzionalità. La petizione, indirizzata all'Accademia della Crusca, ha avuto successo, al punto che il 9 marzo il presidente Claudio Marazzini ha inviato una lettera comunicando una serie di iniziative per orientare gli Italiani nella scelta di sinonimi italiani rispetto ai più modaioli inglesi (anche attraverso la creazione di un Osservatorio sui neologismi incipienti) e per invitare il Governo, le Pubbliche amministrazioni e i professionisti dell'informazione ad un più consapevole uso della lingua italiana.
Speriamo davvero che questa mobilitazione comune serva a restituire alla nostra lingua la dignità che merita.
C.M.