Se è vera la teoria quantistica per cui una particella è contemporaneamente massa e onda di energia, allora dev’esserci un altro universo, “ingarbugliato” con quello fisico che da secoli cerchiamo di conoscere, misurare, sfruttare.
Accendiamo i nostri più o meno performanti motori inferenziali e proviamo a immaginare questo sconosciuto universo di energia.
Uno psicologo virtuale, tale Antonio Encara, teorizza l’universo energetico come una sfera composta da entità psichiche orbitanti intorno alla materia vivente. I meno dotati di fantasia possono immaginare le Anime di ciò che è stato vivo, che alla stregua di elettroni, orbitano intorno al nucleo della materia animata: intorno a noi, tanto per fare un esempio.
La rappresentazione del dottor Encara mi è piaciuta perché semplice, fisica, oltre che denominatore comune delle religioni in genere, che ne azzeccano almeno una quando affermano l’esistenza dell’Anima.
Sempre in ordine all’universo psichico dello psicologo virtuale (vive e lavora a Messina), altra caratteristica interessante è il quanto di energia delle Anime, l’ampiezza e la forza del segnale d’onda; e qui entrano in scena i vivi, quello che fanno per ricordare i cari defunti e quelli di valore (?), i grandi della storia da citare in mancanza d’altro.
Pare tuttavia che la sola presenza nei libri di storia non amplifichi il segnale del defunto: è il ricordo reso più o meno potente da sentimenti ed emozioni che ne accresce la forza e l’ampiezza. Finché ci sarà qualcuno che lo ricorda, il caro estinto continuerà ad orbitare intorno alla vita, s’insinuerà nei sogni la notte per interagire con l’inconscio, ispirerà artisti e scienziati con la testimonianza delle opere.
Mi piace pensare i defunti che mi sono cari in orbita intorno a noi, me li fa sentire vicini come quando erano in vita; è un pensiero che mi riporta il loro sguardo, la voce, gli abbracci, la carezza dello scialle di una madre, il profumo dei suoi capelli, l’odore di tabacco di mio padre quando mi prendeva in braccio.
Ognuno ricorda come vuole i propri defunti: con un pensiero, l’immagine di un volto, le fotografie raccolte come Lari nella nicchia o sopra un mobile.
Ricordare i morti, a prescindere da “feste”, ricorrenze, liturgie e analoghe stronzate di marketing, dovrebbe servire a far decadere in nostalgia il dolore di una perdita, oltre che ricordarci che siamo carne con la data di scadenza.
E intanto i morti ci guardano, sorridono forse dell’imbecillità di chi si mette una zucca sulla zucca perché “va di moda”.
Ciao ma’.
Arvales presenta un nuovo intervento: E i morti stanno a guardare