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Tutto questo ci conduce automaticamente al secondo punto della nostra percezione, ossia il divario, lo stacco, il taglio netto che separa la politica da tutto ciò che non lo è. In politica infatti i tempi sono diversi, sono diverse le assunzioni e i pensionamenti; sono diverse persino le facce di chi ne fa parte, sempre uguali a se stesse come delle citazioni, in un 'riciclaggio dei connotati' che non ha uguali in nessun altro campo. Perché è questo il punto in fondo: la politica è affar loro. C’è una loro dimensione - quella cioè delle finte notizie a ogni inizio Tg - che è a sé stante: loro non accettano consigli da noi - anzi si offendono e diventano persino maleducati, della serie: di che t’impicci? - ma in compenso ne hanno tanti da dare - uno dei quali è ‘non pensate, che pensiamo a tutto noi!’. E non solo non ci è dato di dire la nostra, ma ci si nega persino il rendiconto delle loro azioni, con un piglio risentito da sovrani ancien régime. La stanza del potere è una stanza chiusa che viene gestita come un ambiente privato, dove prevale lo spirito personale d’iniziativa e dove in breve si è padroni in casa propria - peccato però che la casa è in affitto. La percezione del cittadino medio sarà quindi passivante e fatalista, come se si trattasse in fondo di un destino contro cui non c’è rimedio - che è poi sempre, un’altra volta, la mentalità del servo.
Ultimo punto, i colori politici. O con il tempo, e a forza di stare al sole, le bandiere si sono sbiadite; oppure semplicemente le bandiere non si usano più e sono state sostituite dai nick - i quali nick, come si sa, sono spesso molto simili tra loro e danno adito a fraintendimenti. La percezione del cittadino è che le idee precedano i fatti, che siano perciò preventive e quindi astratte nel vero senso del termine. Mi spiego meglio. Se dobbiamo litigare - o fare finta, ndr - per principio, solo perché io sto da una parte e tu dall’altra, e se tu dici ‘no’ io dico ‘sì’ e viceversa e così via, se insomma le idee non sono più frutto dei fatti allora vuol dire che le idee sono morte. Sono roba da vetrina, da museo; sono costumi folkloristici e nient’altro. Che poi ci siano le larghe intese è normalissimo: un ebreo, un cristiano e un musulmano possono stare benissimo insieme, purché non parlino di religione.
Un tempo - sto pensando soprattutto ai Greci, ma ci sono esempi molto più vicini a noi - la politica era passione, era lo scopo della vita ed era disonorevole non farne parte. La politica riguardava - quasi - tutti, era il campo della realizzazione umana ed era il segno di un’appartenenza, prima ancora che un’azione collettiva. Per Platone era addirittura lo strumento principale per accedere alla Verità. Ora tutto questo si è perso. Vi è un continuo delegare le nostre responsabilità ad altrui, un continuo scivolare sul piano dell’individualismo più gretto e pugnace, di quello che non lascia spazio ad alcuna dimensione pubblica. Oltretutto questa politica è una politica meschina, spiccia, autoreferenziale e narcisistica. In Italia non si muove mai nulla: sono tutti molto bravi a mischiare le carte, fare il loro compitino di facciata, cancellare in una legislatura ciò che si era fatto nella precedente, senza alcuno spirito progressivo perché ciò che conta realmente è che le cose rimangano tali, e per sempre. Mi fa specie pensare che una costituzione come la nostra possa essere nata da delle larghe intese, eppure così è stato, nel lontano dopoguerra: fu forse quella l’ultima volta in cui davvero si è guardato avanti.
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