Nubi nottilucenti nel parco nazionale di Soomaa, in Estonia. Autore: Martin Koitmäe/Wikipedia
Se in una notte d’estate vi doveste trovare tra il 40 ° e il 60° parallelo, negli Stati Uniti, in Canada o in Nord Europa, e il cielo si dovesse di colpo illuminare, non temete: non è l’apocalisse. E tenete a freno anche gli impulsi complottisti: quelle venature argentee che vedete all’orizzonte non sono scie chimiche. Sono nubi nottilucenti, fenomeni atmosferici noti, oltre che spettacolari. La loro bellezza non è fine a se stessa, però, e nasconde delle informazioni scientifiche importanti sull’atmosfera e i suoi cambiamenti climatici.
Negli ultimi anni questi fenomeni sembrano essere aumentati, come riflesso di un cambiamento delle condizioni della nostra atmosfera. Ma cosa ci dicono di preciso queste nuove apparizioni? Sono la conseguenza del riscaldamento globale o di un fenomeno naturale e completamente scorrelato? Un gruppo internazionale di scienziati ha deciso di monitorarne la frequenza di queste nubi per cercare di capire se la loro comparsa segue davvero un preciso andamento e, in caso, a cosa è dovuto.
Le nubi di questo tipo si formano ad altezze attorno agli 80.000 metri, in orari che si solito si aggirano verso le prime ore della notte (le 4 del mattino o giù di lì), o al crepuscolo inoltrato. “Le nubi nottilucenti si verificano ad altitudini così alte che riescono a riflettere la luce del Sole sulla Terra” anche molto dopo il tramonto, spiega James Russell, scienziato atmosferico e planetario della Hampton University, in Virginia, e primo autore della ricerca. “Diversi studi hanno dimostrato che, affinché queste nuvole si possano formare, sono necessarie tre cose: temperature molto fredde, vapore acqueo e polvere meteorica”, continua Russel. “Grazie alla polvere meteorica il vapore acqueo può rimanere intrappolato in queste regioni, fino a quando le basse temperature provocano la formazione di ghiaccio”.
La ricerca è stata pubblicata online sul Journal of Geophysical Research: Atmospheres il 18 marzo 2014, e ha utilizzato i dati di varie missioni (di cui alcune concluse) e di satelliti in volo negli ultimi anni: nella lista appaiono quelle delle missioni NASA Aeronomy of Ice in the Mesosphere e Thermosphere Ionosphere Mesosphere Energetics and Dynamics, i dati della missione Aura, le osservazioni dello strumento Osiris del satellite svedese Odin e quelle dello strumento SHIMMER della missione STPSat – 1 del Dipartimento della Difesa statunitense.
I ricercatori sono così stati in grado di raccogliere informazioni complete sulla temperatura atmosferica e la presenza di vapore acqueo nell’ultimo decennio circa, immettendo poi questi dati in un modello di simulazione precedentemente sviluppato da Mark Hervig della GATS, piccola azienda aerospaziale dell’Idaho. L’obiettivo era quello di cercare una qualche tendenza nelle variazioni di temperatura e di vapore acqueo, e vedere se i risultati (l’output del modello) combaciavano effettivamente con quelli riguardanti le apparizioni di nubi nottilucenti.
I risultati combaciavano molto bene con i dati delle osservazioni reali delle nubi, e il modello si è rivelato quindi affidabile. Gli scienziati hanno così potuto osservare un effettivo incremento della presenza di nubi nottilucenti nel periodo 2002-2011 (tra quelle effettivamente registrate e quelle sfuggite alle osservazioni ma previste nel modello), studiandone in maniera rigorosa la frequenza.
Una volta verificato che in effetti ci sono sempre più luci di questo tipo in cielo, bisogna ora capirne il perché. Questi cambiamenti sono correlati, spiegano gli scienziati, a una diminuzione della temperatura all’altezza atmosferica dove si formano queste nubi. Quella di Russell e colleghi è quindi una ricerca che smentisce il riscaldamento globale? No, perché le temperature a 80.000 metri non corrispondono a quelle a livelli più bassi, e l’aumento delle nubi nottilucenti, riflesso di un raffreddamento dell’atmosfera a quelle altezze, potrebbe invece proprio essere una conseguenza del cambiamento del sistema climatico globale, che ha come riflesso “locale” il raffreddamento di quella parte di atmosfera.
La situazione non è ancora chiara, tuttavia, e non si può ancora escludere che questo aumento di nubi sia dovuto semplicemente alla diminuzione della temperatura atmosferica causata in questi anni dalla naturale e ciclica attività solare, passata dal massimo del 2002 al minimo del 2009. “Quando il Sole si avvicina al minimo della sua attività, il riscaldamento nell’atmosfera diminuisce, e un certo raffreddamento è aspettato”, ha detto Russell. I ricercatori hanno però ora in mano un modello affidabile e funzionante, e con l’ausilio dei nuovi dati satellitari potranno continuare a monitorare questi fenomeni e spiegarne meglio le cause dirette e indirette.
Fonte: Media INAF | Scritto da Matteo De Giuli