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E' necessario abolire l'art.18 ?

Creato il 28 febbraio 2012 da Pps @ppsposato
Molte delle notizie sull'abolizione o meno dell'art.18 sono commenti da parte di politici, giornalisti e sindacalisti che dimostrano di essere malamente informati sui problemi che realmente questo articolo crea alle aziende. E' certamente poco credibile, da una parte, affermare, che la modifica dell'art.18 é necessaria per aumentare la flessibilità in uscita per due evidenti motivazioni:
  1. i dati pubblicati da Panorama n. 9 del Febbraio 2012 dimostrano che 9,5 milioni di dipendenti, pari al 44,2% degli occupati totali, lavora in aziende sino a 15 dipendenti e , quindi quasi il 50% della popolazione dipendente non é soggetta alle protezioni, in termini di reintegro, previste dall'art.18;
  2. le aziende, con dimensioni superiori ai 15 dipendenti, in caso di crisi, hanno avuto, almeno sino ad oggi, la possibilità di gestire la flessibilità in uscita con i licenziamenti collettivi, senza avere particolari problemi in termini di autorizzazioni da parte degli organismi governativi.
Qual'é, allora, il vero problema dell'art.18?
Non si può negare che la sua enunciazione, dal punto di vista legale, é corretta e non contiene criteri che favoriscano il lavoratore nei confronti del datore di lavoro. I veri problemi, come già scritto nel recente post sono l'orientamento prevalente dei magistrati e la lentezza della giustizia. Ecco allora che il datore di lavoro, sapendo di correre il rischio di doversi tenere dipendenti negligenti e/o disonesti ha due reazioni ben note:
  • cerca, nelle assunzioni, di evitare i contratti a tempo indeterminato, preferendo, ovviamente tutte le altre forme contrattuali che, in caso di necessità, gli permetteranno di liberarsi del dipendente alla scadenza dei contratti o perché non contemplate dall'art.18,
  • le grandi aziende, in caso di necessità, tentano di interrompere il rapporto di lavoro attraverso la risoluzione consensuale dello stesso, dovendo però mettere mano al portafoglio e sborsare spesso somme considerevoli, tali che molte aziende medie o piccole non si potrebbero permettere.
Posso portare in questo campo un'esperienza diretta, in quanto, nel periodo dal 1990 al 2000 ho gestito personalmente 17 licenziamenti per giusta causa, di dipendenti con attività esterna (informatori scientifici del farmaco). Tutti i licenziamenti, per attività fraudolenta, erano stati decisi a seguito d'indagini investigative e confortati da prove video e documentali; in 14 casi i magistrati non hanno disposto il reintegro, ma hanno costretto l'azienda ad una lunga negoziazione con i dipendenti per trasformare il licenziamento in risoluzione consensuale del rapporto di lavoro con incentivi all'esodo di diverse decine di milioni di lire. Un caso, che riguardava un sindacalista, é terminato con la condanna dell'azienda, poiché il magistrato non ha voluto accettare le riprese video come prove a carico del dipendente; in un secondo caso l'azienda, in parte colpevole di comportamenti discriminatori, é stata condannata per mobbing. Solo in un caso il dipendente é stato realmente licenziato con la concessione di 3 mesi di stipendio.
Qualunque modifica all'art.18, che non tenga conto di queste problematiche, non risolverà il problema dell'impatto psicologico che l'aspetto vertenziale ha sui datori di lavoro.

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