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E non si dica che manca la voglia di fuga

Creato il 21 luglio 2011 da Tnepd

E non si dica che manca la voglia di fuga

Credevo d’aver ormai scelto la spiaggia su cui sdraiarmi in attesa del giorno del giudizio sgranocchiando gamberetti e arachidi, quando due momenti interessanti sono intervenuti a mescolare le carte in tavola.

Il primo è consistito in un’idea balenatami nel corso di una lunga chiacchierata con un amico, un altro italiano “espatriato” diversi anni orsono. L’idea riguarda un’opzione alternativa alla spiaggia.

La spiaggia – ovviamente con questo termine intendo una baia tropicale semidisabitata con un panorama dai toni turchesi e smeraldini – beh… va detto, “the beach” è un’opzione molto affascinante. Il cielo, l’oceano, l’amaca, la sabbia, i gamberetti, le arachidi e i tramonti, che tramonti… ma la spiaggia ha anche molte controindicazioni. Scarseggia in genere di due risorse naturali fondamentali, ossia l’acqua dolce ed il terreno coltivabile. Questo per una ragione molto semplice: perché sulle coste sabbiose, a ridosso del mare, di solito mancano sorgenti pulite di acqua non salmastra. Per averne, è necessario che alle spalle della spiaggia sorga una catena collinare, ma meglio sarebbe montuosa, con sorgenti d’acqua dolce poco al di sopra del livello del mare. Contesti del genere sono a dir poco rari. Altra soluzione sarebbe una spiaggia vicina alla foce di un fiume ma di solito dove c’è una foce c’è già una città, da secoli, in quasi tutto il pianeta. Oltre che di risorse naturali, la spiaggia manca ovviamente anche delle risorse artificiali offerte dalla città, ossia corrente elettrica e (sempre più raramente) campo telefonico mobile. La cosa ha dell’incredibile, ma ormai “si prende” quasi  dappertutto sul pianeta, persino nella foresta nera.

Chissà cosa devono avere in mente di fare, lor signori, se hanno speso tante energie a tirar su torri per antenne e ripetitori fin nei meandri meno battuti della foresta spinosa. E pure di quella non spinosa. Si avvicina il giorno in cui “Ho tre stanghette!” non sarà più una bella notizia.

La spiaggia, alla luce di queste considerazioni e dell’idea intervenuta in seguito, non mi pare dunque il contesto più attraente da cui osservare la catastrofe economico-sociale occidentale prossima ventura. E’ rilassante, tranquilla, a suo modo sicura se gli indigeni si dimostrano gente pacifica. L’opzione spiaggia ha certamente molti pro, ma anche molti contro; non ultimo il fatto che non si muove da dove sta e questo – va detto – a me dopo un po’ scoccia.

Per noi occidentali – gente col metabolismo corrotto da troppe inutili vaccinazioni neonatali e da anni di vita innaturale – qui nel Terzo Mondo non è affatto facile avere accesso alle risorse fondamentali (acqua potabile ed approvvigionamenti alimentari) senza legare la propria vita ad un contesto cittadino. Come ho avuto già modo di raccontare in vecchi post, anche nelle città africane più piccole ormai ci sono i bar con internet wi-fi e tutta una serie di servizi occidentali sempre più accessibili anche alle masse. Me lo confermano sia la mia esperienza diretta che le testimonianze di altri occidentali espatriati in lidi simili a quello in cui mi sono arenato, per ora, io.

Usufruire, almeno saltuariamente, dei servizi di una città è davvero una grossa comodità, ma come riuscirci senza viverci, in quella città? Forse trasferirsi in una baia a quattro o cinque ore di pista dal più vicino generatore di corrente non è la soluzione migliore. Resta il fatto che dalle città è cosa buona e giusta allontanarsi, sia nell’ipotesi apocalittica delle carneficine metropolitane, sia in quella soft dello stato di polizia.

Il problema delle città – su da noi anche delle cittadine e dei paesi – è che concentrano una quantità eccessiva di persone, cose e animali in uno spazio insufficiente. Non a caso le città sono i soli contesti in cui esiste davvero la povertà e l’inedia, qui come nella vecchia Europa. Da che mondo è mondo, in campagna non si muore mai di fame. Qualsiasi città – occidentale o del Terzo Mondo – è perciò potenzialmente un luogo pericoloso, un luogo in cui si moltiplicano esponenzialmente le occasioni e le ragioni di conflitto. Quasi ovunque comunque – e qui ci arriva anche chi non ha viaggiato – le ore davvero pericolose sono soltanto quelle notturne. Per ora.

Servirebbe quindi una soluzione che permettesse di godere dei servizi della città quando necessario ma anche di potersene allontanare – e di tenersene lontani – per il resto del tempo. Ridendo e scherzando intorno ai concetti di comodità, utilità, sicurezza e compromesso è quindi saltata fuori l’idea in cui consiste il primo dei due momenti interessanti, quanto meno per me, degli ultimi giorni. L’idea che potrebbe spodestare la spiaggia è quella della barca.

Più ci penso, più mi piace. In effetti una barca permette di accedere alle città costiere e di viverle per il tempo necessario, per gli approvvigionamenti, per fare il giro delle fidanzate (negli approdi già battuti) e via discorrendo. Ma più delle analisi pratiche, ciò che mi sta convincendo del potenziale dell’idea è la considerazione che, se avessi fatto la scelta della barca quattro anni fa, il tempo poi trascorso sarebbe stato in tutta probabilità più interessante di quello che è stato.

In questi giorni ho rispolverato i ricordi delle navigazioni giovanili e ho discusso della fattibilità e del livello di rischio dell’opzione “barca” con l’amico di cui sopra che, tra parentesi, è stato velista fino a quando non si è trasferito dall’Italia qualche anno fa.

Ovviamente quando si seleziona un natante per viverci molto tempo sopra si pensa ad una barca a vela, ma non una barca a vela qualsiasi tipo quelle ormeggiate a centinaia negli yacht club. La barca di un navigatore giramondo che deve affrontare anche gli oceani ha in genere uno scafo di dimensioni generose (raramente meno di 9 mt) e materiale robusto e pesante tipo ferro-cemento, acciaio o, per i più raffinati, alluminio. Per capirci, è una barca lenta ma stabile e che sopporta qualsiasi condizione meteorologica. [quasi qualsiasi condizione…]

Di barche del genere ce ne sono parecchie, ma di rado le si trova negli annunci dei brokers online di yacht e cabinati. Nel mondo, in special modo ai Caraibi e negli arcipelaghi sudasiatici ma di certo anche altrove, ci sono veri e propri porti-crocevia vissuti dalle persone che hanno deciso di trascorrere la maggior parte della propria esistenza in viaggio per mare. Di persone così ne esistono più di quante si creda.

Da quanto mi dice chi ci è stato, si trovano buone occasioni anche a Città del Capo, in Sudafrica. Pare ci sia un 38 piedi (quasi 12 metri) in acciaio che ha già fatto una circumnavigazione del globo, o forse due. Devo pensarci su.

Sarebbe un’altra vita, presumo.

A Mondart – che voleva una camera – potrei, a quel punto, proporre una cabina.

Il secondo momento della settimana che in qualche modo mi ha motivato alla stesura di questo post (che non dovrebbe esistere), è la gragnola di reazioni piovute sul post d’addio di TNEPD. Fuori misura la quantità dei commenti rispetto alle scarse adesioni registrate nei mesi precedenti. E fuori misura mi sono parse anche la replica scomposta di NWO-truthresearch e quella maldestra e avventata di ALF, alias Roberto Duria, su Stampa Libera.

Ho invece molto apprezzato l’analisi fatta da Mondart nel suo blog. Mi dispiace soltanto di non riuscire quasi mai a leggerlo per ragioni tecniche. Quando mi connetto all’internet café, infatti, scarico i contenuti di un centinaio di flussi feed che poi leggo con calma, dove e quando mi pare. Mondart, come Gianluca Freda ed altri, ha purtroppo flussi feed parziali che riportano soltanto l’incipit degli articoli. Che peccato.

Sul merito della discussione, come da copione, non mi pare che le reazioni di NWO-truthresearch e di ALF abbiano contribuito a fare grandi passi avanti.

Quella di rifugiarsi in una baia tropicale, o su una barca, forse non sarà la migliore strategia attuabile, ma per lo meno è una strategia ed è fattibile. E’ la strategia della fuga, consigliata dal buon Sun Tzu ogni qual volta la vittoria non sia assolutamente certa, cioè quasi sempre. E nel caso attuale, non prendiamoci in giro, è certa la sconfitta. Non è vigliaccheria, è decidere di dedicarsi ad altro perché giocare in queste condizioni è da fessi. Le regole del gioco le hanno fatte loro e vincono per forza sempre loro. Si tratta di lasciare il tavolo prima di perdere anche la biancheria intima e soprattutto la dignità, si tratta di vivere altrove, di cercare di star fuori il più possibile dal sistema, dal Matrix.

Il sangue e le lacrime, le carneficine e le società militarizzate ci sono a tutt’oggi e presumibilmente in futuro ci saranno anche in nazioni da cui non ce lo si sarebbe mai aspettato. E’ triste constatare che la situazione si aggrava di ora in ora, che l’involuzione è inarrestabile, che la cancrena si diffonde a prescindere dall’operato dei blog citati e di tutti quelli non citati. La voce soffiata di certa blogosfera è un privilegio per pochi ma – e questo mi preoccupa – rischia di diventare una prigione intellettuale per chi ha la fortuna di saperla apprezzare ma poi non riesce più a farne a meno.

Siamo cresciuti in una società che diseduca i sudditi dal compiere scelte reali, che insegna loro ad emozionarsi per l’acquisto di un televisore più grande o di un telefono più piccolo. Certa blogosfera sembra davvero l’ultima spiaggia di fronte alla miseria delle masse ed alla mediocrità di un “mondo intellettuale” di vecchi e giovani bacucchi che non si accorgono del delirio che li circonda o che più verosimilmente non ammettono a sé stessi di esserne stati i fautori, complici attivi e passivi per gran parte della propria vita.

Da che mondo è mondo i figli hanno dovuto pagare per le colpe dei padri, ma mai conto fu tanto salato quanto quello che verrà riscosso nei prossimi due anni. E mai i figli furono così impreparati.

Continui dunque ad indagare, la meravigliosa blogosfera, ultimo baluardo della resistenza intellettiva prima ancora che intellettuale. Continui – dico io – ma senza sottovalutarsi, continui con la consapevolezza che il tempo stringe e che se – proprio in quanto ultimo baluardo – dovesse alfine infastidire i piani alti, in men che non si dica le verrà tolta la spina e te la saluto la decennale opera di analisi e svisceramento delle colpe e dei colpevoli. A tal proposito, consiglierei a tutti coloro che ci tenessero, di farsi un backup cartaceo degli scritti migliori, propri e altrui. Non si sa mai.

Il sole sta sparendo nell’oceano.

Ieri ho visto il raggio verde, per un attimo, mi è parso.

E’ un presagio, forse buono, di certo un presagio.

C’è chi ancora ci crede, da queste parti.


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