Quale sensazione si ha quando l'impressione è quella di nutrire e crescere il figlio di Satana?
Fino a che punto può arrivare una madre?
A quale estremo si può spingere il concetto di amore materno?
...E ora parliamo di Kevin in realtà parla di questo e di tutta un'altra serie di questioni che vengono esposte in modo asettico davanti agli occhi dello spettatore.
Non parla del Kevin del titolo, o meglio lo usa come maglio per perforare la sensibilità di chi guarda ponendolo di fronte ad interrogativi di soluzione tuttaltro che facile.
Se esiste.
Per dirla in sommi capi il film in questione parla di una strage pianificata nei minimi termini e perpetrata dal Kevin del titolo, un quasi sedicenne ( sotto i sedici anni si evitano sia la condanna a morte che la lunga pena detentiva ) che decide di uccidere altri studenti della sua scuola. Ma lo fa dalla prospettiva della madre di Kevin, donna realizzata e felice che si ritrova a dover resettare tutto e ripartire dalle macerie in cui il figlio ha ridotto la sua vita.
La Ramsay con un copione del genere poteva scivolare facilmente nell'horror o nel mostrare con un certo grado di compiacimento una violenza insostenibile.
Poteva girare qualcosa di assimilabile a un Carrie di depalmiana memoria ( anche quello fondamentalmente incentrato sul rapporto malato tra una madre e una figlia) e si ritrova ad evocare suggestioni figlie naturali di Elephant di Van Sant ( lo sguardo entomologico e distaccato del narratore ) o di Polytechnique di Villeneuve in cui anche se la strage viene mostrata, il male come nel film della Ramsay sembra avere radici così profonde che non sembrano appartenere alla nostra sfera intellettiva o a questo mondo.
Invece la regista scozzese decide di asciugare il tutto, la violenza non è mai mostrata, viene suggerita ellitticamente e con un montaggio che flette l'unità temporale , riesce continuamente a dare nuova linfa agli interrogativi sparsi per ogni dove durante il film.
In questo modo il tritarifiuti con una semplice inquadratura dello sguardo atterrito della Swinton diventa inesorabile strumento di morte, il libro su Robin Hood che piace tanto a Kevin assume le tristi fattezze di un oscuro presagio e un lucchetto comprato su internet dà subito l'idea della bestialità di quello che è successo senza mostrare nulla o quasi.
...E ora parliamo di Kevin è però sempre focalizzato sul rapporto tra un figlio indesiderato e una madre che si ritrova a pentirsi ogni giorno che passa di un rapporto mai nato.
La strage che non viene mostrata è solo l'esito di una psiche che ha manifestato sin da subito segni di preoccupante squilibrio, spesso sconfinanti nella malignità luciferina.
L'interrogativo quindi si pone forte e chiaro: che cosa si può fare quando si ha la netta impressione di aver partorito il figlio di Satana?
E , pur riconoscendo una certa cattiveria nei bambini ( ma a un'età superiore rispetto a quella di Kevin che già a 4-5 anni mostra una mente diabolica forse un po' troppo "adulta"), perchè non preoccuparsi quando questo figlio non perde occasione di mostrare la sua componente di malvagità così premeditata?
O forse sono io che cerco la verosimiglianza in tutto, anche dove non dovrei farlo.
...E ora parliamo di Kevin sicuramente sarebbe stato meno efficace senza la straordinaria prova di quel magnifico animale da scena che è Tilda Swinton, uno sguardo e un corpo che perforano lo schermo.
Ma anche Ezra Miller con la sua intensità per certi versi ancora acerba colpisce e affonda.
Ritornando agli interrogativi posti in apertura: si può(deve ) essere madre nonostante tutto?
Quell'abbraccio vuol dire questo e tanto altro, sinonimo di un animo lacerato le cui ferite non guariranno mai.
( VOTO : 8 + / 10 )