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E ora qualcosa di completamente diverso

Da Femminileplurale
Vi proponiamo di seguito un nostro contributo pubblicato oggi sul blog dell’incontro nazionale di Paestum 2013 | Libera ergo sum | 4, 5, 6 ottobre 2013.  La focalizzazione “uomini sì / uomini no” ha ultimamente monopolizzato l’attenzione rispetto all’incontro nazionale del 4, 5, 6 ottobre a Paestum e ha neutralizzato il dibattito e il conflitto su una serie di argomenti più importanti. Anche se noi, come molte, siamo fermamente contrarie alla presenza degli uomini a Paestum, troviamo che sia ancora più grave far diventare questo il centro del nostro discorso. Guardiamo a ciò che conta per noi.Innanzitutto guardiamo a che senso ha la partecipazione a Paestum da parte delle donne, che sono comunque il soggetto principale di questo incontro.Per quanto ci riguarda, il senso di questo prender parte – che è un prendere, ma anche un dare – è una presa di responsabilità su quello che accade e su quello che vorremmo accadesse. La presa di responsabilità significa innanzitutto rifiutare la comodità dell’autoesclusione e dell’isolamento. Le persone si autoescludono perché pensano di non trovare spazio a Paestum. Ma Paestum non è un luogo di unificazione né di neutralizzazione. Non si tratta di far emergere una voce unica – anche se questo testimonia una voglia di efficacia di cui parleremo tra poco – ma che più voci possibili si prendano lo spazio, che siano voci in conflitto purché voci che si parlano. Nella lettera di invito abbiamo provato a rendere chiaro che secondo noi esistono due poli, due tentazioni o derive, tra i quali dobbiamo trovare un equilibrio, quello della frammentazione sterile e isolata (in cui ogni gruppo porta avanti il proprio percorso specifico) e quello dell’omologazione che appiattisce il conflitto, la diversità e la creatività politica.L’aggravarsi della crisi di civiltà che stiamo vivendo porta in noi un desiderio di concretezza, che noi identifichiamo con il dialogo e il confronto vivo con le donne che in tutta Italia portano avanti esperienze di radicalità. In questo senso consideriamo vitale uscire dall’elitarismo in cui talvolta ci accorgiamo di rinchiuderci: perché il femminismo è una questione di identità che a volte ci teniamo anche troppo stretta, mentre esso dovrebbe essere l’esperienza di una identità in evoluzione e in questo il rapporto con le altre e con gli altri è il terreno su cui misurarsi di continuo. È la relazione il terreno della trasformazione. Se a volte evitiamo di costruire dei ponti possibili, se ci tratteniamo dallo stringere legami con donne non militanti solo perché non lo sono, o non lo sono abbastanza, se rimaniamo nel terreno solido delle nostre sicurezze, è lì che sbagliamo: la liberazione prende strade inaspettate e nuove in ciascuna. Riconoscere l’elitarismo in noi stesse permette di allargare il soggetto del femminismo, riconoscere l’azione delle altre donne anche in luoghi, in contesti, in progetti che noi mai ci saremmo immaginate.Un altro argomento che ci sta a cuore è quello dello “scontro intergenerazionale”. L’entusiasmo che a Paestum 2012 aveva accompagnato la frase «siamo tutte femministe storiche» assomigliava al sollievo, poiché tranquillizzava rispetto a uno scontro tra “femministe storiche” e “femministe giovani”. Ma noi non crediamo che lo scontro sia tra queste due categorie. Quello di “giovani” è un concetto politico e sociale creato ad hoc per porre le cosiddette giovani in uno stato di minorità. È un concetto che in sordina abbiamo mutuato dalla politica, ma che porta con sé i discorsi beceri della “rottamazione” e del “tutti a casa”… e così che la trentenne precaria, nonostante tutto, viene considerato “giovane” e addirittura tale si sente, come se non avesse ancora raggiunto la piena legittimazione di soggetto politico. Quindi diciamo a noi stesse che questo stato di minorità è da superare, che è una forma di ghettizzazione che dobbiamo smettere di accettare per entrare invece in un confronto alla pari.Dunque lo scontro in atto è di un’altra natura. E non è uno scontro tra donne (come a volte ci capita di voler comodamente credere). È uno scontro tra il dominio spersonalizzante dell’economia e un’idea di politica come pratica di vita delle persone.Il partire da sé è l’antitesi assoluta di un potere manageriale che non considera gli individui ma i meccanismi: è una politica del quotidiano, che coincide con una cura di sé e contemporaneamente del mondo. Il partire da sé è una politica del quotidiano perché non è una pratica che si realizza negli stretti spazi delle istituzioni stabili del potere, ma ha a che fare con i piccoli grandi gesti che compiamo tutti i giorni. È la responsabilità di ciò che facciamo, in ogni momento della nostra vita.Se la crisi in cui viviamo è una crisi politica, una crisi economica, statale e globale, e se crisi vuol dire “separare”, e in senso figurato anche “decidere”, noi dobbiamo decidere tutti i giorni da che parte stare e per quale politica vogliamo combattere. Senza per questo cadere nelle tentazioni dell’autosufficienza e dell’onnipotenza: anche per questo noi vogliamo incontrarvi, scontrarci, parlarci, ridere, arrabbiarci, mangiare, ballare – a Paestum.

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