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E’ più facile dire che le vittime non esistono

Da Femminileplurale

Quella che pubblichiamo qui sotto è un’intervista che Ilaria Maccaroni ha fatto a Isoke Aikpitanyi il 15 febbraio 2012. L’intervista è stata letta da Ilaria Maccaroni,Valentina Iamotti e Maria Grazia Mauti  il 19 febbraio 2013 durante la  rubrica culturale “ControEssenze” (a cura di Connettive durante la trasmissione del Martedì Autogestito da Femministe e Lesbiche di Radio Onda Rossa). Questa intervista è pubblicata in contemporanea da: Consumabili, Un altro genere di comunicazione, Maschile Plurale.

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É noto che le donne provenienti da altri paesi vengono tratte con l’inganno da false agenzie di viaggi o agenzie per l’impiego locali che promettono loro di farle lavorare in Europa, le fanno entrare in un paese europeo e le obbligano a prostituirsi. Le ragazze in Nigeria, oggi, quanto sono coscienti del pericolo che corrono di cadere nella rete dei trafficanti?

Anzitutto bisogna tener conto di cosa è la Nigeria, della estensione del suo territorio, della consistenza della sua popolazione e del persistere di una realtà urbana e di una realtà periferica; la prima ha quasi tutte le caratteriste della modernità, è occidentalizzata, per così dire, mentre la seconda è ancora fortemente tradizionale, tribale.

Tanto per chiarire, nella seconda l’elettricità non c’è ancora tutto il giorno, si vive in modo atavico; ed è da qui che è più facile andare a prendere delle ragazze che non sono informate e non sono consapevoli di quel che le aspetta.

Poi ci sono le altre, quelle che cercano una vita migliore, ma vorrebbero avere a disposizione i mezzi economici che sono in mano a tanti ricchi. Il sogno impedisce loro di vedere loro che le aspetta un incubo: vanno a divertirsi nei night, “ballano sul cubo”, si divertono con gli avventori bianchi che fan vedere loro una verità che poi le ragazze non troveranno di certo. Ma tanto basta per far pensare loro che se anche il rischio è quello di doversi prostituire, lo si farà per poco tempo: non sono consapevoli, poi, delle modalità alle quali dovranno adattarsi, non sanno minimamente cosa siano, ad esempio il freddo di tanti paesi del nord Europa…

Poi ci sono quelle che già a Lagos, per esempio, si sono avvicinate alla prostituzione e pensano che se debbano prostituirsi, meglio farlo con i bianchi e in Europa dove ci sono tanti soldi e c’è la possibilità di fare tanti soldi. Ma questa è una cosa degli ultimi anni mentre venti anni fa le ragazze non sapevano.

Oggi il 50% sa e non sa.

Ma il problema non è questo, è che nessuna sceglie liberamente e davvero consapevolmente, ed è che tutte arrivano con un debito da pagare e che questa è la catena della quale nessuna sa liberarsi, né praticamente, né psicologicamente: e questa è una condizione di schiavitù.

Chiedersi se sanno o non sanno è sbagliato, è come insinuare che se scelgono liberamente non ci si deve porre il problema della loro schiavitù.

Esistono organizzazioni o autorità statali in Nigeria impegnate a diffondere notizie e informazioni sulla tratta delle donne nei paesi occidentali?

C’è una agenzia governativa che si chiama NAPTIP e che fa esattamente questo lavoro. Solo che se una agenzia di questo tipo operasse in Europa, potrebbe farlo con strumenti incisivi e con una certa possibilità di successo, in Nigeria tutti pensano che l’Europa è il loro sogno, quindi andare in Europa sarebbe la realizzazione del sogno, quindi essere portate in Europa è una gran bella cosa.

La gente e le giovani in particolare, considerano che avere una opportunità per venire in Europa sia il solo strumento per realizzare quel sogno, per cui chi cerca di far arrivare a loro notizie sui rischi che corrono non è creduto.

La pressione demografica e le difficoltà economiche di una popolazione vive con meno di un euro al giorno, in un paese ricchissimo di petrolio e nel quale una ristretta “borghesia” è ricca, fanno il resto.

Quali altre strade può intraprendere una donna nigeriana che desidera emigrare in Europa, senza rischiare di cadere vittima della tratta?

Nessuna; qui non siamo di fronte ad una emigrazione normale; a emigrare non sono persone che hanno risorse personali e familiari, preparazione intellettuale e culturale per andare a ricoprire posti anche importanti nel lavoro e nelle professioni: emigrano persone disperate, spesso analfabete che “normalmente” non avrebbero nessuna possibilità di venire in Europa.

Una volta arrivate in Italia le ragazze contraggono a loro insaputa, un debito quasi impagabile coi trafficanti o con le maman che le sottraggono i documenti e diventano le loro padrone. Che cosa dicono le maman alle ragazze per spingerle a lavorare per loro?

Anche qui quel che un tempo le maman dicevano è diverso da quel che dicono oggi. Un tempo spingevano brutalmente la ragazze in strada, insegnavano loro quel che dovevano fare e lo facevano o con le buone o con le cattive (cioè facendole violentare dai loro scagnozzi).

Così facendo, però, si sono accorte che molte ragazze si ribellavano e cercavano vie di uscita. Cosi hanno cambiato tattica e hanno cominciato a lasciare alle ragazze parte dei loro guadagni: le hanno istruite a gestirsi le relazioni con i clienti in modo da ingannarli e da spillare loro più quattrini. Insomma le maman hanno svolto il compito di una vera e propria scuola di prostituzione e da alcuni anni offrono alle ragazze alcuni servizi aggiuntive: maman e trafficanti sono i più abili fruitori delle modalità di legalizzazione della presenza delle ragazze; spiegano loro come e chi denunciare, seguendo le opportunità dell’articolo 18; danno loro i legali italiani che le aiutano nelle pratiche delle sanatorie; le spingono a diventare richiedenti asilo. Quindi, almeno apparentemente, per le ragazze la maman è solo una che gestisce la loro opportunità di restare in Europa. Solo quelle che si ribellano davvero corrono dei rischi, per le altre basta prostituirsi senza far storie e pagare il debito.

Cosa spinge una donna trafficata a ribellarsi ai trafficanti, a scappare e a chiedere aiuto?

Anzitutto non avendo scelto quella vita tutte si guardano intorno e cercano una via di uscita. Purtroppo la ricerca non da buoni frutti; nove su dieci sono respinte dai servizi i quali sono fortemente vincolati dal fatto che, almeno per le nigeriane, senza denuncia non c’è nessuna possibilità di regolarizzarsi.

Ma quanto dura il tempo della ribellione e della ricerca di una via di uscita, prima che subentri la rassegnazione e la ragazza si adatti alla prostituzione? Per alcune molto a lungo, per altre poco, a seconda anche delle esperienze che fanno sulla strada, del tipo di clienti che incontrano…

Dopo a ribellarsi sarà una ragazza stanca di quella vita, ma sfiancata nelle sue capacità di mettere in gioco le sue potenzialità, la capacità di mettersi a studiare, di imparare un lavoro vero. Dopo due o tre anni, o di più, di strada, la persona ha perso molte delle proprie risorse personali: lo sforzo necessario ad integrarsi e gli ostacoli che trova sono troppo grandi; è più facile restare nella prostituzione.

Che ruolo hanno le famiglie di origine delle ragazze rimaste in patria nel far sì che queste non si ribellino e continuino a lavorare nella prostituzione per inviare i soldi a casa?

Anche le famiglie sanno e non sanno che cosa fa la loro figlia. A questo punto bisogna ammettere che è come se avessero deciso di sacrificarla per il benessere degli altri componenti la famiglia stessa. Comunque sia le famiglie sono minacciate e diventano oggetto di violenze se le ragazze si ribellano e non pagano; per questo le famiglie spingono le ragazze a essere obbedienti alle maman e a non ribellarsi. E lo fanno sia che ricevano davvero minacce e corrano davvero pericoli, sia che – invece – siano complici dei trafficanti e siano consapevoli del destino della loro figlia.

Nel tuo primo libro racconti di come un uomo italiano, conoscente della maman che ti sfruttava, voleva farti lavorare in un night club ma tu scappasti perché ti dissero che lavorare lì era peggio della strada. La prostituzione nei night sta prendendo piede in Italia? Le ragazze che lavorano nei night sono trattate meglio o peggio di come lo sono sulla strada?

Le ragazze sono sfruttate e basta; non è detto che siano sfruttate in un posto o in un altro, in un modo o nell’altro, sono sfruttate come serve agli sfruttatori: la strada è il luogo più facile e immediato soprattutto per una massa di ragazze. E poi i clienti non sono tutti frequentatori di night e locali, per andare nei quali bisogna già avere una abitudine alla vita notturna, alla ricerca di prostitute; per molti clienti la strada è il luogo più neutro e rapido che consente loro di non coinvolgersi, almeno così credono inizialmente, di non perdere troppo tempo, di spendere meno.

Il night e la casa chiusa, però, sono situazioni nelle quali la ragazza è più controllata e può sfuggire meno al controllo dei trafficanti; i luoghi chiusi, inoltre, sono i più pericolosi per una ragazza che voglia ribellarsi; e sono quelli nei quali le opportunità di trovare una via di uscita sono minori. I clienti del night o del luogo chiuso sono meno sensibili ai drammi delle ragazze e nessun operatore sociale va al night, mentre in strada ci va e semina la sua proposta di aiuto.

Negli ultimi anni il fenomeno della schiavitù sessuale ha preso piede in quasi tutti i paesi del mondo, e in misura maggiore in quelli occidentali, nei quali donne di altri paesi vengono fatte entrare e obbligate a prostituirsi. Il fronte abolizionista femminista che riunisce coloro che in un modo o nell’altro combattono la tratta e vorrebbero sradicare la cultura della prostituzione dalla società, ritiene che la divisione tra vittime della tratta e “libere” professioniste non sia possibile fintanto che la prostituzione continua a essere regolamentata dallo stato. Tu credi che possa esistere una netta separazione tra tratta e prostituzione volontaria?

Questo non avviene negli ultimi anni. Lo sfruttamento della donna in senso generale è il principio che genera, determina, rende possibile la riduzione in schiavitù (ad esempio anche quella domestica e familiare) e ha tra le sue conseguenze anche la prostituzione.

La domanda, però, forse contiene un errore perché la prostituzione oggi NON è regolamentata dallo stato, mentre la domanda formula l’ipotesi che lo sia.

Ma l’errore della domanda è nell’ipotesi stessa che possa esistere una prostituzione libera. I problemi delle vittime della tratta riguardano ragazze che sono schiavizzate e sfruttate; io dico sempre che le loro catene non sono per forza visibili e la loro condizione umana è talmente degradata dal finire coll’accettare la prostituzione come inevitabile. Ma questa non è una libera scelta. Non mi chiedo quali siano i problemi delle donne libere, li lascio ad altri.

Quali effetti avrebbero, secondo te, un’eventuale “regolamentazione” o normalizzazione o tutela della prostituzione sulle vittime della schiavitù sessuale?

Sarebbero effetti devastanti; dimostrerebbero che hanno ragione le maman che dicono loro che la prostituzione è un lavoro e che tutti i lavori comportano rischi. In pratica una ragazza dovrebbe prendere atto che non ha senso ribellarsi e che se ci si adatta tutto va meglio o va bene. Meglio e bene per chi?

Questa è una devastazione vera e propria, non è una questione di moralità o immoralità; su questo piano io non critico, non condanno, non giudico nessuna ragazza che si prostituisce. Non lo farei mai perché so il dramma di molte, so che molte finiscono lì. Ma so che se si vuole che finiscano per forza lì e si fa addirittura una legge che le regolarizza in quanto prostitute invece che in quanto vittime della tratta, vuol dire che avremo comunque donne che non saranno illegali, clandestine e perseguibili perché saranno in qualche modo in regola con le norme burocratiche della immigrazione e del lavoro, ma queste saranno sempre schiave, cioè legate allo stesso meccanismo del debito e dello sfruttamento e alla reiterazione della schiavitù ai danni di ragazze sempre nuove che continueranno ad arrivare.

Affermare che “prostituirsi è un lavoro” e che è “una strada per guadagnare bene in poco tempo”, può danneggiare le vittime della tratta?

Assolutamente sì.

In Svezia, la legislazione prevede che lo stato criminalizzi il cliente e tuteli la vittima della prostituzione. Secondo diversi studi, così facendo, la prostituzione in Svezia è calata di molto. Ritieni che questo modello possa essere efficace per combattere la tratta e la prostituzione nel nostro paese?

Non è vero che i clienti sono diminuiti, si orientano gli studi esattamente come si fa in Italia per dire che si fa molto contro la tratta: il numero delle vittime è stimato non in base alla realtà, ma in base ai risultati dei servizi antitratta: i numeri dei servizi dicono che più di 10 mila sono state aiutate in 10 anni? Bene, alloro si stima che le ragazze sono 12/15 mila, quindi tutte hanno avuto una opportunità di liberazione e moltissime l’anno colta. Se, però quelle ragazze fossero stimate in numero maggiore, quei risultati non sarebbero positivi. Il problema della Svezia è non riuscire a capacitarsi del perché il problema sussista anche se esiste una realtà di liberazione sessuale diffusissima.

Il mio libro è stato tradotto in finlandese… chissà perché in quei paesi c’è la necessità di capire il problema.

La questione, allora, è rovesciare una verità presunta: il problema non sono i clienti e le prostitute libere. Il problema sono le schiave.

Secondo te perché i clienti comprano le donne per soddisfare i loro desideri sessuali e poi (alcuni di loro) decidono di aiutarle a fuggire dalla prostituzione? Non pensi che sia un comportamento contraddittorio e illogico? I clienti sanno che le donne sulle strade sono in realtà donne trafficate? E se sì, perché decidono di comprarle lo stesso?

E chi lo dice che lo sanno? Gli stessi che affermano che le prostitute sono quasi tutte libere? Ma se sono libere sono liberi anche i clienti.

In realtà, invece, è ancora necessaria una opera di sensibilizzazione, informazione, prevenzione rivolte al mondo maschile perché il maschio cerca tutte le scuse che spieghino e giustifichino il suo esser cliente.

Solo l’esperienza diretta pota il maschio prender atto che quelle ragazze NON sono libere e a quel punto spesso decide di non esser complice, ma risorsa contro la tratta; ma deve affrontare un difficile percorso di consapevolezza nel quale nessuno lo accompagna o lo sostiene: si trova così ad esser criminalizzato moralmente, rischia multe e pene per un comportamento che è favorito parimenti da trafficanti e leggi.

Cosa proponete tu e la vostra associazione allo stato e alla società per contrastare e combattere la schiavitù sessuale delle donne straniere, sia a livello legislativo che educativo e sociale?

Il fenomeno dello sfruttamento delle nigeriane, e delle altre, è intenso da almeno 20 anni. Noi vittime ed ex vittime della tratta non chiediamo nulla perché lo Stato ci risponderebbe che da 20 anni finanzia il nostro sostegno e che le nostre richieste e proposte NON valgono o, meglio, valgono poco perché altri sono più qualificati di noi per formularle sulla base di conoscenze giuridiche, sociologiche, psicologiche, ecc. ecc.

Da molto fastidio allo stato che una organizzazione di vittime ed ex vittime, l’unica esistente in Italia e in Europa, parli; siamo le beneficiarie dei servizi e degli interventi che lo stato e le istituzioni ai vali livelli e in vario modo hanno posto in essere e diciamo come beneficiare, che NON funziona, che nove su dieci di noi non beneficiano di nulla, che nove su dieci diventano prostitute per colpa della inefficienza dei servizi dello stato e che non si sa ipotizzare altro che regolamentare la prostituzione, cioè fissare regole e modalità per regolarizzare il nostro sfruttamento.

Noi non possiamo dire bisogna fare in un altro modo, perché nel frattempo altri contestano le nostre proposte e difendono le loro.

Noi facciamo a modo nostro, allora: facciamo auto – mutuo aiuto, cerchiamo di farci sentire e dire la nostra verità, anche se è difficile perché ci mancano gli strumenti culturali per elaborare il pensiero e ci manca la malizia politica per proporlo ai tavoli dove le decisioni sono prese sulle nostre spalle. Per fortuna che MOLTI servizi sono validissimi, quindi non stiamo criticando tutti e chiunque; ma nell’insieme la realtà è questa. A noi è preclusa perfino la possibilità di aiutare noi stesse.

Insieme ad altre e a parti importanti della società civile, noi facciamo accoglienza, motiviamo, sosteniamo, accompagniamo ragazze nella ricerca di una via di uscita, “anche” attraverso i servizi, ma anche dopo, senza mai dimenticare che siamo sole quando i servizi hanno completato il loro intervento e ci considerano autonome, mentre noi siamo ancora in balia dei trafficanti, del debito, dei falsi pastori complici delle maman, delle comunità nigeriane complici, ecc. ecc.

Siamo sole contro la mafia nigeriana, una delle peggiori al mondo.

Quanto è importante dar voce alle sopravvissute della tratta e della prostituzione e perché la loro voce tende a essere meno ascoltata rispetto a quella di tante altre?

Per assurdo ha voce il Comitato per i diritti delle prostitute, non l’associazione vittime ed ex vittime della tratta: è così che si costruiscono una cultura ed una politica che a noi non possono offrire nulla.

Il problema non è il Comitato delle prostitute che fa quello per cui è nato; il problema è che il sistema, tra squilibri politici, sociali, morali, ecc. ecc. è miope. Il problema sono le donne alle quali sembra più facile ascoltare le prostitute delle vittime della tratta, perché la libera scelta è legittima, mentre esser vittime significa vittimizzarsi e, quindi, screditare moralmente le prostitute a vantaggio di quelle costrette a prostituirsi. Più facile sostenere che le vittime non esistono e tutte sono solo prostitute e basta, in modi e luoghi diversi.

Per noi non è così, ma ci è difficile dover sostenere una posizione come questa nostra che sembra ideologica, contrapposta alla ideologia di altri, mentre è la nostra vita reale ad essere in gioco. Per troppi sarebbe meglio se noi non ponessimo proprio il problema e per spingerci a questo non ci ascoltano: per noi è già cos’ difficile anche solo parlare…


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