Lo scorso sei maggio la Provincia ha ottenuto dallo Stato la possibilità di finanziare e ampliare la programmazione radiotelevisiva in lingua tedesca e ladina. Spiacevole effetto collaterale: l’eliminazione di un piccolo spazio informativo in lingua italiana, adesso infatti fruibile soltanto grazie a radio 1. Variazione minima, quest’ultima, ma da qualcuno subito equiparata alla fine di un progetto, seppur embrionale, di « gestione comune ». Adesso – affermano i commentatori più critici – siamo tornati a quella rigida divisione degli ambiti linguistici che corrisponderebbe all’immagine « segrazionista » della nostra autonomia, ancora intesa cioè come sistema impostato sulla prevalenza della logica etnica su quella territoriale.
In effetti, l’eliminazione di quell’embrione è semplicemente la conseguenza dell’incapacità della politica, ma anche di non trascurabili porzioni della società civile altotesina e sudtirolese, d’immaginarsi qualcosa di più, e di meglio, rispetto a una rigida spartizione delle rispettive competenze. Una situazione che purtroppo non contribuisce a disinnescare il riflesso delle reciproche recriminazioni, con gli italiani sempre pronti ad assumere il ruolo delle vittime e degli accusatori e i tedeschi arroccati nella difesa di una specificità intesa perlopiù come diritto all’autosufficienza. Un vicolo cieco, dal quale si riuscirebbe comunque ancora uscire collegando il tema dell’informazione al dibattito – anch’esso per ora solo abbozzato – sulla complessiva riforma dello statuto di autonomia.
Come in molti casi del genere, per poter realizzare un passo in avanti occorrerebbe così che l’intransigenza delle posizioni votate allo scacco venisse sospesa da ambo le parti. Una programmazione effettivamente plurilingue, secondo modalità ovviamente da concordare e da allestire non minimizzando peraltro le difficoltà obiettive che ciò comporterebbe, potrebbe essere resa possibile solo se, per esempio, la completa provincializzazione del servizio informativo (da non demonizzare « a priori ») si realizzasse animando parimenti una maggiore interazione e cooperazione delle diverse redazioni.
Su una cosa è comunque bene intendersi. La via che cristallizza la divisione è più facile da percorrere di quella che c’impegnerebbe se decidessimo di optare invece per la collaborazione. E per quanto possa suonare paradossale, considerato l’enorme volume di retorica spesa a proposito del nostro modello di convivenza, si tratterebbe di un lavoro che in questo caso non è mai veramente neppure cominciato.
Corriere dell’Alto Adige, 29 maggio 2013