La Piana delle Giare è già alle nostre spalle. Il tragitto da Phonsavan alla direttrice Vientian-Luang Prabang a ovest dura parecchie ore. La distanza in realtà è breve: più o meno cento chilometri, ma per percorrerli l'autobus coreano ci metterà una giornata. Queste strade non sono ancora state asfaltate, sono fatte di un'argilla che con la pioggia diventa paludosa e si snodano a curve e tornanti attorno alla catena montuosa che increspa il corpo del paese. La carreggiata è molto stretta, come una normale corsia che però deve accomodare due sensi di marcia. Guardando fuori dai finestrini a un lato lo sguardo si scontra con la parete scoscesa di un monte scavato, all'altro spazia attraverso il paesaggio che sovrasta un burrone ripido e profondo. Non ci sono protezioni e sembra che il terriccio possa cedere in qualsiasi momento. Quando incrociamo un altro veicolo l'autobus è costretto a procedere sul bordo della strada, con le ruote che giocano pericolosamente tra il ciglio e il vuoto. Spesso i passeggeri, un po' per sgranchirsi le gambe e un po' per la fifa dovuta alle manovre di equilibrismo, preferiscono scendere dal mezzo. L'autobus a volte procede talmente lentamente che è possibile seguirlo a piedi con un'andatura normale.
Il corridoio è intasato: sacchi, borse, ceste e scatole stanno accatastate sul pavimento. Io siedo in fondo e sto pensando che percorrerlo tutto è come avanzare sulle pietre del letto di un torrente in salita. Do un'occhiata attorno, poi apro il finestrino, mi arrampico e salto fuori. Dobbiamo procedere affiancando una fila di auto, scavatrici, camion: l'ingorgo durerà molto a lungo. Assieme agli altri passeggeri cammino su una sorta di sentiero che corre sul fianco del monte, a un metro dalla strada. Si chiacchiera, si passeggia e si osserva.
L'autista guida la corriera a bordo della quale sono rimasti pochi anziani e qualche donna. Gira il volante con cautela, sfiora gli altri mezzi, sfrutta gli spazi angusti tra metallo, terra e scarpata, facendo scivolare l'autobus come un'anguilla tra gli scogli. Si destreggia tra le difficoltà del percorso senza lamentarsi o fare smorfie, mentre mangia un cetriolo senza affettarlo, come se fosse una banana. Gli altri passeggeri avanzano lungo il sentiero con lo stesso tipo di fatalismo. Il cielo è brillante, bisogna abituare gli occhi per osservarlo dritto al cuore. Anche le nuvole sono di un grigio quasi fluorescente. Il paesaggio aiuta a combattere la noia, che comunque è - e dev'essere - presente come eccipiente nella composizione del viaggio.
Luang Prabang è ancora lontana, ma il Laos è anche qui, è con noi, è tutto questo.
Laos settentrionale, dicembre 2001
Magazine Asia
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