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È realmente possibile falsificare o corroborare il darwinismo?

Creato il 25 agosto 2013 da Uccronline

 Darwin

di Michele Forastiere*,
*insegnante di matematica e fisica

Alessandro Giuliani*,
*biologo e primo ricercatore presso l’Istituto Superiore di Sanità

Giorgio Masiero*,
*fisico

(tratto dall’articolo “Sulla falsificabilità o corroborabilità del darwinismo – On the falsifiability or corroborability of Darwinism”, Atti della Fondazione Giorgio Ronchi, Anno LXVIII, n. 2 – Marzo-Aprile 2013, pp. 249-262)

 
Com’è noto, il darwinismo ha una doppia connotazione: una scientifica ed una filosofica. Nella prima, esso si candida (oggi sotto le dizioni neo-darwinismo o Sintesi Moderna) ad essere la teoria scientifica che spiega l’evoluzione delle specie per mezzo esclusivo di due agenti: il caso e la selezione naturale (nell’accezione più ampia del termine, che include per esempio anche la selezione sessuale). Nella seconda connotazione, invece, esso è una corrente del naturalismo, con un particolare accento posto sull’evoluzione come motore non solo delle trasformazioni naturali, ma anche di quelle sociali, psicologiche e culturali.

In questo lavoro sottoporremo il darwinismo “scientifico” ad un’analisi di probabilità epistemologica (a scanso di equivoci, qui non si fa una critica all’evoluzione in sé, ma solo alla specifica teoria darwiniana dell’evoluzione).

 

Il darwinismo “scientifico” è indifferente ad ogni insieme di credenze.
Prima di procedere all’analisi epistemologica, vogliamo ribadire un fatto che dovrebbe essere ovvio, ma che nel caso del darwinismo – proprio per l’ambivalenza scientifico‑filosofica con cui il termine è adoperato – si tende qualche volta a dimenticare: nessuna teoria scientifica può validare o confutare una concezione filosofica. Ciò significa che là dove il darwinismo si presenta come una teoria scientifica dell’evoluzione, esso non ha nulla da dire, in particolare, riguardo al teismo/a‑teismo. Nei confronti del darwinismo “scientifico” il dibattito filosofico può riguardare solo una questione: la sua pretesa di scientificità. In altre parole, spetta alla filosofia stabilire se il darwinismo scientifico abbia o no un criterio di falsificabilità sperimentale.

L’indifferenza filosofica del darwinismo “scientifico”, oltre che derivare dalla disgiunzione tra il dominio della scienza naturale e quello della filosofia, risulta evidente anche dall’analisi diretta delle assunzioni della Sintesi Moderna. Analizziamo dal punto di vista epistemologico l’Affermazione Centrale dell’Evoluzione (ACE) della Sintesi Moderna, che è esprimibile come segue: ACE: “Ogni genuina innovazione fenotipica (vale a dire, ogni evento macroevolutivo, corrispondente alla comparsa di nuovi organi, funzioni o gruppi tassonomici) è dovuta alle sole mutazioni genetiche casuali, affiancate dagli usuali meccanismi microevolutivi (amplificazione e fissazione tramite la selezione naturale).

Qualche considerazione preliminare è necessaria. Una genuina innovazione fenotipica coincide, per definizione, con l’introduzione di nuova informazione nel genoma di una specie all’interno del suo habitat. Il concetto di “nuova informazione” non va qui inteso in termini puramente sintattici, per evitare il paradosso della fragola avente un numero di geni superiore all’Homo sapiens! Considereremo allora la variazione d’informazione in termini semantici, non per il numero di geni, ma per la presenza di nuove funzioni. D’altro canto, per la Sintesi Moderna la responsabilità delle mutazioni genetiche come fonti di innovazione è principalmente da ascrivere agli errori casuali di trascrizione del DNA, per effetto di composti chimici mutagenici, o della radioattività naturale, o di altri fattori non deterministici. Secondo l’ACE, la fonte di innovazione evolutiva è riconducibile in ultima analisi all’azione del caso, dipendendo in maniera cruciale da eventi accidentali e imprevedibili (casuali e/o contingenti).

Epistemologicamente, l’ACE va vista come una proposizione relativa all’evoluzione biologica, il cui valore di verità non è al momento conosciuto. È ovvio, infatti, che le cause di ogni genuina innovazione fenotipica avvenuta nel lontano passato della Terra sono al momento sconosciute e tali rimarranno verosimilmente per sempre. Per la Sintesi Moderna l’ACE è VERA, mentre per i critici del darwinismo di tutte le denominazioni essa è FALSA.

L’ACE ha la pretesa di essere un’assunzione scientifica e come tale deve poter essere corroborata o falsificata dalle evidenze sperimentali: la stima di probabilità epistemologica di ACE sarà dunque un numero compreso tra zero e uno. È evidente che per la Sintesi Moderna esso è (circa) uguale a uno, in funzione delle evidenze finora disponibili; mentre per gli antidarwinisti è (circa) uguale a zero. Ogni dato risultato scientifico nel campo della biologia evolutiva (ma non solo: anche della biochimica, della paleontologia, della paleoantropologia, ecc.) potrà dunque essere interpretato per indicare una variazione di tale valore di probabilità, nell’intento di corroborare o di falsificare la Sintesi Moderna.

Ora, situiamo le proposizioni sull’evoluzione all’interno di qualche più vasto insieme di credenze – che potremmo definire “metafisiche” – sulla Realtà. Per semplicità, ci limiteremo a considerare gli insiemi duali teismo/a‑teismo, anche se sono possibili altre classificazioni. Qui si parla, chiaramente, di insiemi di credenze sufficientemente “rispettabili” dal punto di vista scientifico, in quanto non aventi problemi a convivere con il metodo galileiano. Osserviamo subito che l’ipotetica conoscenza di un valore attendibile di tale probabilità epistemologica non può confutare, in sé, nessuno dei due insiemi di credenze. Per esempio, il teismo – in particolare cattolico – non ha problemi ad accomodare alcun tipo di teoria evolutiva: esistono sia darwinisti sia antidarwinisti, credenti; ed è altrettanto vero che esistono sia darwinisti sia antidarwinisti, atei.

È un errore quindi, da qualunque parte, ritenere che l’indicazione di un valore di probabilità epistemologica faccia ipso facto propendere per uno di due insiemi di credenze, confutando l’altro. In altri termini, è epistemologicamente scorretto sostenere una presunta scientificità (o imparzialità) della propria interpretazione, in modo da poterla usare per confutare un insieme di credenze opposto al proprio.

 
L’Affermazione Centrale dell’Evoluzione non è né corroborabile, né falsificabile
Passiamo ora ad esaminare la questione se il darwinismo sia falsificabile sperimentalmente. Se la risposta fosse negativa, dovremmo escludere la scientificità della teoria ed ammettere solo l’esistenza della sua connotazione filosofica tra gli altri sistemi. Se la Sintesi Moderna è una teoria scientifica, si dovrebbe dire che tutto ciò che ogni data ricerca fa è di aumentare o diminuire la stima della probabilità epistemologica di ACE.

Però, le cose non vanno così, sia sul lato della corroborabilità sia su quello della falsificabilità. Per esempio, gli esperimenti di Lenski sui batteri[1] vengono tipicamente usati per corroborare la Sintesi Moderna, mentre il loro effetto epistemologico è più plausibilmente nullo; all’opposto, qualcuno si è servito degli studi che dimostrano una qualche “prevedibilità” o “ripetibilità” dei meccanismi evolutivi[2] per indicare la tendenza opposta, mentre tali ricerche mirano soltanto a evidenziare la non‑casualità di specifici eventi microevolutivi.

Vediamo un po’ più in dettaglio. Riguardo alla ricerca sui batteri di Lenski (di norma portati a sostegno della Sintesi Moderna), un antidarwinista potrà rigettare la conclusione che gli eventi genetici “random” osservati costituiscano la prova di innovazione genuina, argomentando che essi in realtà comportano perdita di informazione genetica[3]; dunque, potrà legittimamente dedurne che tale ricerca, di fatto, non corrobora efficacemente la Sintesi Moderna.

Analogamente, un darwinista potrà rigettare la conclusione che eventi microevolutivi non‑casuali confutino l’ACE, ipotizzando che i meccanismi genetici osservati siano stati selezionati in modo darwiniano nel lontano passato. Di fatto, queste operazioni di neutralizzazione epistemologica potranno essere sempre compiute: tuttavia, non sempre potranno essere ritenute epistemologicamente corrette. L’operazione di neutralizzazione fatta nel secondo caso esaminato, per esempio, risulta giustificata solo supponendo che la Sintesi Moderna sia già corroborata al di là di ogni possibile falsificazione, ovvero che essa sia la teoria dell’evoluzione definitiva. Da quanto detto, dunque, si deve ammettere che la Sintesi Moderna non si possa ritenere una teoria scientifica dell’evoluzione, almeno se con tale termine s’intende verificabile e smentibile dall’esperimento. La sua inefficacia predittiva e la sua sterilità applicativa ne sono conseguenze.

 

In conclusione, potremmo ricavare da queste considerazioni il suggerimento che, anche nell’ottica di chi continua a credere nella scientificità del darwinismo, sia necessario superare il confronto tra diatribe, e passare ad esaminare temi che in qualche modo sono stati arbitrariamente esclusi dall’unica teoria disponibile dell’evoluzione, ma che appartengono con tutta evidenza ai fatti dell’evoluzione. Temi, come il problema dell’abiogenesi e della comparsa del linguaggio simbolico nella specie Homo sapiens sapiens.[4]

 

(una versione estesa di questo articolo si può trovare nel sito di Critica Scientifica)

 

Note bibliografiche

[1] Blount Z.D., Barrick J.E., Davidson C.J., Lenski R.E., “Genomicanalysis of a key innovation in an experimental Escherichia coli population”, Nature, vol. 489, pp. 513–518 (27 September 2012);

[2] Patrick T. McGrath P.T., Xu Y., Ailion M., Garrison J.L., Butcher R.A., Bargmann C.I., “Parallel evolution of domesticated Caenorhabditis species targets pheromone receptor genes”, Nature, vol. 477, pp. 321–325 (15 September 2011);

[3] http://www.enzopennetta.it/2012/11/escherichia-coli-e-vera-evoluzione-seconda-parte/

[4] Forastiere M.A., Masiero G., “’Effetto Ramanujan’, l’esigenza di un nuovo approccio al problema dell’evoluzione umana”, Atti della Fondazione Giorgio Ronchi, Anno LXVII, n° 6, novembre-dicembre 2012, pp. 861-872


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